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Storie vere

Nauru, la piccola isola del Pacifico che mette in vendita la cittadinanza a peso d’oro

Dall’estrazione del fosfato alla vendita della cittadinanza, la storia di Nauru racconta la lotta di un’isola contro le avversità climatiche ed economiche, con uno sguardo ambizioso al futuro.

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    Nauru, una piccola isola nel cuore dell’Oceano Pacifico, ha una storia straordinaria. I suoi primi abitanti, i Micronesiani, arrivarono intorno al 1000 a.C. Nel corso dei secoli, l’isola ha subito numerosi cambiamenti, passando sotto il controllo della Germania nel XIX secolo. Durante questo periodo, il paese fu segnato da un conflitto interno, la guerra civile nauruana, risolta grazie all’intervento tedesco. Successivamente, una scoperta avrebbe cambiato il destino di Nauru: il fosfato.

    Secoli di sfruttamento per lasciarla senza risorse

    Agli inizi del XX secolo, cercatori australiani identificarono riserve di fosfato sull’isola. Il prezioso minerale venne intensamente sfruttato. Inizialmente sotto l’amministrazione congiunta di Germania e Australia. Poi dopo le due guerre mondiali durante anche dalle amministrazioni britannica, australiana e neozelandese. Grazie ai proventi dell’estrazione mineraria, Nauru ottenne una notevole prosperità economica, raggiungendo, a un certo punto, uno dei livelli di reddito pro capite più alti al mondo. Tuttavia, questa ricchezza era destinata a esaurirsi: i depositi di fosfato si esaurirono quasi completamente negli anni ’90, lasciando l’isola in una situazione economica precaria.

    L’isola dell’Oceano Pacifico praticamente inabitabile

    Oggi, oltre l’80% dell’isola è inabitabile a causa dell’intensa attività mineraria, con un paesaggio devastato e la maggior parte degli abitanti concentrati lungo la costa. La minaccia dell’innalzamento del livello del mare, dovuta al cambiamento climatico, rappresenta un’ulteriore sfida esistenziale per l’isola. Nonostante questi problemi, il popolo nauruano ha trovato nuove vie per garantire la sopravvivenza della propria nazione.

    Passaporto in vendita

    Recentemente, Nauru ha attirato l’attenzione internazionale con il suo programma di “passaporto d’oro”, un’iniziativa per raccogliere fondi offrendo la cittadinanza agli stranieri in cambio di un contributo economico. Per una cifra complessiva di 140.500 dollari statunitensi, gli acquirenti possono ottenere un passaporto che dà accesso a 87 paesi senza necessità di visto, oltre a contribuire direttamente al futuro dell’isola. I fondi raccolti verranno utilizzati per iniziative cruciali, come il trasferimento dei cittadini in aree più elevate. Oppure per la costruzione di abitazioni ecologiche e la realizzazione di progetti di resilienza climatica, come l’installazione di energia solare e sistemi di sicurezza idrica.

    AAA cercasi nuovi investitori contro il cambiamento climatico

    L’idea di vendere la cittadinanza di Nauru, presentata alla Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici del 2024, rappresenta una delle molteplici strategie di adattamento che l’isola ha adottato. Come ha dichiarato il Ministro per i cambiamenti climatici, Asterio Appi, l’iniziativa non solo garantisce un futuro migliore per l’isola, ma invita anche gli investitori a partecipare attivamente alla lotta globale contro il cambiamento climatico.

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      Storie vere

      “Sei sporca, brutta e grassa”: 12enne bullizzata in classe, la scuola condannata a risarcire 60mila euro

      Una 12enne di Pescara è stata vittima di bullismo per mesi, senza che la scuola intervenisse tempestivamente. Gli insulti e le vessazioni subiti l’hanno costretta a cambiare scuola e hanno causato gravi danni psicologici. Dopo otto anni di battaglie legali, la Corte d’appello dell’Aquila ha condannato l’istituto a risarcire la ragazza e la sua famiglia con 60mila euro, criticando duramente l’indolenza della scuola nel proteggere la studentessa.

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        La storia di una 12enne bullizzata nella sua scuola media di Pescara fa ancora parlare. Offese, insulti e vessazioni quotidiane l’hanno costretta a vivere un incubo durato mesi, senza che la scuola intervenisse tempestivamente. La bambina, oggi 23enne, ha finalmente ottenuto giustizia: la Corte d’appello dell’Aquila ha condannato l’istituto a risarcire lei e la sua famiglia con 60mila euro per non aver preso provvedimenti adeguati contro il bullo.

        Un incubo lungo otto anni

        “Tu sei una ragazza sporca, come tua madre, fai cose sporche, sei una p… Sei brutta, grassa, guardati”. Queste le parole che risuonavano nella mente della 12enne ogni giorno. Le offese e le umiliazioni arrivavano dal suo coetaneo, compagno di classe, che la perseguitava continuamente. La scuola, invece di intervenire immediatamente, ha lasciato che la situazione degenerasse.

        La lenta risposta della scuola

        La scuola ha sospeso il bullo solo per una settimana, una misura ritenuta insufficiente dai giudici. Le testimonianze dei compagni di classe hanno evidenziato l’indifferenza del corpo docente e la mancanza di interventi adeguati. “I professori sapevano che la mia amica era bullizzata e non hanno mai rimproverato quel ragazzo,” ha dichiarato una compagna di classe. Questa indifferenza ha portato la bambina a perdere 20 chili, a cambiare scuola e a perdere l’anno scolastico.

        La sentenza e le critiche alla scuola

        La Corte d’appello dell’Aquila ha confermato la condanna della scuola, sottolineando l’obbligo di vigilanza e protezione degli studenti. “Il compito della scuola era quello di tutelare la minore, adempiendo all’obbligo di controllo e vigilanza prima che si verificasse la situazione di pericolo e non intervenire in un momento successivo,” hanno scritto i giudici nella sentenza.

        Un lungo cammino verso la giustizia

        Otto anni di udienze e sofferenze ripercorse in tribunale hanno finalmente portato giustizia alla ragazza e alla sua famiglia. Il risarcimento di 60mila euro è solo un parziale sollievo per il dolore subito, ma rappresenta un importante riconoscimento della responsabilità della scuola. La giovane, ora 23enne, ha ripreso in mano la sua vita grazie a cure e sostegno psicologico, ma le ferite lasciate dal bullismo e dall’indifferenza della scuola rimarranno per sempre.

        Una lezione amara

        Questa vicenda evidenzia la necessità di un intervento immediato e deciso contro il bullismo nelle scuole. Le istituzioni educative hanno il dovere di proteggere i loro studenti e di creare un ambiente sicuro e supportivo. Speriamo che questa sentenza serva da monito affinché nessun altro bambino debba soffrire come la giovane di Pescara.

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          Storie vere

          Jessica Cox: la pilota senza braccia che ha deciso di conquistate i cieli

          Questa storia è un promemoria potente per tutti noi su come le avversità possano trasformarsi in trampolini di lancio per nuove imprese.

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            Ci sono persone che nascono per infrangere limiti e riscrivere le regole. Jessica Cox, nata senza braccia, è una di queste. La sua storia è quella di una donna che ha scelto di volare più in alto di quanto chiunque avrebbe potuto immaginare. Oggi è la prima donna al mondo a pilotare un aereo usando soltanto i piedi, un’impresa straordinaria che continua ad affascinare e ispirare persone in tutto il mondo.

            Un’infanzia di determinazione e resilienza

            Cresciuta in Arizona, Jessica Cox ha rifiutato fin da bambina di essere definita dalla sua disabilità. Grazie al supporto della sua famiglia, ha appreso una lezione fondamentale: “Non è ciò che hai o che ti manca che conta, ma ciò che fai con quello che hai.” Con una forza di carattere fuori dal comune, Jessica ha imparato a fare tutto con i piedi: mangiare, scrivere, lavarsi i denti, guidare un’auto e persino pettinarsi. La sua determinazione l’ha portata a rompere ogni stereotipo, affrontando con un sorriso e un’immensa sicurezza i pregiudizi che spesso accompagnano le disabilità. Jessica rappresenta una lezione di vita. Un esempio di come l’intraprendenza possa trasformare le sfide in opportunità.

            Per Jessica Cox un sogno è diventato realtà

            Il desiderio di volare non è stato casuale. A 22 anni, durante un’esperienza di volo su un piccolo aereo, Jessica ha scoperto la passione per l’aviazione. Quello che per molti è un hobby inaccessibile, per lei è diventato una missione. Pilotare un aereo senza braccia è stato un grattacapo tecnico e normativo, ma Jessica non si è fermata. Dopo tre anni di intenso addestramento, nel 2008 ha ottenuto la licenza di pilota sportivo. Jessica vola su un Ercoupe, un aereo dotato di comandi accoppiati che possono essere gestiti interamente con i piedi. La sua abilità nel manovrare comandi, pedali e radio con una precisione incredibile è una vera coreografia di destrezza e adattamento.

            Più di una pilota, Jessica è una voce che promuove l’inclusione

            Jessica non ha solo conquistato i cieli, ma anche i cuori. È diventata una speaker motivazionale, condividendo il suo messaggio di inclusione e accettazione in tutto il mondo. Con energia e carisma, dimostra che non esiste un unico “normale” e che accettare se stessi è il primo passo per superare qualsiasi limite. Jessica celebra la diversità e l’autodeterminazione, mostrando al mondo che ogni ostacolo può essere superato con creatività e forza di volontà. Ogni sua azione è un esempio di resilienza: invece di lamentarsi delle difficoltà, reinventa continuamente il suo approccio alla vita con una creatività instancabile.

            Una vita senza limiti

            Oltre a essere una pilota, Jessica è cintura nera di taekwondo, tuffatrice, suona il pianoforte e guida un’auto. È sposata, vive con entusiasmo e continua a esplorare nuovi territori. La sua energia sembra alimentata da un mix unico di determinazione, libertà e gioia di vivere. Ogni volo che intraprende è un manifesto che grida: “I limiti sono fatti per essere superati.” Jessica vola non solo per se stessa, ma per tutti coloro che si sono sentiti dire “Non è possibile.”

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              Storie vere

              Salvare quel castello!! E’ la missione di Isabella Collalto de Croÿ, la principessa del prosecco

              La storia di Isabella dimostra che, a volte, le vere principesse non hanno bisogno di carrozze dorate: basta un bicchiere di Prosecco. Prosit!

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                Un tempo le principesse aspettavano il principe azzurro e vivevano destini incantati. Oggi, molte di loro hanno scelto di rimboccarsi le maniche e di costruire il proprio futuro con determinazione. E con la cazzuola. È questo il caso di Isabella Collalto de Croÿ, che ha trasformato la sua eredità familiare in una missione. Salvare il Castello di San Salvatore a Susegana, un gioiello delle colline trevigiane, uno dei complessi fortificati più grandi d’Europa, grazie alla viticoltura e al Prosecco. Come ha fatto? E soprattutto perché l’ha fatto?

                Isabella ha lasciato la noia di Bruxelles per ritornare alle sue radici

                Nata in una famiglia di origine longobarda, Isabella ha vissuto per anni a Bruxelles, lontana dalle colline trevigiane che avevano visto crescere la sua famiglia per generazioni. Tuttavia, quando il padre, il Principe Manfredo, le chiese aiuto per preservare l’eredità storica del Castello di San Salvatore, decise di tornare. “Avevo qualche timore nell’abbandonare la vita che conducevo,” racconta, “ma il legame con questo luogo era troppo forte”. Questo legame affonda le radici nel Mille, inteso come periodo storico, quando la famiglia Collalto governava Treviso con il titolo di Conti. Nei secoli successivi il Castello si trasformò in un centro culturale, ospitando musicisti, letterati e artisti come Cima da Conegliano, che ne immortalarono la bellezza nei loro dipinti.

                Dalla Prima Guerra Mondiale alla rinascita moderna

                La storia del castello subì una drammatica svolta con la Prima Guerra Mondiale. Quando il fronte si spostò dal fiume Isonzo al Piave, il maniero diventò bersaglio dell’artiglieria italiana, riportando gravi danni. Nonostante la devastazione, la famiglia Collalto non si arrese e avviò un lungo processo di restauro, volto a recuperare lo straordinario patrimonio storico-artistico. Isabella ricorda bene le condizioni in cui ha trovato il castello. “Fino all’inizio del nuovo millennio era ancora un cantiere”, spiega, “le finestre erano chiuse con assi di legno”. Ma a ridare tono e vita al Castello di San Salvatore è stato il vino. In particolare il Prosecco, che ha finanziato i lavori di recupero. “La viticoltura ci ha permesso di ricostruire questo maniero”, dice Isabella.

                I Collalto: viticoltori per tradizione

                Dal Medioevo fino ai giorni nostri, la famiglia Collalto ha coltivato e protetto il territorio, diventando un nome di riferimento nella produzione vitivinicola. Qui si trova la più vasta superficie vitata della zona e la coltivazione di varietà autoctone ovvero il Verdiso e la Bianchetta, due uve tipiche del Trevigiano. Nel 2007, Isabella ha assunto la guida dell’azienda agricola, portando avanti una tradizione secolare con uno spirito innovativo. Il suo impegno ha permesso non solo di salvaguardare il Castello di San Salvatore, ma anche di rafforzare il ruolo del Prosecco nel panorama vitivinicolo internazionale.

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