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Storie vere

Taxi a guida autonoma: dal futuro possibile alla figuraccia in un batter d’occhio

Quando la tecnologia ci abbandona nel momento del bisogno.
Il sogno dell’auto che si guida da sola si scontra con la realtà.

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    Mike Johns, un imprenditore di Los Angeles, stava per prendere un volo. Aveva scelto la comodità di un taxi autonomo, ma quello che doveva essere un viaggio tranquillo si è trasformato in un’esperienza surreale. Seduto a bordo del veicolo senza conducente, Johns si è ritrovato intrappolato in un loop infinito, mentre l’auto girava in tondo nel parcheggio dell’aeroporto.

    Sembrava una scena di un film di fantascienza“, ha raccontato l’uomo in un video diventato virale sui social media. “Pensavo che qualcuno stesse scherzando o che l’auto fosse stata hackerata“. La realtà, purtroppo, era ben più prosaica: un semplice malfunzionamento del sistema di guida autonoma aveva trasformato un mezzo di trasporto in una gabbia mobile.

    C’è da viaggiare ancora un po’ prima di avere fiducia sull’auto senza conducente

    L’incidente, avvenuto lo scorso dicembre, ha messo in evidenza i limiti della tecnologia e ha sollevato interrogativi sulla sicurezza e l’affidabilità dei veicoli a guida autonoma. Se da un lato queste automobili promettono di rivoluzionare il modo in cui ci muoviamo, dall’altro dimostrano ancora di avere bisogno di importanti miglioramenti. L’episodio di Johns ha fatto il giro del mondo, alimentando il dibattito sulla reale utilità e sicurezza dei taxi senza conducente. Molti si chiedono se siamo davvero pronti ad affidare la nostra vita a macchine che possono commettere errori.

    Se questa è l’innovazione“, ha commentato Johns, “allora preferisco guidare da solo“. E in effetti, è difficile non condividere il suo scetticismo. L’idea di un’auto che si guida da sola è affascinante, ma finché queste tecnologie non saranno in grado di garantire una sicurezza assoluta, è difficile immaginare un futuro in cui i veicoli autonomi sostituiranno completamente quelli tradizionali.

    Le sfide dell’automazione nei taxi

    L’incidente di Johns ha messo in luce alcune delle sfide che devono ancora essere affrontate per rendere la guida autonoma una realtà sicura e affidabile.

    La prima sfida riguarda i malfunzionamenti tecnici. I sistemi di guida autonoma, infatti, sono complessi e possono essere soggetti a errori, come dimostra l’episodio di Johns.
    La seconda sfida che devono affrontare i produttori delle auto a guida autonoma riguarda una vasta gamma di condizioni ambientali a cui le auto sono sottoposte, dal traffico intenso alle condizioni meteorologiche avverse. Terza sfida: la sicurezza. È fondamentale garantire che i veicoli autonomi siano in grado di reagire in modo sicuro e tempestivo a situazioni impreviste. La guida autonoma solleva anche importanti questioni etiche, come ad esempio chi è responsabile in caso di incidente. Convincere le persone ad abbandonare il volante sarà sempre più difficile fino a quando non saremo in grado di garantire che i veicoli autonomi siano completamente sicuri.

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      Storie vere

      Chiamano il neonato Lucifero: la scelta che fa discutere di una giovane coppia che ha vinto la causa con l’anagrafe

      Nato nella sala parto 6, trasferito nel letto 6 della stanza 6: la vicenda accende il dibattito sull’opportunità di scegliere nomi così particolari. I genitori: “Siamo normali, il nome ha un significato per noi

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        Nel Derbyshire, una tranquilla contea inglese, Dan e Mandy Sheldon hanno fatto una scelta che non poteva passare inosservata: chiamare il loro figlio Lucifero. La decisione, spiegano i genitori, è nata per motivi personali, ma ha immediatamente suscitato polemiche e una reazione inaspettata da parte delle autorità.

        La storia è diventata ancor più curiosa per una serie di coincidenze numeriche: il bambino è nato nella sala parto numero 6, e la madre è stata poi trasferita nel letto 6 della stanza 6. Dettagli che hanno acceso l’immaginazione di molti e alimentato discussioni sui social.

        Quando la coppia si è recata all’anagrafe per registrare il nome, l’ufficiale si è opposto, definendo il nome inappropriato a causa delle sue connotazioni religiose e culturali. La questione è finita in tribunale, dove i Sheldon hanno vinto la causa, ottenendo il diritto di registrare ufficialmente il nome scelto per il loro bambino.

        Lucifero: il significato oltre il pregiudizio

        Il nome Lucifero ha origini latine e significa letteralmente “portatore di luce”, un riferimento poetico all’astro del mattino. Tuttavia, a partire dalla tradizione cristiana, è diventato sinonimo del diavolo, assumendo un significato carico di negatività.

        Nonostante ciò, Dan e Mandy difendono con fermezza la loro scelta: «Per noi, Lucifero non ha nulla a che fare con il diavolo. È un nome bello, unico, e rappresenta qualcosa di positivo. Non siamo persone strane né provocatori. Siamo genitori normali».

        Una vicenda che divide

        La storia ha rapidamente fatto il giro del mondo, scatenando dibattiti tra chi sostiene la libertà di scelta dei genitori e chi teme che il bambino possa subire pregiudizi e bullismo per via del suo nome. Sui social, i commenti spaziano dall’ironia all’indignazione, passando per l’incoraggiamento.

        Un utente ha scritto: «Forse non sarà facile crescere con un nome così, ma almeno nessuno lo dimenticherà mai». Altri, invece, hanno criticato la decisione: «Un nome è per tutta la vita, i genitori dovrebbero pensarci meglio».

        L’intervento dell’anagrafe

        La scelta del nome Lucifero ha portato l’ufficiale dell’anagrafe a esprimere un’opinione molto netta: «Non possiamo accettare un nome che può essere percepito come offensivo o inappropriato». Tuttavia, i giudici hanno stabilito che il rifiuto violava il diritto della coppia di scegliere liberamente il nome del figlio, a meno che non fosse palesemente lesivo per il bambino, cosa che non è stata dimostrata.

        Libertà e limiti nella scelta dei nomi

        Il caso dei Sheldon apre un dibattito più ampio sul confine tra libertà individuale e responsabilità. Se da un lato i genitori hanno il diritto di scegliere un nome unico e personale, dall’altro esiste il rischio di imporre un peso emotivo e sociale su chi dovrà portarlo per tutta la vita.

        In attesa che il piccolo Lucifero cresca e racconti la sua storia, il caso rimane un simbolo delle complessità legate a una libertà che, pur essendo sacrosanta, può avere conseguenze inaspettate.

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          Storie vere

          Ty, il gatto nuotatore: una storia di rinascita

          Da “Thicken Nugget” a campione del nuoto: la straordinaria trasformazione di Ty, un gatto obeso.

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            C’è chi dice che i gatti odiano l’acqua, ma Ty ha dimostrato che anche i felini più riluttanti possono sorprendere. Questo micio di 14 chili, soprannominato affettuosamenteThicken Nugget”, ha intrapreso un percorso di dimagrimento davvero insolito, diventando un esempio di forza di volontà e determinazione. Vediamo come ha fatto.

            Un peso da record e una sfida da affrontare

            Accolto dal rifugio Vanderburgh Humane Society, Ty si è presentato con un peso più che doppio rispetto alla media per un gatto delle sue dimensioni. L’obesità lo rendeva lento, goffo e a rischio di sviluppare gravi problemi di salute. Ma lo staff del rifugio non si è arreso e ha deciso di intervenire, elaborando un piano personalizzato per aiutare Ty a ritrovare la forma.

            Il nuoto: un toccasana per mente e corpo

            La scelta è ricaduta sul nuoto, un’attività che, oltre a bruciare calorie, aiuta a rinforzare i muscoli e a migliorare la mobilità articolare. Nonostante la iniziale diffidenza, Ty si è adattato rapidamente alle sessioni in acqua, dimostrando un carattere tenace e determinato. “All’inizio era molto timido”, racconta Laura Novack, terapista e istruttrice di nuoto. “Ma con pazienza e incoraggiamenti, si è sciolto sempre di più. Ora nuota con agilità e sembra proprio godersi l’acqua”.

            Un percorso lungo e impegnativo

            Il percorso di dimagrimento di Ty non è stato facile. Oltre alle sessioni in piscina, il micio ha seguito una dieta rigorosa e personalizzata, e ha ricevuto tutte le cure veterinarie necessarie. Nonostante i progressi, il suo peso eccessivo ha causato danni alle articolazioni e alla colonna vertebrale, che richiedono ancora delle cure specifiche. La storia di Ty è un esempio di come, con la giusta cura e determinazione, sia possibile superare anche le sfide più difficili. Il micio è diventato un simbolo di speranza per tutti gli animali che lottano contro l’obesità e un’ispirazione per chi si prende cura di loro. E ora?

            Ora che Ty è sulla buona strada per il recupero completo, il rifugio è alla ricerca di una famiglia amorevole che possa offrirgli una casa accogliente e continuare a prendersi cura di lui. Il micio ha bisogno di una famiglia paziente e comprensiva, disposta a dedicargli tempo e attenzioni.

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              Gaza, l’amore al tempo della guerra. Nel nome della speranza, Deir e Maran hanno deciso di sposarsi sotto le bombe

              Come sarà l’intimità ai tempi della guerra, di chi prova ad andare avanti nella striscia di Gaza cercando affetto e sessualità?

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                Come sarà l’intimità ai tempi della guerra, come sarà l’amore nella striscia di Gaza, come si potranno cercare affetto e sessualità?

                E’ difficile pensare da questa parte del mare Mediterraneo come potrebbe essere la vita nella striscia di Gaza martoriata da sei mesi di guerra. Una condizione che ha perso la sua caratteristica di transitorietà per passare in una fase cronica. Un nuovo stile di vita per tutti i suoi abitanti. E allora cosa c’è di più pacifista che pensare all’Amore. Sia quello con la A maiuscola sia quello con la a normale. Perché è proprio di normalità, di cose semplici, di cose comuni e quotidiane che la popolazione avrebbe bisogno. Senza ma e senza se. Ci saranno ancora gli abbracci dopo gli orrori di cui siamo stati testimoni? Baci, effusioni, mani che si tengono strette, sesso? La popolazione cerca di fare quel che può, ritornare dove è possibile, alle cose di tutti i giorni. Perché in fondo le risorse in noi umani sono infinite. La vita cerca di continuare dai mercatini ai ristoranti improvvisati. Come faranno le migliaia di sfollati a trovare un po’ di intimità?

                C’è ancora spazio per innamorarsi a Gaza?

                Tutti i corrispondenti dei quotidiani testimoniano la volontà del popolo palestinese di andare avanti. E ognuno prova a farlo a suo modo. C’è chi supera il pudore di provare a godere di momenti di spensieratezza, e chi il lutto che per molti sta diventando una condizione costante. E in più c’è la primavera che sprigiona tutta la sua potenza. I corrispondenti nelle loro cronache riportano di venditori improvvisati, banchi di mercato sui quali si dispongono cibo, caffè e sigarette, piccoli ristoranti di strada che servono carne grigliata e spiedini, non solo soltanto di pollo ma anche di manzo che arriva surgelato dopo mesi di assenza.

                E c’è anche chi timidamente si concede una passeggiata sulla spiaggia camminando mano nella mano. Poi i social con ragazze che si scattano fotografie, famiglie che riescono a concedere ai bambini un po’ di sole. La guerra e le bombe forse non fanno più paura o c’è una sorta di assuefazione alla stessa?

                Piccoli momenti di normalità

                E c’è persino chi sta organizzando il proprio matrimonio. Si ma quando? Quando tutto terminerà. Perché è evidente che prima o poi (speriamo più prima che poi) tutto questo finirà. E quindi perché una giovane coppia dovrebbe rinunciare ai propri sogni, la condivisone di una casa, la propria sessualità? ” Deir al-Balah Mohammed, 27 anni, e Maran, 20, insieme da alcuni anni hanno deciso di non aspettare oltre per annunciare il loro impegno a trascorrere una vita insieme. Lo hanno fatto organizzando una piccola cena di famiglia ma non una festa come sarebbe stato in tempi normali”. Perché la vita deve continuare e l’amore è la sua forza trainante. Sempre.

                L’assenza di una vita sessuale

                Ormai quasi nessuno abita nelle loro case. Luoghi dove è possibile avere un minimo di intimità. La maggior parte della popolazione sfollata vede mogli e mariti dormire separati. Fare l’amore è impossibile. Nasceranno bambini a Gaza. Ma quando? Sarà anche questo uno degli obiettivi di Israele? In queste condizioni di vita fare sesso a Gaza è un privilegio riservato a chi sta economicamente bene. Anche se bombe e paura paralizzano gli slanci, chi può permettersi ancora di una casa può lasciarsi andare in benefiche effusioni.

                Ma la guerra non ha ucciso l’amicizia

                D’altra parte da 17 anni questa comunità vive sotto il regime di Hamas che ha imposto uno stile di vita che nega l’amore fuori dal matrimonio. I single non ne possono nemmeno parlare. Per loro l’amore è un tabù. Meno male che tra le decine di migliaia di sfollate sono nate nuove amicizie, si sono conosciuti e magari anche innamorati. Il problema però resta quello della condivisione dell’intimità. Chat e social finora l’hanno fatta da padroni, si esauriva tutto li. Ma zero contatti fisici. Le persone non ne possono proprio più. Soprattutto i giovani ora che le connessioni internet sono saltate. E quindi guerra o non guerra la sfida degli innamorati di Gaza continua. E alla fine vincerà.

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