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Cronaca

«Siamo dello staff del ministro Crosetto»: così la banda ha truffato grandi imprenditori per centinaia di migliaia di euro

Moratti e Beretta raggirati, conti esteri già attivati e promesse di riscatti fantasma per giornalisti mai rapiti: la truffa che ha usato il nome di Guido Crosetto ha già fatto decine di vittime nel mondo dell’alta finanza. Ora la procura indaga sulla banda di professionisti, tra numeri clonati e bonifici milionari.

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    La truffa è colossale. Non tanto per la somma di denaro sottratta — comunque impressionante — ma per la qualità dello stratagemma, la portata delle vittime coinvolte e il personaggio utilizzato come esca: Guido Crosetto, ministro della Difesa in carica. Una banda di truffatori ha sfruttato il suo nome, il suo ruolo istituzionale e quello del suo staff per mettere in atto un raggiro studiato nei minimi dettagli. Obiettivo? Ottenere centinaia di migliaia di euro da imprenditori di altissimo profilo, convinti di contribuire a un’operazione segreta per la liberazione di giornalisti rapiti all’estero.

    Tra le vittime c’è Massimo Moratti, che ha già sporto denuncia. Ma non è il solo. Anche la famiglia Aleotti del gruppo Menarini e quella Beretta, famosa per la multinazionale produttrice di armi, hanno presentato formale denuncia. Altre personalità, come Giorgio Armani, Patrizio Bertelli, Marco Tronchetti Provera e Diego Della Valle, sarebbero state contattate dalla banda, anche se non è chiaro se siano cadute nel tranello. Intanto, la procura di Milano sta lavorando per bloccare il flusso di denaro già finito su conti esteri. È una corsa contro il tempo.

    Il modus operandi: come funzionava la truffa

    Il piano era diabolico e ben orchestrato. In almeno un caso, la telefonata iniziava con un finto membro dello staff del ministro: «Resti in linea, le passo il ministro Crosetto». Dall’altro capo del telefono, una voce si spacciava per il ministro stesso e raccontava di una situazione gravissima: giornalisti italiani rapiti in Siria o in Iran. Per liberarli, era necessario pagare un riscatto immediato. «È una cosa segretissima, è in campo l’intelligence. La Repubblica ha bisogno di una sua sponda», diceva il falso Crosetto. E poi l’assicurazione: «Restituiremo tutto entro pochi giorni tramite la Banca d’Italia. La Repubblica le sarà riconoscente».

    I truffatori chiedevano somme importanti, spesso in più tranche, e tenevano costantemente aggiornate le vittime per guadagnarne la fiducia. «Serve un altro sforzo…», insistevano al telefono, fino a ottenere cifre sempre più alte. Il linguaggio era perfetto, il tono convincente. Ma non per tutti.

    La scoperta della truffa e le prime denunce

    La truffa è venuta a galla martedì 4 febbraio, quando un grande imprenditore — amico personale di Guido Crosetto — si è insospettito. Ha contattato direttamente il ministro chiedendogli perché avesse chiesto il suo numero di telefono tramite la segreteria. Crosetto, stupito, ha capito immediatamente che qualcosa non tornava. Un’ora dopo, un secondo imprenditore lo ha chiamato per raccontare di essere stato contattato da lui e poi da un sedicente generale, effettuando un bonifico a un conto indicato dai truffatori.

    Mercoledì, un altro grande imprenditore si è fatto avanti, raccontando una storia simile. Giovedì, altre due personalità di spicco hanno dichiarato di essere state contattate a nome del ministro. In appena tre giorni, almeno cinque casi documentati.

    Giovedì 6 febbraio, Crosetto ha denunciato tutto su “X” (ex Twitter), definendo la vicenda «un’assurdità». La procura di Milano, guidata da Marcello Viola, ha immediatamente aperto un fascicolo per truffa aggravata. Il pm Giovanni Tarzia sta coordinando il lavoro dei carabinieri per ricostruire ogni dettaglio della truffa e individuare i responsabili.

    Una truffa hi-tech: l’ombra dell’intelligenza artificiale

    Uno degli aspetti più inquietanti di questa truffa è il livello di sofisticazione tecnologica. I truffatori hanno utilizzato numeri telefonici clonati, alcuni con prefissi di Roma, altri apparentemente legati allo staff del ministro. I numeri, plausibili e ben costruiti, potrebbero essere stati attivati dall’estero. Si indaga anche sull’ipotesi che sia stata usata l’intelligenza artificiale per replicare la voce del ministro, anche se questa possibilità è stata inizialmente esclusa dagli investigatori.

    Chi conosce bene Crosetto ha subito capito che non si trattava della sua voce, ma per chi non ha familiarità con il suo timbro, il raggiro poteva sembrare assolutamente autentico.

    Le denunce e il ruolo delle vittime

    Attualmente sono tre le denunce ufficiali arrivate sulla scrivania del pm Tarzia. Oltre a quella di Massimo Moratti, ci sono gli esposti della famiglia Aleotti del gruppo Menarini e della famiglia Beretta. Ma la lista delle vittime contattate dalla banda potrebbe essere molto più lunga. Gli investigatori stanno lavorando per ascoltare uno a uno tutti i grandi nomi coinvolti, sia per raccogliere testimonianze sia per valutare l’entità del danno subito.

    Tra i nomi più noti figurano Giorgio Armani, Diego Della Valle, Marco Tronchetti Provera, Patrizio Bertelli e Francesco Caltagirone. Non è ancora chiaro se qualcuno di loro sia caduto nella rete dei truffatori o se si sia limitato a segnalare il tentativo di truffa.

    L’indagine in corso e la caccia ai conti esteri

    L’indagine si sta ora concentrando sul flusso di denaro. I bonifici effettuati dalle vittime sono stati indirizzati su conti esteri, che gli inquirenti stanno cercando di rintracciare e congelare. Si tratta di un lavoro complesso e delicato, che richiede la collaborazione delle autorità bancarie internazionali.

    La banda, composta evidentemente da professionisti, aveva studiato tutto nei minimi dettagli, sfruttando le falle del sistema per confondere le vittime e ottenere denaro senza lasciare tracce evidenti. Ma ora è corsa contro il tempo per fermare il giro di soldi e assicurare i responsabili alla giustizia.

    Questa storia, oltre a rappresentare un caso di truffa senza precedenti, solleva inquietanti interrogativi sulla vulnerabilità delle figure di alto profilo. Quando persino un ministro può essere utilizzato come esca per un raggiro, diventa evidente che nessuno è davvero al sicuro.

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      Mondo

      Altro che Kung Fu Panda! Shaolin shock: l’abate “monaco Ceo” cacciato tra soldi, donne e scandali

      Il maestro del kung fu e degli affari, simbolo del Tempio Shaolin, è stato ridotto allo stato laicale. Accuse di appropriazione indebita, figli illegittimi e un impero commerciale sotto indagine

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        La meditazione non basta. Nemmeno le arti marziali, a quanto pare. In Cina, il colpo di gong non arriva da una sfida di kung fu, ma da un’inchiesta. Che travolge Shi Yongxin, l’abate più famoso del Tempio Shaolin, la culla millenaria del buddismo Chan e delle acrobazie marziali da film.

        Le accuse? Appropriazione indebita di fondi del monastero, gestione opaca dei beni del tempio e gravi violazioni dei precetti buddisti. Quest’ultima voce, che in Occidente farebbe sorridere, in Cina ha il peso di uno scandalo morale. Relazioni con più di una donna e almeno un figlio illegittimo, in aperto contrasto con la vita monastica.

        A confermare le voci è stato lo stesso Tempio Shaolin, attraverso una nota ufficiale su WeChat. Shi Yongxin è stato sospeso dal ruolo di guida spirituale. E ridotto allo stato laicale. Una caduta rovinosa per colui che per vent’anni era stato il volto del monastero e del kung fu nel mondo, trasformandolo in un brand globale.

        Shi non era un monaco qualunque. Dalla sua nomina ad abate nel 1999, ha reso Shaolin un impero commerciale. Tour per turisti, spettacoli internazionali di arti marziali, film e merchandising a tema monaco volante. Da Hollywood a Bollywood, chiunque abbia visto un calciatore saltare in aria in Shaolin Soccer ha assaggiato la sua idea di business spirituale. E così è arrivato il soprannome impietoso: “monaco Ceo”, più a suo agio con i conti bancari che con il silenzio della meditazione.

        Ora però, i conti li sta facendo con la polizia e con le autorità anticorruzione. L’indagine congiunta coinvolge forze dell’ordine, organi religiosi e uffici statali, decisi a fare chiarezza su un patrimonio che si è trasformato in una rete di società e fondazioni. Shi, secondo i registri di Qichacha, risultava legato a otto aziende, di cui cinque già liquidate. Tra quelle ancora attive spiccano l’Associazione buddista di Zhengzhou, la provinciale dello Henan e la China Songshan Shaolin Temple, la cassaforte fondata nel 1995 per monetizzare l’aura spirituale del monastero. Ma i controlli si allargano: 17 altre entità tra scuole di kung fu, centri di meditazione e aziende di medicina tradizionale sono finite sotto la lente.

        Non è la prima volta che Shi finisce al centro di un giallo finanziario e morale. Nel 2015 un monaco “dissidente” lo accusò di amanti, auto di lusso e figli segreti, mentre il tempio progettava un resort da 300 milioni di dollari in Australia con campo da golf e accademia di kung fu vista oceano. All’epoca le accuse furono archiviate nel 2017 e lui riapparve in pubblico come se nulla fosse, pronto a riprendersi applausi e flash. Ma stavolta l’aria è diversa: la sospensione è ufficiale, la laicizzazione definitiva, e la sua immagine di maestro serafico sembra destinata a rimanere solo sulle locandine dei vecchi spettacoli itineranti.

        Nel frattempo, il tempio Shaolin cerca di ripulire la sua immagine, ricordando al mondo che oltre ai colpi di kung fu ci sono ancora monaci pronti a meditare tra le nebbie del monte Song. E Shi? Lui, il monaco imprenditore, il campione delle arti marziali e della finanza creativa, ora sembra avere davanti un solo avversario che non si può battere a calci volanti: la legge.

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          Politica

          Pier Silvio, lo sapevamo! E ora se ne accorge anche Elon Musk…

          È bastato un sondaggio su X per confermare quello che in pochi osavano dire ad alta voce: l’aria attorno a Pier Silvio si è fatta politica. E i segnali, per chi li sa leggere, c’erano già tutti.

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            Che Pier Silvio Berlusconi si stia preparando al grande salto, lo diciamo da mesi. Altro che operazione estemporanea, altro che voce di corridoio estiva. Chi ha seguito davvero l’evoluzione di questo “uomo nuovo” della galassia berlusconiana — il figlio silenzioso, manageriale, quasi allergico ai riflettori — sa bene che certi segnali non arrivano mai per caso. Ora a certificare l’odore di politica è anche Andrea Stroppa, l’uomo-ombra di Elon Musk in Italia, che da X lancia l’endorsement più bizzarro dell’estate: “Pier Silvio in politica sarebbe positivo. E divertente”. In tempi normali, verrebbe da sorridere. Ma qui si parla della piattaforma social preferita dai potenti, e di un nome che, con tutto il suo low profile, fa tremare ancora qualche sismografo.

            Stroppa, senza un partito né un programma, si spinge a dichiarare che un eventuale movimento guidato da Pier Silvio sarebbe già intorno al 15%. Con che base, non si sa. Ma il messaggio è chiaro: da oltreoceano l’ipotesi piace. E quando Musk fiuta qualcosa, anche solo per gioco, c’è sempre qualcuno che prende nota. A partire da chi ha interesse a vedere cambiare volto (e stile) al centrodestra.

            Certo, ufficialmente Pier Silvio continua a dirsi estraneo alla politica. Ma intanto ha ripulito Mediaset, ha imposto una nuova linea editoriale, ha tagliato le unghie al trash di partito, ha ricostruito un’identità aziendale fatta di ordine e sobrietà. E ora viene celebrato da quelli che — a parole — odiano la “casta”, ma in fondo cercano proprio un nuovo principe ereditario a cui aggrapparsi.

            Non serve che parli, per essere ascoltato. Non serve che si candidi, per fare paura. Pier Silvio c’è, eccome. E chi lo ha capito in tempo, oggi non ha bisogno di sondaggi per fiutare dove tira il vento.

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              Cronaca Nera

              Assalto in chiesa con pistola a salve: tentativo di rapina durante la funzione religiosa

              La pistola era finta, la paura no. A Sant’Anastasia, in provincia di Napoli, questa mattina si è vissuto un incubo tra i banchi della cappella del complesso delle suore domenicane: un uomo mascherato ha fatto irruzione durante la messa delle prime ore del giorno, armato e deciso a rapinare i presenti.

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                È successo ieri mattina tra le 7 e le 8, quando il silenzio della preghiera è stato interrotto da urla e terrore. L’uomo – il volto nascosto da un passamontagna, la mano stretta attorno a una pistola – ha fatto irruzione all’interno della cappella dove si stava celebrando la funzione religiosa. Senza dire una parola ha puntato l’arma addosso ai fedeli, ordinando loro di consegnare denaro e oggetti di valore. Qualcuno ha provato a calmare gli animi, qualcun altro si è immobilizzato, paralizzato dalla paura. Poi lo sparo. Secco, improvviso. Il colpo, si scoprirà poco dopo, era a salve. Ma in quel momento nessuno poteva saperlo.

                L’eco dello sparo ha scatenato il panico. Alcuni si sono buttati a terra, altri hanno urlato, le suore si sono strette in preghiera. Il rapinatore ha atteso qualche istante, forse per valutare la reazione, forse per convincersi che non ne valeva la pena. Poi, senza portare via nulla, ha fatto dietrofront ed è fuggito a piedi, scomparendo per le strade del paese prima che qualcuno potesse bloccarlo.

                Sull’episodio indagano ora i carabinieri, che hanno acquisito le immagini delle telecamere presenti nella zona. Al momento non risultano feriti, ma lo shock tra i presenti è profondo. “Sembrava una scena da film – ha raccontato una delle sorelle – ma era tutto vero. Non avevamo mai vissuto una cosa simile. Qui si viene per pregare, non per morire”.

                In attesa che l’uomo venga identificato e arrestato, resta una domanda amara: se persino la sacralità di una chiesa al mattino non basta più a fermare un’arma – vera o finta che sia – allora, davvero, non c’è più religione.

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