Storie vere
Il mio corpo, le mie regole (e il mio stipendio): la storia della maestra di Trevignano su OnlyFans
Si chiama Elena Maraga e, di professione, fa l’educatrice in una scuola cattolica. E’ finita al centro della polemica per il suo profilo OnlyFans. Tra bodybuilding, libertà di espressione e uno stipendio insostenibile, racconta la sua scelta e la reazione di genitori e scuola. Ma davvero una maestra non può avere una vita privata?

La scena che si può immaginare è quantomeno comica: un genitore naviga su OnlyFans (per puro caso, ovviamente…) e incappa nel profilo di Elena Maraga, 29enne educatrice in una scuola cattolica del Trevigiano. Apriti cielo! In un batter d’occhio, la questione finisce sulla scrivania della responsabile scolastica e poi, come in ogni soap opera degna di questo nome, su Facebook.
Cducatrice di giorno, content creator di notte
“Il mio corpo è un belvedere, guardarlo non deve essere gratuito” ha dichiarato Elena. E in effetti, dietro questa scelta, c’è una realtà ben più concreta: lo stipendio da educatrice non basta a mantenersi. La Maraga, laureata in Scienze dell’Educazione e appassionata di bodybuilding, racconta la sua decisione con schiettezza. “Ho aperto OnlyFans un mese fa, e sta già andando bene. Ho fatto i calcoli: il guadagno orario tra i due lavori non è nemmeno paragonabile”.
Una richiesta di chiusura del profilo da parte dell’istituto
La scuola, manco a dirlo, non l’ha certo presa bene. Le è stato chiesto di chiudere il profilo per non danneggiare l’immagine dell’istituto. Ma Elena non ci sta: “Non mi vergogno di nulla, nel contratto non c’è scritto che non posso pubblicare contenuti sui social”.
Genitori indignati… ma qualcuno fra loro è pure appassionato di donne nude
La polemica monta e i genitori si dividono. Alcuni la difendono: “Sei una maestra fantastica, non vogliamo perderti”. Altri, invece, storcono il naso: “Non è un buon esempio per i nostri figli”. Ma Elena fa notare una cosa interessante: “Se hanno visto il mio profilo, vuol dire che sono iscritti a OnlyFans. E allora, dove sta il problema?”.
Ma doppia morale e il vero problema: i soldi
Oltre allo scandalo morale, c’è un tema molto più concreto da considerare: gli stipendi nel settore educativo. “Con 1.200 euro al mese, una giovane donna che vive da sola non può fare nulla”, spiega Elena. “In Italia c’è ancora tanta ipocrisia sul corpo e sulla sessualità, ma se un lavoro non ti permette di vivere, è normale cercare alternative”.
Che cosa accadrà ora?
Licenziamento? Il rischio è concreto, ma Elena non sembra intenzionata a tornare indietro. Anzi, sta già guardando oltre: “Sto studiando per diventare personal trainer e faccio shooting fotografici nel tempo libero”. Se la scuola la allontanasse, con un profilo OnlyFans in crescita, potrebbe essere la scuola a perdere di più. In fondo, insegnare libertà di scelta e indipendenza economica non dovrebbe essere una cattiva lezione, no?
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Storie vere
La donna con la barba più giovane al mondo è Harnaam Kaur, Guinness World Records nel 2016.
Soffre della sindrome dell’ovaio policistico (PCOS), una patologia che può causare, tra le altre cose, una crescita eccessiva di peli (irsutismo).

La storia di Harnaam Kaur è una vera e propria rivoluzione. Questa donna britannica di 34 anni, affetta dalla sindrome dell’ovaio policistico (PCOS), ha trasformato la sua caratteristica più evidente – la barba – in un simbolo di forza e autoaccettazione. Harnaam non è solo un’icona visiva, ma soprattutto una voce potente nel movimento body positivity. L’ovaio policistico è una espressione di una complessa alterazione funzionale del sistema riproduttivo. Una alterazione dovuta all’aumento degli ormoni maschili (androgeni), causa di segni e sintomi quali: irsutismo (eccesso di peluria su viso e corpo), e alopecia androgenetica (acne e calvizie di tipo maschile).
La bellezza della diversità
Fin dall’infanzia, Harnaam ha affrontato il bullismo e il giudizio sociale per il suo aspetto. Inizialmente, come molte persone che si sentono diverse, ha cercato di conformarsi, radendosi la barba per adeguarsi agli standard tradizionali di bellezza femminile. Tuttavia, questo non ha fatto altro che accrescere il suo disagio interiore. La svolta è arrivata quando ha deciso di abbracciare la sua unicità e smettere di lottare contro la sua natura. Ha trasformato quella che molti consideravano una debolezza in un punto di forza, trovando nella sua barba non un motivo di vergogna, ma una “corona” da indossare con fierezza.
Un’attivista per l’autoaccettazione
Oggi, Harnaam Kaur è una delle voci più influenti nel mondo della body positivity. Attraverso i social media e le sue apparizioni pubbliche, trasmette un messaggio chiaro. Ovvero che la bellezza non è un concetto rigido e predefinito, ma un’espressione autentica di sé. Il suo motto, “Non abbiamo bisogno di rientrare in schemi per essere belli”, è un invito a chiunque si senta inadeguato rispetto ai modelli imposti dalla società. La sua storia ha ispirato migliaia di persone a rivalutare il proprio valore personale, al di là delle etichette. Harnaam ha collaborato con importanti brand di moda impegnati a promuovere la diversità, sfidando gli stereotipi e dimostrando che la bellezza risiede nella fiducia in se stessi.
Per Harnaam Kaur un messaggio di coraggio e amore per sé
Molto più di una semplice detentrice di un record mondiale – riconosciuto ufficialmente dal Guinness World Records nel 2016 – l’esistenza e il coraggio di Harnaam Kaur dimostrano che la vera forza sta nell’accettarsi e nell’amarsi incondizionatamente. Un esempio che insegna quanto non si debba permettere agli altri di definire chi siamo o quanto valiamo. Nel suo percorso, Harnaam ha trasformato la sua esperienza personale in un movimento più ampio, aiutando chiunque si senta escluso o giudicato a trovare la forza di essere se stesso.
Storie vere
Non è mai troppo tardi: condannato per bancarotta, finisce in carcere a 94 anni
Un uomo di 94 anni entra nel carcere di Sollicciano, Firenze: la sua condanna per bancarotta fraudolenta è diventata definitiva. Una vicenda che interroga il rapporto tra giustizia, età e dignità.

Un ex imprenditore fiorentino è stato incarcerato all’età di 94 anni in seguito a una condanna per bancarotta fraudolenta. Il reato risale a oltre 15 anni fa, ma la giustizia ha seguito il suo corso fino alla definitiva esecuzione della pena. Le sue condizioni fisiche sono fragili, ma la legge non ha previsto alternative alla detenzione in carcere. Un caso che solleva interrogativi sulla gestione giudiziaria delle persone ultra-novantenni.
Il caso
I fatti risalgono a oltre quindici anni fa, quando l’azienda da lui amministrata andò incontro a un fallimento considerato doloso. All’epoca l’uomo aveva già 80 anni. La condanna iniziale – quattro anni e otto mesi – era stata emessa in primo grado e confermata in appello nel 2024. Nessun ulteriore ricorso è stato presentato, e la pena si è quindi trasformata in esecutiva.
Una detenzione che fa discutere
L’uomo si trova ora recluso in una cella del reparto clinico del carcere fiorentino. Le sue condizioni fisiche sono fragili: cammina con un bastone e necessita dell’aiuto di un altro detenuto per i piccoli spostamenti. La decisione di procedere comunque all’incarcerazione, nonostante l’età avanzata e la salute compromessa, ha già acceso un dibattito tra giuristi e opinione pubblica.
Giustizia o accanimento
Il caso pone interrogativi etici e giuridici. La legge italiana prevede possibilità alternative alla detenzione per le persone in gravi condizioni di salute o molto anziane, ma queste misure devono essere richieste e approvate attraverso procedimenti specifici. Non risulta che siano state presentate istanze per detenzione domiciliare o differimento pena, e dunque l’uomo è stato trasferito in carcere come qualsiasi altro condannato.
Un sistema da ripensare
Questa vicenda è diventata emblematica di un sistema che, pur nella sua rigidità normativa, rischia di perdere di vista il senso di umanità. È giusto che un uomo di quasi cento anni finisca in carcere per un reato finanziario commesso decenni prima? O è forse il momento di aprire una riflessione seria su come il sistema penale gestisce la fragilità, l’età e la dignità? Un fatto di cronaca che, oltre il caso singolo, certamente racconta molto del nostro rapporto collettivo con il concetto di giustizia.
Storie vere
Stregato dalla luna! Il bandito Albino Carioli dichiarato pazzo per evitare il carcere
Dai furti milionari alle crisi in prigione, la storia del “parigino” che scivolava tra Milano e Pigalle e fu dichiarato pazzo per evitare la condanna.

Nella Milano del dopoguerra, il nome di Albino Carioli circolava nei corridoi del Palazzo di Giustizia tanto quanto tra le strade della città. Arrestato cento volte e cento volte assolto, la sua figura era quella di un bandito astuto, difficile da incastrare, capace di scivolare tra processi e prigioni con la stessa abilità con cui svaligiava le gioiellerie. Lo chiamavano “il profumiere”, perché da giovane gestiva un negozio vicino a casa sua, in corso XXII Marzo, a Milano. Poi “il parigino”, per via della sua fuga a Place Pigalle, quando aveva deciso di allontanarsi dal suo ambiente milanese dopo un colpo da 45 milioni di lire in una oreficeria di via Savona.
Furti, rapine e poi la perizia svizzera: il ladro impazzisce con la luna
Lontano dall’Italia, per campare si dedicava a furti meno spettacolari: portafogli, valigie, oggetti di lusso rubati nei vicoli di Parigi. Ma quando la polizia francese lo acciuffò per un furtarello, si rese conto di aver messo le mani su un ricercato internazionale. Eppure il colpo più incredibile lo fece a livello giudiziario. Arrestato in Svizzera per una rapina, durante la detenzione iniziò ad avere crisi violentissime, con urla laceranti udite persino dalle case vicine. Il suo caso finì sotto l’analisi di due psichiatri, che dopo 18 mesi di osservazione firmarono un verdetto che lo rese una leggenda: “Il bandito che impazzisce quando cambia la luna”. Secondo i medici, soffriva di un disturbo psichico ciclico, simile alla licantropia, che lo rendeva non imputabile. Rimandato in Italia, si liberò di tutte le accuse, e tornò alla sua vita da fuggitivo.
Il declino di Albino il “parigino”
Nel 1956 fu ricercato per un furto clamoroso alla stazione Centrale: una valigetta contenente francobolli rari del Regno delle Due Sicilie, per un valore altissimo. Ma questa volta i giornali lo raccontarono con un tono diverso. Non più il ladro elegante e sfuggente, ma un uomo sulla via del declino. Il “profumiere”, che un tempo faceva tremare le gioiellerie, si era ridotto a rubare in treno, come un comune borseggiatore. Il destino di Albino Carioli rimane avvolto nel mistero: nessuno conosce la sua data di nascita, né quella della sua morte. Ma la sua leggenda, tra colpi spettacolari, fughe, assoluzioni e una follia lunare, continua.
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