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Storie vere

Una storia segreta in stile Uccelli di rovo: quando l’amore è più forte della veste

Le storie d’amore proibite tra sacerdoti e donne comuni sono più diffuse di quanto si creda. Maria, una donna sulla cinquantina, ha raccontato la sua esperienza con un frate francescano, una relazione durata anni tra passione, distacchi improvvisi e speranze infrante.

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    Maria e il frate si conoscono fin dall’adolescenza. “Ci siamo incontrati quando avevo 12 anni e la nostra amicizia è cresciuta con noi”, racconta. “A 14 anni, lui è entrato in seminario, spinto dalla madre profondamente religiosa. Io invece ho seguito un percorso di vita diverso”. Per anni i due restano amici, condividendo momenti importanti e coinvolgendo anche le rispettive famiglie. Ma la svolta arriva quando Maria, intorno ai trent’anni, attraversa un periodo difficile: “Avevo appena chiuso una relazione e lui, all’improvviso, mi ha confessato di essere innamorato di me da sempre. In poco tempo siamo diventati amanti”.

    L’inizio della relazione segreta

    “Per un anno abbiamo vissuto la nostra storia nell’ombra”, racconta Maria. “Sembrava tutto perfetto, ma poi lui ha deciso di interrompere tutto, dicendomi che non potevamo andare avanti”. Maria rispetta la sua decisione, ma dopo un anno il frate torna, chiedendole di partire insieme per una vacanza. “Pensavo fosse cambiato qualcosa, invece dopo poco è sparito di nuovo, lasciandomi con un senso di vuoto e di amarezza”.

    Un amore interrotto (più volte)

    Maria cerca di ricostruire la sua vita. “Mi sono trasferita all’estero, ho trovato un lavoro stabile e mi sono sposata”. Per 15 anni, nessun contatto. Poi, per caso, incontra la sorella del frate, che le racconta del suo trasferimento in Sud America come missionario e dei suoi problemi di salute. “Non ho resistito, l’ho cercato”, ammette Maria. “Abbiamo ripreso a scriverci e, quando è tornato in Italia, ci siamo rivisti. Lui è diventato amico di mio marito, giocava con le mie bambine, ma tra noi non c’era più nulla”.

    Ricominciamo

    Tutto cambia quando Maria si separa: “Nel 2005, lui è tornato alla carica. Mi ha detto che non mi aveva mai dimenticato e che voleva ricominciare”. La relazione riprende, più intensa che mai, ma ancora una volta il frate sceglie il ritiro spirituale e tronca tutto. “Mi ha detto che non avremmo più potuto frequentarci. È stato come rivivere lo stesso dolore”.

    Lettere al Papa e la battaglia per il celibato

    Maria non è sola. “Negli anni ho conosciuto molte donne che hanno vissuto storie simili alla mia”, rivela. “Per questo ho scritto due lettere al Papa, insieme ad altre donne, per portare all’attenzione della Chiesa il problema del celibato”. “La nostra storia mi andava bene così com’era, non gli ho mai chiesto di lasciare il suo abito. Ma alla fine, queste storie finiscono quasi sempre male”.

    Le domande che restano

    L’esperienza di Maria solleva interrogativi importanti: il celibato è ancora un vincolo sostenibile per chi sceglie la vita religiosa? Quante storie come questa restano nell’ombra? La sua testimonianza si aggiunge a molte altre, in un dibattito che rimane aperto e che continua a dividere fedeli e istituzioni.

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      Storie vere

      Il mio corpo, le mie regole (e il mio stipendio): la storia della maestra di Trevignano su OnlyFans

      Si chiama Elena Maraga e, di professione, fa l’educatrice in una scuola cattolica. E’ finita al centro della polemica per il suo profilo OnlyFans. Tra bodybuilding, libertà di espressione e uno stipendio insostenibile, racconta la sua scelta e la reazione di genitori e scuola. Ma davvero una maestra non può avere una vita privata?

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        La scena che si può immaginare è quantomeno comica: un genitore naviga su OnlyFans (per puro caso, ovviamente…) e incappa nel profilo di Elena Maraga, 29enne educatrice in una scuola cattolica del Trevigiano. Apriti cielo! In un batter d’occhio, la questione finisce sulla scrivania della responsabile scolastica e poi, come in ogni soap opera degna di questo nome, su Facebook.

        Cducatrice di giorno, content creator di notte

        “Il mio corpo è un belvedere, guardarlo non deve essere gratuito” ha dichiarato Elena. E in effetti, dietro questa scelta, c’è una realtà ben più concreta: lo stipendio da educatrice non basta a mantenersi. La Maraga, laureata in Scienze dell’Educazione e appassionata di bodybuilding, racconta la sua decisione con schiettezza. “Ho aperto OnlyFans un mese fa, e sta già andando bene. Ho fatto i calcoli: il guadagno orario tra i due lavori non è nemmeno paragonabile”.

        Una richiesta di chiusura del profilo da parte dell’istituto

        La scuola, manco a dirlo, non l’ha certo presa bene. Le è stato chiesto di chiudere il profilo per non danneggiare l’immagine dell’istituto. Ma Elena non ci sta: “Non mi vergogno di nulla, nel contratto non c’è scritto che non posso pubblicare contenuti sui social”.

        Genitori indignati… ma qualcuno fra loro è pure appassionato di donne nude

        La polemica monta e i genitori si dividono. Alcuni la difendono: “Sei una maestra fantastica, non vogliamo perderti”. Altri, invece, storcono il naso: “Non è un buon esempio per i nostri figli”. Ma Elena fa notare una cosa interessante: “Se hanno visto il mio profilo, vuol dire che sono iscritti a OnlyFans. E allora, dove sta il problema?”.

        Ma doppia morale e il vero problema: i soldi

        Oltre allo scandalo morale, c’è un tema molto più concreto da considerare: gli stipendi nel settore educativo. “Con 1.200 euro al mese, una giovane donna che vive da sola non può fare nulla”, spiega Elena. “In Italia c’è ancora tanta ipocrisia sul corpo e sulla sessualità, ma se un lavoro non ti permette di vivere, è normale cercare alternative”.

        Che cosa accadrà ora?

        Licenziamento? Il rischio è concreto, ma Elena non sembra intenzionata a tornare indietro. Anzi, sta già guardando oltre: “Sto studiando per diventare personal trainer e faccio shooting fotografici nel tempo libero”. Se la scuola la allontanasse, con un profilo OnlyFans in crescita, potrebbe essere la scuola a perdere di più. In fondo, insegnare libertà di scelta e indipendenza economica non dovrebbe essere una cattiva lezione, no?

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          Storie vere

          Ti pagano per stare sdraiato nell’acqua per dieci giorni: l’esperimento dell’Agenzia spaziale europea

          L’ESA offre 5.000 euro per simulare l’assenza di gravità: ecco chi può candidarsi al progetto “Vivaldi III”

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            Essere pagati per starsene a letto o galleggiare sull’acqua per dieci giorni senza fare nulla. No, non è un sogno per pigri cronici, ma un vero esperimento scientifico promosso dall’Agenzia spaziale europea (ESA) in collaborazione con la clinica spaziale Medes. Il progetto si chiama Vivaldi III e punta a reclutare 20 volontari per testare gli effetti dell’assenza di gravità sul corpo umano, offrendo una ricompensa da 5.000 euro.

            Come funziona l’esperimento Vivaldi III

            L’esperimento prevede due gruppi distinti. Dieci partecipanti dovranno trascorrere dieci giorni sdraiati su un letto inclinato di 6° con la testa più in basso rispetto ai piedi, simulando così l’effetto dello spostamento dei fluidi corporei verso la testa, tipico dell’assenza di gravità. Gli altri dieci volontari, invece, resteranno sospesi in acqua, sempre in posizione orizzontale, avvolti da un lenzuolo impermeabile che li separerà dal liquido, mantenendo però il corpo galleggiante.

            L’obiettivo? Confrontare questi due metodi per simulare le condizioni di vita nello spazio e studiare come reagisce il corpo umano alla microgravità. Un tema fondamentale per la salute degli astronauti in missione.

            La routine da “astronauti terrestri”

            Ma attenzione: niente passeggiate o pause caffè. I partecipanti dovranno restare nella loro posizione 24 ore su 24 per dieci giorni, comprese le ore dedicate ai pasti, che saranno serviti su tavolini galleggianti o direttamente sul letto inclinato. Anche le esigenze fisiologiche saranno gestite “a letto”, grazie a una speciale barella che permette di trasportare i volontari in bagno senza mai cambiare posizione.

            Tutto questo sarà preceduto e seguito da due fasi di cinque giorni ciascuna, dedicate a controlli medici approfonditi: esami neurologici, cardiovascolari, muscolari, ossei e metabolici per monitorare gli effetti dell’assenza di gravità simulata.

            Relax sì, ma sotto osservazione

            Durante le giornate “in sospensione”, i partecipanti saranno liberi di guardare serie TV, fare videochiamate con amici e parenti (senza ricevere visite) e persino lavorare da remoto, purché le attività non interferiscano con gli esperimenti. L’importante è rispettare sempre la regola numero uno: non alzarsi mai dal letto o dall’acqua.

            Perché l’ESA ti vuole sdraiato?

            Il progetto, ormai alla sua terza fase, serve a migliorare le conoscenze sugli effetti della microgravità e a progettare contromisure sempre più efficaci per tutelare la salute degli astronauti nelle lunghe missioni spaziali. “Prolungando la durata dell’immersione a secco e confrontandola con il riposo a letto, stiamo perfezionando la nostra comprensione di questi metodi”, ha spiegato Ann-Kathrin Vlacil, responsabile scientifica del progetto per l’ESA.

            Chi può partecipare

            Il bando è aperto a uomini e donne tra i 20 e i 40 anni, in buone condizioni di salute e con la voglia di sottoporsi a una lunga maratona di riposo forzato. Unico “inconveniente”? Rimanere bloccati in posizione orizzontale per quasi due settimane potrebbe non essere così rilassante come sembra.

            Quanto ti pagano

            Per i più coraggiosi (o più amanti del relax), il compenso è fissato a 5.000 euro netti, una cifra che sicuramente fa gola a molti. Certo, bisogna mettere in conto anche qualche piccolo fastidio fisico e la noia di non potersi alzare per oltre dieci giorni, ma chi riuscirà nell’impresa potrà dire di aver simulato – almeno in parte – la vita da astronauta. E senza neanche dover lasciare la Terra.

            Interessati? L’ESA vi aspetta… sdraiati.

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              Storie vere

              Ma signor Enrico cosa ci fa a 93 anni con la palla ovale tra le mani? “Semplice, seguo la mia passione”

              E’ il tesserato più longevo del rugby italiano: quando la passione e un pizzico di follia sfidano i limiti dell’età.

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                Sapevamo che l’età media sta crescendo ogni decennio che passa. La terza età aumenta si fa sempre più spazio in questa società del benessere. Ma non ci si può credere che la passione abbia permesso al signor Enrico Zaglio di scendere in campo per giocare a rugby. Alla sua età ci si aspetta che se ne stia in casa circondato dall’affetto di figli nipoti e magari qualche pronipote. E invece… Invece a 93 anni Enrico è in piena forma e continua a sfidare non solo gli avversari sul campo da rugby, ma anche la pigrizia. Il tesserato italiano di rugby più longevo, dimostra che la passione e la voglia di fare possono superare qualsiasi limite imposto dall’età.

                Enrico: una vita sul campo e tante sfide vinte

                La passione per il rugby per Enrico è nata a Livorno, alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Fu allora che incuriosito dai palloni ovali portati dagli americani, ha iniziato a giocare, sfruttando le sue abilità da portiere nel calcio. Da allora non si è più fermato. Anche se la vita lo ha messo di fronte a diverse sfide. La casa distrutta dai bombardamenti, gli studi universitari senza risorse economiche e il lavoro. Nonostante le difficoltà, Enrico ha sempre trovato il modo di tornare al rugby, fondando squadre a Brescia e Milano e persino coinvolgendo i suoi studenti ai Salesiani. Oggi, grazie alla Poderosa Old Rugby Brescia, un gruppo che dal 2003 riunisce appassionati over 35, continua a giocare in mischie una volta a settimana, scherzando che l’unica cosa che si permette di girare è… la testa!

                Una passione che gli ha fatto girare il mondo

                La dedizione di Enrico per il rugby lo ha portato a gareggiare persino in Nuova Zelanda e Sudafrica, due nazioni che vivono il rugby come una religione. Anche a 93 anni, non rinuncia al piacere del campo, delle mete e del mitico “terzo tempo”, dove la convivialità e il rispetto per l’avversario fanno parte dello spirito del rugby. Enrico è padre di cinque figli e nonno (e bisnonno) di 18 tra nipoti e pronipoti, tutti suoi tifori. Divide il suo tempo tra la famiglia, le sue prodezze in cucina — casoncelli e gnocchi — e il rugby. La moglie Caterina, di 91 anni, è sua compagna da oltre 66 anni, ma è il campo da rugby il luogo dove Enrico trova l’energia per continuare a mettersi alla prova. Signor Enico sarà anche una domanda retorica ma ci spiega qual è il suo segreto per mantenersi così attivo? Risponde con una risata. “Per giocare a rugby serve un po’ di pazzia“. Che gli vuoi aggiungere?

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