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Cronaca

Sharon Verzeni, il giallo del killer misterioso nascosto nelle chat di Whatsapp

Sharon Verzeni, il giallo del killer nelle chat Whatsapp. Il balordo pregiudicato e l’ipotesi agguato. Le indagini sulla morte della giovane donna si concentrano sulle conversazioni Whatsapp e sulle riprese delle telecamere di sicurezza.

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    La morte di Sharon Verzeni è un puzzle i cui pezzi sembrano essere andati perduti. Per ricostruire i tasselli mancanti nella vicenda della 33enne uccisa nella notte tra il 29 e il 30 luglio a poche centinaia di metri dalla casa dove viveva a Terno d’Isola, gli investigatori stanno passando al setaccio ogni minimo dettaglio.

    Le informazioni più utili sono attese dall’analisi approfondita del telefono della vittima, lo stesso che ha usato la notte in cui è stata uccisa per chiamare il 112 e chiedere invano aiuto. Ma nessun particolare è lasciato al caso, e le indagini cercano conferme anche per quanto riguarda l’ipotesi di un agguato durante la passeggiata notturna di Sharon in via Castagnate. Chi l’ha colpita alle spalle e per quale motivo resta la domanda principale.

    Le chat Whatsapp

    Il telefono di Sharon Verzeni, così come quello del compagno Sergio Ruocco, sono stati sequestrati alla ricerca di elementi utili a ricostruire la vita della coppia, e in particolare le frequentazioni della donna negli ultimi mesi. Messaggi, telefonate, contatti sono al vaglio degli inquirenti che, secondo Bergamo News, sarebbero entrati in possesso di alcune conversazioni che potrebbero rivelarsi significative ai fini delle indagini, ma che ancora è necessario verificare.

    I coltelli

    Gli inquirenti hanno sequestrato numerosi coltelli per verificare se ci siano tracce del sangue della povera ragazza. Sharon è stata colpita da tre profonde coltellate alla schiena e una più superficiale al torace, mentre sul corpo non sono visibili segni di una tentata difesa.

    L’agguato

    A prendere sempre più corpo è l’ipotesi che la 33enne sia stata colpita di sorpresa dal suo aggressore. Ad avvalorarla diversi elementi. In primo luogo, le informazioni dedotte dall’autopsia. I testimoni che erano in via Castagnate quella notte sostengono di aver sentito la donna urlare per chiedere aiuto dopo essere stata accoltellata, ma di non aver udito alcun rumore o discussione animata in precedenza. Il killer, dunque, sarebbe arrivato improvvisamente alle spalle di Sharon Verzeni non lasciandole il tempo di accorgersi della sua presenza: la 33enne, che era uscita a camminare come era solita fare anche a tarda ora, indossava con ogni probabilità gli auricolari, e potrebbe essere questo il motivo che le ha impedito di sentire l’assassino arrivare.

    Il balordo

    Un’aggressione premeditata da chi conosceva le abitudini della barista o l’attacco di un balordo. Queste le due strade investigative. Proprio in direzione della seconda procedono le ricerche nella zona di Terno d’Isola di un pregiudicato 40enne notato camminare nervosamente nella mattina di martedì nella zona di via Castagnate e poi perso di vista. In zona, l’uomo, domiciliato a Capriate San Gervasio, è conosciuto come un attaccabrighe e ha precedenti con la giustizia.

    Le telecamere

    Le immagini delle telecamere della zona sono al setaccio: com’è possibile che in una zona così ben videosorvegliata il killer sia riuscito a sfuggire agli occhi elettronici? È fondamentale capire chi, come e quando ha circolato quella sera dopo mezzanotte oppure si è aggirato attorno alla pasticceria dove lavorava Sharon Verzeni. Per poter avere tutti gli elementi e ricostruire l’omicidio è necessario ricostruire anche i movimenti attorno al luogo del delitto, anche a largo raggio.

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      Storie vere

      Alla faccia dell’errore giudiziario. Storia di Sandra: 43 anni in carcere da innocente

      Dopo 43 anni di prigione per un omicidio che non aveva commesso, Sandra Hemme, 64 anni, è stata finalmente dichiarata innocente e liberata. Il caso della donna incarcerata ingiustamente per più tempo negli Stati Uniti.

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        “Vittima di un’ingiustizia”. Con queste parole il giudice Ryan Horsman ha dichiarato innocente la 64enne Sandra Hemme, scarcerata dalla prigione di Chillicothe, in Missouri, dopo aver scontato 43 anni dell’ergastolo a cui era stata condannata per un omicidio che non aveva commesso, quello della bibliotecaria Patricia Jeschke, uccisa nel 1980 a St. Joseph, nel Missouri. A supporto della sua innocenza, rivela la CNN, le prove presentate dall’avvocato della donna, Sean O’Brien, prove che secondo il giudice hanno dimostrato l’estraneità della donna all’omicidio e quindi la sua innocenza. Nonostante questo, per mesi il procuratore generale repubblicano Andrew Bailey si è opposto alla scarcerazione di Hemme.

        Più volte il procuratore generale ha presentato istanze in tribunale cercando di tenere in prigione la donna per scontare condanne per aggressioni avvenute in carcere nei decenni passati. Ma il giudice Horsman il 14 giugno scorso ha stabilito che “la totalità delle prove supporta l’accertamento dell’effettiva innocenza” di Hemme rispetto alla condanna per omicidio. L’8 luglio una Corte d’appello statale ha stabilito che la donna dovesse essere liberata e il 9 luglio Horsman ha stabilito che Hemme dovesse essere rilasciata per tornare a casa con sua sorella.

        Sandra Hemme: un incubo lungo 43 anni

        Secondo il suo team legale dell’Innocence Project, Hemme è stata la donna incarcerata ingiustamente da più tempo negli Stati Uniti. Un’incredibile ingiustizia, durata quattro decenni, che finalmente ha trovato un epilogo positivo.

        La storia di Sandra Hemme è quella di una battaglia lunga e dolorosa. Incarcerata all’età di 21 anni, la sua vita è stata segnata dalla privazione della libertà, dagli errori giudiziari e dall’incessante lotta per dimostrare la propria innocenza. Le nuove prove presentate dal suo avvocato, Sean O’Brien, hanno finalmente convinto la corte della sua estraneità al delitto, portando alla sua liberazione.

        Il percorso di liberazione

        Nonostante la chiarezza delle nuove prove, la strada verso la libertà non è stata facile per Hemme. Il procuratore generale Andrew Bailey ha cercato in ogni modo di mantenere la donna in prigione, presentando istanze per condanne legate ad aggressioni avvenute durante la detenzione. Tuttavia, il giudice Ryan Horsman ha respinto queste richieste, sottolineando che la totalità delle prove dimostrava l’innocenza di Hemme riguardo all’omicidio per cui era stata condannata.

        Una nuova vita

        Ora, Sandra Hemme può finalmente tornare a casa, iniziando un nuovo capitolo della sua vita accanto alla sorella. La sua storia rappresenta un potente monito sull’importanza di una giustizia equa e accurata, e una testimonianza della resilienza umana di fronte alle avversità.

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          Storie vere

          Come fare la generosa con il portafoglio… degli altri!

          Una famiglia padovana in vacanza a Riva del Garda ha trovato un portafoglio contenente molto denaro, carte di credito e documenti che hanno prontamente restituito alla legittima proprietaria titolare di un ristorante molto noto della zona. Un invito a cena per sdebitarsi…? Si certo ma con una sorpresa finale.

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            Si fa presto a dire ricompensa. Un portafoglio smarrito viene riconsegnato a un ristoratore di Riva del Garda che come ricompensa invita a cena i suoi angeli custodi. Ma…

            Il bel gesto ripagato con una cena

            … ma è successo che questa azione benemerita è diventato un caso. E come mai? Fondamentalmente perché nei paesi dove la cronaca locale latita appena accade qualcosa di particolare, i giornali e i lettori trovano pane per i loro denti. Il fatto è semplice. Una ristoratrice di Riva del Garda aveva smarrito il suo portafoglio su una panchina sul lungo lago. Una famiglia padovana in vacanza nella località gardenese, lo avevo trovato e ha provveduto a restituirlo alla legittima proprietaria. Per sdebitarsi del bel gesto, – dopo aver sborsato subito 50 euro per ringraziare il figlio quindicenne della famiglia – la ristoratrice generosa come ricompensa aveva deciso di invitare tutti a cena.

            Ma qualcosa è andata storta

            Il portafoglio conteneva carte di credito, molto denaro contante e i documenti personali della sua proprietaria. La famiglia si è recata nel ristorante ma alla fine della cena la gratuità annunciata si è trasformata in un conto di 80 euro a cui era stato applicato uno sconto del 10%. Senza protestare, la famiglia, un po’ incredula, ha saldato la cifra e ha lasciato il locale educatamente. L’episodio non è passato inosservato ai paesani, che lo hanno segnalato alla stampa locale. Finalmente un bel caso di cronaca da raccontare, vista la risibilità degli argomenti a disposizione.

            Disattenzione, scuse e nuovo invito a cena

            Diventata quindi il caso del giorno la ristoratrice si è subito ravveduta e ha giustificato il suo gesto come una semplice disattenzione. Tutta colpa del gran caldo e del troppo lavoro di questo periodo, ha argomentato la proprietaria del ristorante. Disattenzione dovuta alla stanchezza e allo stress di questi giorni di fine estate. Dopo le scuse pubbliche il giorno successivo la famiglia è stata invitata nuovamente a cena, questa volta senza dover pagare un euro.

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              Cronaca

              Non poteva pagarsi il volo: 36enne nigeriano si fa arrestare a Varese per essere rimpatriato

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                Non potendo permettersi un biglietto aereo, ha trovato una strada alternativa: farsi arrestare. È la storia, raccontata da La Prealpina, di un 36enne nigeriano residente nel Varesotto, che pur di tornare in patria dalla sua famiglia ha deciso di cercare l’espulsione attraverso un gesto plateale.

                Il copione si è consumato venerdì alla stazione ferroviaria di Varese. L’uomo, in pieno giorno, si è acceso uno spinello proprio davanti agli agenti della Polfer, con l’evidente obiettivo di attirare la loro attenzione. Mossa riuscita. Fermato e perquisito, addosso gli è stato trovato un etto e mezzo di hashish. A quel punto è scattato l’arresto, e la sua comparizione in tribunale per la convalida.

                È stato in quell’aula che il suo piano è diventato evidente. Quando il giudice ha comunicato che la pena sarebbe stata convertita in espulsione, il 36enne ha reagito con entusiasmo: «Benissimo, ci sono riuscito!». Una frase che lascia pochi dubbi sulle sue reali intenzioni.

                Dietro alla vicenda non c’è la ricerca di profitto né un traffico organizzato. L’uomo percepisce la Naspi dopo anni di lavoro in una fabbrica del Varesotto e manda gran parte del sussidio alla sua famiglia in Nigeria. Il suo unico desiderio, spiegano i magistrati, era quello di rientrare a casa, senza avere i mezzi economici per farlo con le proprie forze.

                Non è nemmeno la prima volta. Lo scorso marzo lo stesso 36enne aveva provato a ottenere il rimpatrio inscenando una crisi a bordo di un treno, costringendo i passeggeri a chiamare la polizia. Anche in quell’occasione era stato fermato, ma il tentativo non aveva prodotto l’effetto sperato.

                Questa volta invece la sua strategia ha avuto esito. Ora, come previsto dalle norme, sarà espulso e accompagnato in Nigeria. Un caso che solleva interrogativi sul funzionamento delle procedure di rimpatrio e sulla disperazione di chi, pur regolarmente presente in Italia, sceglie di passare dalle aule giudiziarie per raggiungere il proprio obiettivo: tornare a casa.

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