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Scoperto a Jebel Irhoud il volto del più antico Homo Sapiens

Il cranio di Jebel Irhoud ha una rilevanza fondamentale poiché ha permesso di anticipare la data di nascita della nostra specie di Homo sapiens di almeno 100 mila anni. Definito un volto forte e sereno da Moraes e dall’aspetto moderno dal Max Planck Institute, il cranio rappresenta una pietra miliare nello studio dell’evoluzione umana.

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    Il nostro antenato visse 315 mila anni fa in Marocco. Secondo lo scienziato brasiliano Cicero Moraes aveva un viso forte e sereno e dall’aspetto moderno.

    L’istantanea ricavata da un fossile

    Il fossile del cranio era stato trovato per caso negli anni ’60 a Jebel Irhoud, in Marocco, durante un’estrazione mineraria. Oggi, grazie al lavoro del ricercatore brasiliano Moraes, quel teschio di 315 mila anni fa, il più antico mai scoperto di Homo Sapiens, ha finalmente un volto. Moraes ha pubblicato il suo studio sulla rivista di computer grafica 3D OrtogOnLineMag. Recentemente, lo studioso aveva anche ricostruito anche il volto di una donna di Neanderthal.

    Come funziona il processo di ricostruzione

    Moraes, esperto nella ricostruzione di volti, ha delineato i lineamenti facciali di Irhoud utilizzando la Ricostruzione Facciale Forense (RFF). Ha scansionato in 3D il teschio utilizzando uno strumento di fotogrammetria, OrtogonBlender. Il lavoro è stato reso possibile grazie ai dati forniti dal Max Planck Institute, che ha contribuito con informazioni su vari elementi appartenenti ad altri individui. Moraes ha usato la tomografia di un umano moderno, deformandola per adattarla al cranio di Jebel Irhoud.

    Il volto del nostro antenato

    Il risultato finale mostra una scatola cranica grande ma arcaica, mentre la dentatura è già moderna. Moraes ha generato due gruppi di immagini: uno oggettivo con elementi tecnici, senza capelli e in scala di grigi. Un altro artistico con colore della pelle e capelli.
    Per Moraes, il fossile assomiglia al teschio di Homo sapiens Skhul V, ritrovato nel 1932 in Israele e datato intorno ai 120 mila anni fa.

    L’importanza di questa scoperta

    Il cranio di Jebel Irhoud ha una rilevanza fondamentale poiché ha permesso di anticipare la data di nascita della nostra specie di Homo Sapiens di almeno 100 mila anni. Definito un volto forte e sereno da Moraes e dall’aspetto moderno dal Max Planck Institute, il cranio rappresenta una pietra miliare nello studio dell’evoluzione umana.

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      L’uomo Del Monte ha detto stop: bancarotta storica per l’icona americana delle conserve

      Fondata nel 1886, la Del Monte era sinonimo di qualità e praticità. Ma frutta in scatola, verdure conservate e succhi oggi non bastano più. Il debito di 1,2 miliardi e la perdita d’identità mettono fine a un’epoca.

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        L’uomo Del Monte ha detto stop. Stavolta per davvero. Dopo 139 anni, la leggendaria azienda alimentare statunitense Del Monte Foods ha dichiarato bancarotta. Il 1° luglio 2025, la società ha fatto ricorso al Chapter 11, lo strumento legale che permette la ristrutturazione del debito sotto il controllo del tribunale, nel tentativo di salvare ciò che resta di un impero ormai in frantumi.

        Una crisi annunciata. Le vendite crollano, il debito supera 1,2 miliardi di dollari, e la storica azienda — resa celebre da uno spot iconico degli anni ’80 con un distinto signore in bianco che assaggiava frutta matura — non riesce più a reggere il confronto con un mercato profondamente mutato.

        Oggi i consumatori chiedono freschezza, sostenibilità, tracciabilità. La frutta in scatola è passata da simbolo di progresso a prodotto percepito come vecchio e superato. E anche le private label, con prezzi più bassi e qualità crescente, hanno rosicchiato quote di mercato al colosso americano.

        Del Monte ha provato a rispondere. Packaging sostenibili, linee “healthy”, porzioni monodose. Ma la trasformazione è arrivata tardi e con scarso impatto. Nemmeno il prestito d’emergenza da 900 milioni di dollari, concesso da alcuni creditori, sembra sufficiente a evitare il collasso.

        Fondata in California nel 1886, la società aveva resistito a guerre, crisi e rivoluzioni industriali. Ma non ha superato la rivoluzione culturale del carrello della spesa.

        Niente chiusura immediata, ma la Del Monte che conoscevamo non esiste più. Quel sì sussurrato dall’uomo in panama ora è diventato un no secco, definitivo. E per una volta, nessuno può dargli torto.

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          Elon Musk lancia l’idea dell’“America Party”: così può fregare Trump e aiutare i Democratici

          Il sogno di Elon Musk non è solo spaziale: ora punta alla politica. E nel giorno del 4 luglio, la festa dell’Indipendenza americana, ha pubblicato su X un sondaggio destinato a far discutere: “Dovremmo creare il partito dell’America?” La proposta è quella di un terzo soggetto politico, indipendente, capace di spaccare il sistema bipartitico USA e diventare ago della bilancia alle prossime elezioni. Una provocazione? Forse. Ma anche una strategia. E Grok, la sua intelligenza artificiale, ha già fatto i conti

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            Il post di Musk ha totalizzato in poche ore oltre 30 milioni di visualizzazioni e più di 45 mila commenti. Ma non è una sparata a caso: risponde infatti a chi gli chiedeva che impatto potrebbe avere un “America Party” alle elezioni di medio termine del 2026 o, peggio per Trump, alle presidenziali del 2028.

            Musk ha una sua teoria molto chiara: non serve conquistare tutto, basta colpire bene. «Concentrarsi su 2 o 3 seggi chiave al Senato e 8-10 collegi alla Camera – ha spiegato – sarebbe sufficiente per diventare decisivi sulle leggi più controverse. Con i margini attuali, ogni voto conta».

            Grok analizza: “Basta il 5% per cambiare tutto”

            A elaborare la visione è Grok, il sistema IA integrato su X e creato proprio da Musk. Secondo Grok, un partito alternativo potrebbe ottenere tra il 5 e il 10% in diversi Stati incerti come Pennsylvania, Georgia, Wisconsin, Nevada, Michigan e Arizona. Abbastanza per spezzare l’asse repubblicano e, paradossalmente, favorire i Democratici. Esattamente come accadde con Ross Perot nel 1992, che tolse voti a Bush padre e spianò la strada a Clinton.

            Nel suo report, Grok sottolinea: “Il successo dipenderà dall’accesso alle schede elettorali e dai finanziamenti”. E sui soldi Musk non ha problemi: con il suo patrimonio personale può autofinanziare una campagna nazionale e, soprattutto, controllare direttamente la piattaforma di comunicazione più efficace: X.

            Il vero rischio per Trump

            La mossa è di quelle che potrebbero tagliare le gambe al tycoon. Perché anche un 7-8% di voti in meno in alcuni Stati chiave potrebbe fare la differenza nel Collegio Elettorale. E se Trump si ritrovasse beffato da Musk, non sarebbe solo uno smacco politico, ma personale. La guerra dei miliardari, insomma, è appena cominciata. E questa volta non si combatte su Marte, ma nei seggi americani.

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              Putin resuscita Intervision per sfidare l’Occidente e annuncia: “Gli Stati Uniti ci saranno sul palco”

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                Mancano 78 giorni. Un maxi-schermo in piazza del Maneggio, davanti al Cremlino, scandisce il conto alla rovescia verso un evento che sembra uscito dagli archivi della Guerra fredda: il ritorno di Intervision, la versione sovietica dell’Eurovision. E la notizia che scuote la diplomazia internazionale è una sola: tra i partecipanti ci saranno anche gli Stati Uniti.

                Sì, proprio loro. Lo conferma la Tass, agenzia stampa russa: Washington invierà una delegazione al festival musicale voluto da Vladimir Putin per riaffermare i “valori tradizionali” contro le derive “globaliste” di Eurovision. La kermesse andrà in scena a Mosca il 20 settembre, con delegazioni di Paesi “amici” come Cina, Iran, Venezuela, Cuba, Bielorussia, Qatar e Serbia. E ora anche gli Usa.

                Intervision, o Intervidenie in russo, è molto più di un concorso musicale. È una dichiarazione di intenti. Dopo l’esclusione della Russia da Eurovision nel 2022 – a causa della guerra in Ucraina – il Cremlino ha scelto di creare una propria vetrina musicale, completamente scollegata dai valori occidentali. “Un festival per famiglie, patriottico e sovrano”, ha detto il ministro della Cultura russo. E lo sarà: a rappresentare Mosca ci sarà Shaman, idolo pop ultranazionalista, famoso per il brano “Sono russo”. Nella giuria siederà anche Igor Matvienko, fondatore dei Liubè, il gruppo preferito di Putin.

                Ma è la presenza americana a rendere l’evento esplosivo. Per ora non si conosce l’identità del cantante o del gruppo che rappresenterà gli Usa. C’è chi ipotizza un artista vicino all’ambiente trumpiano, magari per lanciare un messaggio preciso in vista delle elezioni. Intanto, l’Ucraina protesta: “È propaganda russa”, ha detto il ministero degli Esteri, invitando i Paesi alleati a boicottare il festival.

                La verità è che Putin vuole riscrivere la geopolitica anche con le canzoni. E questa volta, il microfono diventa un’arma.

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