Cronaca
A Montereggi grazie ai soldi di un texano si possono ammirare tesori etruschi
Al via una maxi-operazione archeologica attorno a Villa Bibbiani Grazie al sostegno dell’imprenditore George McCarroll Rapier III. In campo c’è già una squadra di ricercatori italiani e statunitensi.

A Montereggi, nel comune di Capraia e Limite, da alcni mesi stanno affiorando tesori Etruschi unici. Questo progetto, denominato “Montereggi Project“, è reso possibile grazie al supporto dell’imprenditore George McCarroll Rapier III e alla collaborazione della Florida State University. Gli scavi sono iniziati nei terreni di Villa Bibbiani, una proprietà acquistata dal magnate Rapier III nel 2019, e vedono coinvolti sia ricercatori italiani che statunitensi.
Gli Etruschi sulle colline di Capraia e Limite
La squadra, composta da otto studenti dell’università americana e altrettanti professionisti dell‘Impresa Archeologica Archeorete, ha utilizzato tecnologie avanzate come droni e magnetometri per esplorare il sito. I risultati sono già sorprendenti. Sono stati rinvenuti, infatti, monete in argento e bronzo, ceramiche attiche a figure rosse, e resti di un edificio etrusco monumentale del V secolo a.C., il cui uso non è ancora stato determinato con certezza.
Una nuova generazione di curatori archeologi
Secondo il professor Andrea De Giorgi, direttore scientifico degli scavi, la collaborazione tra forze italiane e statunitensi è propedeutica per formare la prossima generazione di curatori e archeologi, grazie anche all’uso di tecnologie all’avanguardia.
Obiettivo riportare alla luce una fiorente civiltà etrusca
Il magnate Rapier III ha espresso grande entusiasmo per il progetto, sottolineando la straordinaria opportunità di toccare con mano la storia e di contribuire alla scoperta di un insediamento etrusco unico nel suo genere. Il “Montereggi Project” rappresenta un importante passo avanti nella comprensione della civiltà etrusca e promette di rivelare ulteriori scoperte nei prossimi anni.
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Cronaca
Rai, caos Tgr: tutto fermo sul concorso per giornalisti e cresce la rabbia tra gli aspiranti
Famiglie in attesa, futuri cronisti con le valigie pronte e nessuna comunicazione ufficiale. Si parla di domande presentate da candidati senza i requisiti e di certificazioni arrivate “a orologeria”. Intanto, in Rai, i malumori si moltiplicano e la selezione per la Tgr rischia di diventare l’ennesimo pasticcio interno.

In Rai i malumori non mancano mai, ma stavolta il malessere si fa sentire forte anche lontano dagli studi televisivi. Il motivo? La selezione per aspiranti giornalisti della Tgr, il grande concorso interno che dovrebbe portare nuove firme e nuove voci nelle redazioni regionali.
Eppure, a oltre un mese dalla chiusura del bando — scaduto il 2 settembre con 246 domande presentate — tutto tace. Nessuna lista di ammessi, nessuna comunicazione ufficiale, solo un silenzio che alimenta irritazione e sospetti. Tra i candidati, molti dei quali pronti a traslocare e cambiare vita da qui a fine anno, cresce la frustrazione.
«Non sappiamo se prepararci alle prove o cercare un altro lavoro», raccontano alcuni in forma anonima. Intere famiglie restano in bilico, in attesa di una mail o di un avviso sul portale aziendale che tarda ad arrivare.
Secondo indiscrezioni raccolte nei corridoi di viale Mazzini, dietro la lentezza della procedura ci sarebbe una revisione straordinaria delle domande: pare infatti che più di un candidato abbia provato a “forzare la mano”, presentando titoli o requisiti non perfettamente conformi al bando, nella speranza di farsi poi certificare in extremis l’idoneità.
Una voce, questa, che circola insistentemente e che rischia di gettare ombre sulla regolarità della selezione. Se fosse vero, significherebbe che qualcuno ha tentato di ottenere corsie preferenziali in una procedura già delicata, mentre gli altri aspiranti restano al palo.
Intanto il clima interno si surriscalda. Dirigenti, funzionari e aspiranti cronisti si chiedono quando arriveranno le convocazioni e se i test verranno effettivamente organizzati entro la fine del 2025, come previsto.
Mentre il direttore generale Giampaolo Rossi e l’amministratore delegato Roberto Sergio provano a rassicurare le strutture regionali, tra gli addetti ai lavori monta il sospetto che la macchina Rai, ancora una volta, si sia inceppata nella burocrazia.
Cronaca
Se scoppiasse la guerra (tocchiamo ferro) chi sarebbe chiamato dall’Italia
Sperando con tutto il cuore che si tratti solo di un’ipotesi lontanissima e teorica, ecco chi dovrebbe raggiungere il fronte in caso di guerra che coinvolga la NATO.

Con l’inasprimento del conflitto nell’Est Europa, negli ultimi due anni il clima generale si è fatto ancora più teso. Con lo scoppio del conflitto in Ucraina, molti paesi cominciano a interrogarsi su possibili futuri scenari di carattere bellico. Qualcuno – sperando davvero che si tratti solo ed esclusivamente di una curiosità teorica – si chiede che ne sarà di noi italiani in caso di ostilità. Chi dovrà indossare anfibi e abbracciare un fucile e quali saranno i criteri.
Le Camere deliberano lo stato bellico
In questi giorni si è tornati a parlare di leva militare, sospesa nel 2004. In caso di guerra anche l’Italia – in quanto facente parte della NATO – sarebbe chiamata at attivarsi con un suo contingente. Ma chi dovrebbe andare al fronte a combattere? L’articolo 78 della Costituzione parla chiaro: sono le Camere a deliberare lo stato di guerra e a conferire al governo i poteri necessari per intervenire.
Anche gli ex militari sarebbero interessati alla chiamata
Nell’ordine, i primi a dover rispondere alla chiamata alle armi sarebbero i diversi corpi armati, come Esercito, Marina, Aeronautica militare, Carabinieri e Guardia di Finanza (escludendo dall’obbligo i corpi dei Vigili del Fuoco e della Polizia Penitenziaria). A seguire interessati sarebbero anche tutti gli ex militari che hanno lasciato le Forze Armate da meno di 5 anni e, in ultima istanza, i civili, che verrebbero chiamati solo in caso di estrema necessità.
Il Presidente della Repubblica è il capo delle Forze Armate
Scendendo maggiormente nel dettaglio, verrebbero chiamati alle armi tutti i cittadini maschi di età tra i 18 e i 45 anni. La leva obbligatoria, sospesa nel 2004, potrebbe in quel caso essere rievocata nel caso di emergenza. Tramite uno specifico decreto del Presidente della Repubblica, che rappreenta il capo supremo delle Forze Armate.
La sacra patria e la sua difesa
In merito al dibattito sulla leva obbligatoria, c’è una recente proposta depositata dalla Lega. Nell’ipotetico caso di una chiamata alle armi, questa non potrà essere rifiutata. Lo specifica l’articolo 52 della Costituzione, dove si legge che “la difesa della Patria è sacro dovere del cittadino. Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge. Il suo adempimento non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, né l’esercizio dei diritti politici”.
Storie vere
Una bambina di Auschwitz, creduta morta nel lager, ricompare negli USA
Le peripezie della piccola Gertrude, deportata nell’inferno di Auschwitz. Creduta morta da tutti, ora ha 86 anni e vive negli Stati Uniti. La scoperta grazie alla preside di un liceo romano.

Si chiama Gertrude ed è la protagonista di una storia tragica, con un finale però di speranza. Per anni lei è stata una dei troppi bambini la cui esistenza si era spezzata nel tristemente famoso campo di concentramento di Auschwitz. Una rapida apparizione nella storia la sua, scoperta per altro casualmente, al fianco del padre Isidor Stricks, cittadino polacco ebreo catturato vicino a Roma e deportato dai nazisti.
Sorriso e forza senza pari
Visto che non sempre i bambini venivano registrati sui treni della morte, si era creata l’idea che anche lei avesse finito i suoi giorni in un lager. «Ma Trudy lì non è mai arrivata, si è salvata ed è ancora viva: oggi ha 86 anni, si trova in America, è sposata e ha tre figli. Ha un sorriso bellissimo e una forza senza pari». Questa la descrizione dolcissima che ne fa di lei Maria Grazia Lancellotti, attuale preside del liceo classico e linguistico romani Orazio. Nell’ambito del progetto «Il civico giusto», che si pone l’obiettivo di scoprire storie di solidarietà e di coraggio nell’Italia fascista al tempo delle ldiscriminazioni raziziali, si è imbattuta in un dettaglio che ha catturato la sua attenzione. Tanto da spingerla alla ricerca della verità.
L’intuito della preside Lancellotti
«Mi stavo documentando sulla fuga di Sandro Pertini e Giuseppe Saragat dal carcere romano di Regina Coeli. Quando nei racconti Marcella Ficca, la moglie di Alfredo Monaco, il medico che quella fuga ideò, comparvero Trudy e suo padre – racconta con trasporto la Lancellotti -. Mi disse che quest’uomo che teneva stretta a sé una bambina di 5-6 anni, prima di essere caricato sul camion diretto a Fossoli, le rivolse uno sguardo terrorizzato. Come di chi non sapeva cosa lo aspettasse, trovò gli occhi di una donna, le fece un cenno, si fidò e le affidò quello che aveva di più caro pur di salvarlo». Così Marcella ospita la piccola in casa sua per qualche mese, fino a quando la mamma, Fanny, non la rintraccia e la riprende con sé.
Da Napoli verso la salvezza ad Oswego
Da questo momento ha inizio una storia fatta di fughe, svariate peripezie e lunghe settimane nascoste in due distinti conventi di Roma, fino alla fine della guerra. Poi la salvezza arriva quando nel luglio del ’44 salgono a bordo della Herry Gibbons, una nave che salpa da Napoli con mille profughi verso raggiunge Oswego, negli Stati Uniti.
Il figlio Brian è venuto in Italia per abbracciare i figli di chi salvò sua madre
«Da qui si perdono le tracce della piccola Trudy, la mamma si sposa e cambia cognome. La stessa cosa fa lei anni dopo – riprende a raccontatre la Lancellotti -. Ma a questo punto volevo arrivare alla verità su di lei per cui ho scritto a un museo della città: Trudy in America doveva essere arrivata viva e qualcuno doveva sapere qualcosa di lei. Poco dopo mi ha risposto direttamente suo figlio Brian e mi ha raccontato la vita di sua mamma Gertrude».
I gesti che cambiano il destino delle persone
Brian – assoluta casualità – aveva già organizzato un viaggio in Italia per la scorsa estate. Con l’occasione si è recato pure a Roma, dove ha potuto conoscere e abbracciare i figli di Alfredo e Marcella Monaco. «Purtroppo loro sono morti senza sapere se quella bambina ebrea che avevano salvato alla fine ce l’avesse fatta. Ma l’aver scoperto il loro grande gesto d’amore ha fatto in modo che venissero avviate le pratiche allo Yad Vashem per far insignirli del titolo di “Giusti fra le Nazioni”». Ora la preside Lancellotti, di questa bella storia, ne vorrebbe fare un libro.
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