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Cronaca

Quei furbetti di Pyongyang che aggirano le sanzioni tra barbe e parrucche finte!

In Cina si è scoperto un commercio di ciglia, parrucche e barbe finte con la Corea del Nord. Ecco come il regime di Pyongyang aggira le sanzioni internazionali per finanziare le sue attività. Secondo un’inchiesta del quotidiano Guardian, nel 2023 questo settore ha fruttato 167 milioni di dollari, il 60% dell’export nordcoreano verso la Cina

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    In Cina si è scoperto un commercio di ciglia, parrucche e barbe finte con la Corea del Nord. Il regime di Pyongyang infatti ha escogitato un modo per aggirare le sanzioni internazionali e finanziare le sue attività. Secondo un’inchiesta del quotidiano Guardian, nel 2023 questo settore ha fruttato 167 milioni di dollari, il 60% dell’export nordcoreano verso la Cina.

    Tutta colpa di Kim Jong-un

    Nonostante le sanzioni internazionali imposte dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU per bloccare il programma nucleare della Corea del Nord, Pyongyang continua a trovare modi per ottenere valuta estera. Uno dei metodi utilizzati passa attraverso l’export di ciglia, parrucche e barbe finte. Questi prodotti non sono soggetti alle sanzioni, e consentono al regime di esportare legalmente e ottenere fondi vitali per la sua sopravvivenza.

    Una produzione di scarsa qualità

    La produzione di questi articoli avviene in condizioni molto discutibili. Gli operai nordcoreani, spesso descritti come “schiavi”, assemblano questi prodotti con capelli importati dalla Cina. Le parrucche e le ciglia sono poi spedite alle aziende cinesi che le esportano in tutto il mondo con l’etichetta “Made in China”. Questa collaborazione tra fabbriche nordcoreane e produttori cinesi è iniziata nei primi anni 2000, attratta dai bassi costi della manodopera e dalla qualità del lavoro.

    Fondi per finanziarsi anche dal cyber hacking

    Sebbene il commercio di ciglia e parrucche contribuisca alle entrate del regime, non è sufficiente per finanziare le ambizioni nucleari di Kim Jong-un. Gran parte dei fondi necessari per questa attività, infatti, arriva da operazioni di cyber hacking. Tra il 2017 e il 2023, gli hacker nordcoreani hanno guadagnato circa 3 miliardi di dollari attraverso attacchi informatici. Inoltre, la Corea del Nord guadagna anche dalla vendita di stupefacenti e armi, quest’ultima rafforzata dalla rinnovata amicizia con la Russia .

    Lavorare per chi offre di più per sostenere le ambizioni nucleari

    La Corea del Sud ha risposto alle provocazioni di Pyongyang con varie misure, tra cui l’uso di altoparlanti per trasmettere messaggi di propaganda. Questo ha suscitato la reazione della sorella di Kim Jong-un, che ha minacciato risposte severe. La complessa rete di commercio e le operazioni illecite dimostrano come il regime nordcoreano continui a sostenere le sue ambizioni nucleari nonostante le restrizioni internazionali .

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      Storie vere

      Alla faccia dell’errore giudiziario. Storia di Sandra: 43 anni in carcere da innocente

      Dopo 43 anni di prigione per un omicidio che non aveva commesso, Sandra Hemme, 64 anni, è stata finalmente dichiarata innocente e liberata. Il caso della donna incarcerata ingiustamente per più tempo negli Stati Uniti.

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        “Vittima di un’ingiustizia”. Con queste parole il giudice Ryan Horsman ha dichiarato innocente la 64enne Sandra Hemme, scarcerata dalla prigione di Chillicothe, in Missouri, dopo aver scontato 43 anni dell’ergastolo a cui era stata condannata per un omicidio che non aveva commesso, quello della bibliotecaria Patricia Jeschke, uccisa nel 1980 a St. Joseph, nel Missouri. A supporto della sua innocenza, rivela la CNN, le prove presentate dall’avvocato della donna, Sean O’Brien, prove che secondo il giudice hanno dimostrato l’estraneità della donna all’omicidio e quindi la sua innocenza. Nonostante questo, per mesi il procuratore generale repubblicano Andrew Bailey si è opposto alla scarcerazione di Hemme.

        Più volte il procuratore generale ha presentato istanze in tribunale cercando di tenere in prigione la donna per scontare condanne per aggressioni avvenute in carcere nei decenni passati. Ma il giudice Horsman il 14 giugno scorso ha stabilito che “la totalità delle prove supporta l’accertamento dell’effettiva innocenza” di Hemme rispetto alla condanna per omicidio. L’8 luglio una Corte d’appello statale ha stabilito che la donna dovesse essere liberata e il 9 luglio Horsman ha stabilito che Hemme dovesse essere rilasciata per tornare a casa con sua sorella.

        Sandra Hemme: un incubo lungo 43 anni

        Secondo il suo team legale dell’Innocence Project, Hemme è stata la donna incarcerata ingiustamente da più tempo negli Stati Uniti. Un’incredibile ingiustizia, durata quattro decenni, che finalmente ha trovato un epilogo positivo.

        La storia di Sandra Hemme è quella di una battaglia lunga e dolorosa. Incarcerata all’età di 21 anni, la sua vita è stata segnata dalla privazione della libertà, dagli errori giudiziari e dall’incessante lotta per dimostrare la propria innocenza. Le nuove prove presentate dal suo avvocato, Sean O’Brien, hanno finalmente convinto la corte della sua estraneità al delitto, portando alla sua liberazione.

        Il percorso di liberazione

        Nonostante la chiarezza delle nuove prove, la strada verso la libertà non è stata facile per Hemme. Il procuratore generale Andrew Bailey ha cercato in ogni modo di mantenere la donna in prigione, presentando istanze per condanne legate ad aggressioni avvenute durante la detenzione. Tuttavia, il giudice Ryan Horsman ha respinto queste richieste, sottolineando che la totalità delle prove dimostrava l’innocenza di Hemme riguardo all’omicidio per cui era stata condannata.

        Una nuova vita

        Ora, Sandra Hemme può finalmente tornare a casa, iniziando un nuovo capitolo della sua vita accanto alla sorella. La sua storia rappresenta un potente monito sull’importanza di una giustizia equa e accurata, e una testimonianza della resilienza umana di fronte alle avversità.

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          Storie vere

          Come fare la generosa con il portafoglio… degli altri!

          Una famiglia padovana in vacanza a Riva del Garda ha trovato un portafoglio contenente molto denaro, carte di credito e documenti che hanno prontamente restituito alla legittima proprietaria titolare di un ristorante molto noto della zona. Un invito a cena per sdebitarsi…? Si certo ma con una sorpresa finale.

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            Si fa presto a dire ricompensa. Un portafoglio smarrito viene riconsegnato a un ristoratore di Riva del Garda che come ricompensa invita a cena i suoi angeli custodi. Ma…

            Il bel gesto ripagato con una cena

            … ma è successo che questa azione benemerita è diventato un caso. E come mai? Fondamentalmente perché nei paesi dove la cronaca locale latita appena accade qualcosa di particolare, i giornali e i lettori trovano pane per i loro denti. Il fatto è semplice. Una ristoratrice di Riva del Garda aveva smarrito il suo portafoglio su una panchina sul lungo lago. Una famiglia padovana in vacanza nella località gardenese, lo avevo trovato e ha provveduto a restituirlo alla legittima proprietaria. Per sdebitarsi del bel gesto, – dopo aver sborsato subito 50 euro per ringraziare il figlio quindicenne della famiglia – la ristoratrice generosa come ricompensa aveva deciso di invitare tutti a cena.

            Ma qualcosa è andata storta

            Il portafoglio conteneva carte di credito, molto denaro contante e i documenti personali della sua proprietaria. La famiglia si è recata nel ristorante ma alla fine della cena la gratuità annunciata si è trasformata in un conto di 80 euro a cui era stato applicato uno sconto del 10%. Senza protestare, la famiglia, un po’ incredula, ha saldato la cifra e ha lasciato il locale educatamente. L’episodio non è passato inosservato ai paesani, che lo hanno segnalato alla stampa locale. Finalmente un bel caso di cronaca da raccontare, vista la risibilità degli argomenti a disposizione.

            Disattenzione, scuse e nuovo invito a cena

            Diventata quindi il caso del giorno la ristoratrice si è subito ravveduta e ha giustificato il suo gesto come una semplice disattenzione. Tutta colpa del gran caldo e del troppo lavoro di questo periodo, ha argomentato la proprietaria del ristorante. Disattenzione dovuta alla stanchezza e allo stress di questi giorni di fine estate. Dopo le scuse pubbliche il giorno successivo la famiglia è stata invitata nuovamente a cena, questa volta senza dover pagare un euro.

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              Cronaca

              Non poteva pagarsi il volo: 36enne nigeriano si fa arrestare a Varese per essere rimpatriato

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                Non potendo permettersi un biglietto aereo, ha trovato una strada alternativa: farsi arrestare. È la storia, raccontata da La Prealpina, di un 36enne nigeriano residente nel Varesotto, che pur di tornare in patria dalla sua famiglia ha deciso di cercare l’espulsione attraverso un gesto plateale.

                Il copione si è consumato venerdì alla stazione ferroviaria di Varese. L’uomo, in pieno giorno, si è acceso uno spinello proprio davanti agli agenti della Polfer, con l’evidente obiettivo di attirare la loro attenzione. Mossa riuscita. Fermato e perquisito, addosso gli è stato trovato un etto e mezzo di hashish. A quel punto è scattato l’arresto, e la sua comparizione in tribunale per la convalida.

                È stato in quell’aula che il suo piano è diventato evidente. Quando il giudice ha comunicato che la pena sarebbe stata convertita in espulsione, il 36enne ha reagito con entusiasmo: «Benissimo, ci sono riuscito!». Una frase che lascia pochi dubbi sulle sue reali intenzioni.

                Dietro alla vicenda non c’è la ricerca di profitto né un traffico organizzato. L’uomo percepisce la Naspi dopo anni di lavoro in una fabbrica del Varesotto e manda gran parte del sussidio alla sua famiglia in Nigeria. Il suo unico desiderio, spiegano i magistrati, era quello di rientrare a casa, senza avere i mezzi economici per farlo con le proprie forze.

                Non è nemmeno la prima volta. Lo scorso marzo lo stesso 36enne aveva provato a ottenere il rimpatrio inscenando una crisi a bordo di un treno, costringendo i passeggeri a chiamare la polizia. Anche in quell’occasione era stato fermato, ma il tentativo non aveva prodotto l’effetto sperato.

                Questa volta invece la sua strategia ha avuto esito. Ora, come previsto dalle norme, sarà espulso e accompagnato in Nigeria. Un caso che solleva interrogativi sul funzionamento delle procedure di rimpatrio e sulla disperazione di chi, pur regolarmente presente in Italia, sceglie di passare dalle aule giudiziarie per raggiungere il proprio obiettivo: tornare a casa.

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