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Cronaca

Putin non viene al funerale di Francesco. Ma a Roma non lo arresterebbero comunque

Vladimir Putin è formalmente ricercato dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra, ma in Italia il mandato d’arresto giace dimenticato. Mai trasmesso ai giudici, come nel caso del torturatore libico Almasri. Un’inerzia che puzza di calcolo politico più che di lacune burocratiche. Così, se Putin arrivasse davvero, basterebbe voltarsi dall’altra parte.

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    Vladimir Putin non verrà a Roma per i funerali di Papa Francesco. Ma non per paura di essere arrestato. Anzi: se decidesse di venire, nessuno lo fermerebbe.

    A rappresentare la Federazione russa ci sarà la ministra della Cultura Olga Ljubimova. L’ha deciso lo stesso Putin, ha comunicato il portavoce Dmitrij Peskov. Una scelta obbligata più che diplomatica: il presidente russo è formalmente ricercato dal Tribunale penale internazionale per crimini contro l’umanità commessi in Ucraina. Eppure, in Italia, quel mandato non ha alcuna efficacia. Perché?

    Perché il ministero della Giustizia non ha mai trasmesso il mandato d’arresto alla Corte d’appello di Roma. Tradotto: non esiste alcun atto giudiziario che consenta, allo stato attuale, di procedere con un fermo. Il fascicolo dorme in via Arenula, accanto ad altri mandati internazionali ignorati. Compresa Maria Lvova-Belova, commissaria per l’infanzia russa anch’essa sotto accusa per deportazione di minori, e persino altri alti ufficiali, come il tenente generale Kobylash o l’ammiraglio Sokolov.

    Siamo alla replica del caso Almasri, il presunto torturatore libico che, arrestato a Roma, fu rilasciato perché il ministero non trasmise i documenti necessari. Risultato: scarcerazione immediata e rimpatrio. La Corte penale internazionale ha aperto un procedimento contro l’Italia per omissione e oggi il nostro Paese si difende a fatica da un’accusa imbarazzante: boicottaggio giudiziario di mandati internazionali.

    Il ministro Nordio si è affrettato a dire che Putin “non è mai transitato in Italia” e che quindi non ci sono i presupposti per alcuna azione. Una risposta che non spiega nulla e solleva un sospetto peggiore: se lo zar venisse, davvero lo lasceremmo sfilare in Basilica come nulla fosse?

    Perché la questione è tutta qui. Il mandato d’arresto è reale. Ma l’Italia non lo ha mai reso eseguibile. Non è una dimenticanza. È una scelta. Politica. Delicata. Calcolata. Come dimostrano i precedenti congelati: Shoigu, Gerasimov, Belova. Tutti formalmente sanzionati, tutti praticamente intoccabili. Un elenco di nomi altisonanti che nessun governo europeo ha voglia di vedere atterrare a Fiumicino. E tanto meno di dover mettere in galera, anche solo per due ore.

    D’altronde, Putin non ha bisogno di esporsi. Gli basta inviare una ministra decorativa, leggere un necrologio ben confezionato – “grande statista”, “servitore dell’umanità”, “ricorderò per sempre il Papa” – e lasciar intendere che la sua Russia c’è, eccome. Anche ai funerali di un Pontefice che, peraltro, non ha mai rotto davvero con il Cremlino.

    Tre furono gli incontri tra Bergoglio e Putin: nel 2013, 2015 e 2019. In uno di questi, fece attendere il Papa per oltre un’ora. Eppure, nonostante l’invasione dell’Ucraina, mai una parola esplicita da Francesco contro Mosca. Diplomazia, certo. Ma anche una prudenza che oggi viene restituita sotto forma di condoglianze elaborate e presenza “istituzionale”.

    Accanto alla delegazione politica, anche la Chiesa ortodossa russa sarà presente. A guidarla sarà il metropolita Antonij di Volokolamsk, benedetto da Kirill in persona – lo stesso patriarca sotto sanzioni UE, ma ben lontano da ogni forma di isolamento ecclesiale. A Roma, verrà accolto. A braccia aperte? Forse no. Ma di certo senza ostacoli.

    Così, mentre le autorità italiane non trasmettono i mandati, mentre l’Europa chiude lo spazio aereo a Lavrov ma lascia scivolare i documenti nel cassetto, il vero segnale che arriva è uno solo: se sei abbastanza potente, la giustizia si gira dall’altra parte. Persino se hai un mandato dell’Aia sulla testa.

    Putin può starsene a Mosca. Tanto lo sanno tutti: se volesse, potrebbe venire. E se venisse, nessuno lo toccherebbe.

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      Cronaca Nera

      Caso Garlasco, la perita smonta le certezze sul DNA: “Dati non affidabili”, compatibilità con Sempio ma con fortissime criticità scientifiche

      Nella relazione di 93 pagine la perita mette in fila limiti metodologici, contaminazioni, assenza di un database locale e profili genetici troppo degradati per conclusioni nette. Restano solo due compatibilità “moderate”, mentre sugli altri reperti sono presenti solo DNA di Chiara e Stasi.

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        La perizia sul DNA sotto le unghie di Chiara Poggi, attesa per mesi, non chiude il cerchio. Al contrario, apre un fronte di incertezze che la stessa esperta, Denise Albani, mette nero su bianco: le tracce genetiche estratte nel 2014 dall’allora perito De Stefano “non sono consolidate né affidabili dal punto di vista scientifico”.
        Materiale parziale, misto, degradato e mai sottoposto a verifica successiva. Su questo, la genetista non lascia margini di interpretazione. E tuttavia, applicando modelli biostatistici, arriva a una compatibilità della linea maschile di Andrea Sempio con due tracce rinvenute su due dita della vittima: un “supporto da moderatamente forte a forte” per una, “moderato” per l’altra.
        Ma la stessa Albani avverte: non è possibile rispondere a domande fondamentali come “come, quando e perché” quel materiale genetico sia stato depositato. Un limite che, in un processo, pesa come un macigno.

        Analisi biostatistiche tra limiti e assenze nei database

        La relazione spiega perché le valutazioni statistiche non possano essere considerate definitive: manca un database della popolazione locale, condizione ideale per stimare la frequenza reale di un dato profilo genetico.
        Per questo, la perita ha dovuto utilizzare gruppi molto più ampi: la metapopolazione europea e quella mondiale. Scelte obbligate, ma che possono produrre risultati “sottostimati” e comunque non riferibili con precisione al contesto di Garlasco.
        Non stupisce che sia la difesa di Sempio sia i consulenti della famiglia Poggi continuino a parlare di dati “non scientifici” e “non utilizzabili” in sede processuale. La battaglia tra esperti è solo all’inizio.

        Sugli altri reperti resta solo il DNA di Chiara e Stasi

        L’incidente probatorio conferma inoltre che sugli altri reperti non emergono elementi nuovi. Le sessanta impronte rinvenute nella villetta non restituiscono profili utili, e sugli oggetti recuperati in pattumiera compaiono esclusivamente il DNA di Chiara e quello di Stasi.
        Sul tappetino del bagno, ancora una volta, solo materiale genetico della studentessa e del padre. Nessuna traccia collegabile ad Andrea Sempio. Persino l’“ignoto 3”, per un periodo considerato possibile svolta, si rivela frutto di contaminazione autoptica.

        Un risultato che non chiude nulla

        La perita ricorda che gli aplotipi analizzati non sono identificativi e non permettono attribuzioni personali. La compatibilità con Sempio riguarda l’intera linea patrilineare: tutti i parenti maschi condividono quel profilo.
        Alla domanda decisiva — basterà questo per incriminarlo? — oggi la risposta è no. Non con questi dati, non con queste criticità, non con tracce così fragili.
        L’inchiesta prosegue, ma la scienza, per ora, non indica una verità univoca.

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          Storie vere

          A Biancavilla famiglie in lacrime davanti alla salma sbagliata: scambio di feretri in ospedale e mistero su chi abbia invertito le bare

          Lo scambio è avvenuto dopo il ricovero dei due uomini, coetanei, nello stesso ospedale di Biancavilla. Le bare tornano alle famiglie corrette, ma resta senza risposta la domanda chiave: quando e perché i feretri sono stati confusi?

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            A Biancavilla, nel Catanese, una famiglia ha vegliato per ore un uomo che non conosceva, convinta di trovarsi davanti al proprio caro estinto. La scena, quasi irreale, si è consumata in una casa privata dove parenti e amici avevano iniziato il rito del commiato. Nessuno aveva notato nulla di anomalo. L’allarme è scattato solo quando l’Azienda sanitaria provinciale di Catania ha contattato uno dei familiari, invitandolo a verificare l’identità della salma. Una richiesta insolita che ha subito acceso i sospetti.
            Il controllo, effettuato con maggiore attenzione, ha confermato il peggiore dei timori: la persona nella bara non era il loro congiunto. Da quel momento la situazione si è capovolta, trascinando entrambe le famiglie in uno sconcerto difficile da spiegare.

            Due uomini, stesso ospedale, età simile

            Le informazioni raccolte indicano un punto comune: i due defunti, uomini di età simile, erano stati ricoverati nel medesimo ospedale, il “Maria SS. Addolorata” di Biancavilla. È lì che le loro strade si sarebbero incrociate per l’ultima volta.
            Le operazioni successive – preparazione delle salme, trasferimenti, consegna delle bare – rappresentano una catena lunga, fatta di passaggi tecnici e procedure che, in teoria, riducono al minimo la possibilità di errori. Ma qualcosa, questa volta, non ha funzionato. E le famiglie, ignare, hanno accolto due feretri invertiti senza sospettare alcuno scambio.

            Un errore ancora senza autore

            Resta ora la domanda più scomoda: chi ha invertito le bare? E soprattutto, in quale momento della procedura è avvenuta la confusione?
            L’Asp ha segnalato l’accaduto e dovrà ricostruire ogni fase, dai reparti al deposito delle salme, fino al passaggio alle imprese funebri. Errori del genere sono rari, ma quando accadono lasciano dietro di sé non solo disagi burocratici ma ferite emotive profonde.
            Le due famiglie, dopo ore di smarrimento, hanno finalmente riavuto indietro i rispettivi defunti. Un epilogo necessario, ma che non cancella lo choc di aver pianto un estraneo, né le domande ancora aperte su una vicenda che richiede chiarezza.

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              Cronaca

              Caso Ranucci, il Copasir chiede gli atti secretati: ora le accuse sui servizi segreti diventano un fronte politico per il governo

              Il Copasir vuole acquisire le parti coperte da segreto delle audizioni di Sigfrido Ranucci. I magistrati indagano sulle accuse di attivazione dei servizi segreti, sulle smentite del governo e sulle minacce al giornalista, mentre si valuta la possibile audizione di Fazzolari, Mantovano e dello stesso conduttore.

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              Sigfrido Ranucci

                Il caso Ranucci entra ufficialmente nella sfera della sicurezza nazionale. Il Copasir, l’organo parlamentare che vigila sull’operato dell’intelligence, ha chiesto di acquisire la parte secretata delle audizioni del conduttore di “Report” nelle commissioni Antimafia e Vigilanza Rai. A confermare la richiesta è stata la presidente della Vigilanza, Barbara Floridia, che ha convocato l’ufficio di presidenza per sottoporla al voto dei gruppi. Un passaggio che trasforma una vicenda finora confinata tra dichiarazioni e smentite in un dossier politico a pieno titolo.

                Al centro ci sono i racconti forniti da Sigfrido Ranucci, che nelle due audizioni avrebbe descritto episodi da lui interpretati come attività di pedinamento e monitoraggio condotte da uomini legati ai servizi segreti. Due gli episodi principali: la presenza di un presunto agente durante la presentazione di un suo libro in Sicilia, evento per il quale sostiene di essere stato seguito da Roma, e un secondo episodio in cui la scorta avrebbe notato persone che lo filmavano mentre incontrava una fonte.

                Secondo la ricostruzione del giornalista, alla base di questi controlli ci sarebbe l’attivazione dei servizi da parte del sottosegretario Giovanbattista Fazzolari. Una circostanza che, se confermata, rappresenterebbe un’anomalia procedurale, dato che l’autorità delegata è il sottosegretario Alfredo Mantovano. Ranucci ha affermato di avere avuto “certezza” dell’interessamento di Fazzolari; il diretto interessato ha replicato parlando di «menzogne volontarie» e negando qualsiasi coinvolgimento.

                La richiesta del Copasir è considerata un segnale di forte attenzione istituzionale. Non è escluso che il Comitato possa convocare in audizione sia Ranucci sia i due sottosegretari per chiarire la catena di comando e verificare se vi siano stati fraintendimenti, abusi o attivazioni irregolari. La cautela con cui Fratelli d’Italia commenta il dossier indica quanto il tema sia politicamente sensibile.

                Nel suo intervento, Ranucci ha richiamato anche l’attentato del 16 ottobre, quando una bomba carta ha danneggiato la sua auto e quella della figlia a Campo Ascolano. Un salto di qualità rispetto agli episodi intimidatori già ricevuti negli anni. La procura di Roma indaga su più piste: gli ambienti criminali che si sarebbero ritenuti danneggiati dal programma, una lettera anonima che allude a mandanti “occulti” e possibili intrecci con famiglie del clan dei casalesi coinvolte nel traffico internazionale di armi.

                Il Viminale, intanto, ha alzato il livello di tutela per il cronista: da livello tre a livello due, con scorta rinforzata, due auto blindate e presidio dell’esercito sotto casa. Una misura ritenuta necessaria in base alla valutazione del rischio.

                Ora il coinvolgimento del Copasir introduce una dimensione istituzionale che potrebbe ridefinire i contorni della vicenda. L’analisi degli atti secretati servirà a stabilire se esistano elementi concreti a sostegno delle accuse o se il caso sia frutto di incomprensioni e tensioni politiche. Le prossime settimane saranno decisive per capire se si andrà verso nuove audizioni o verso un chiarimento interno alla maggioranza.

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