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Cronaca

Torna a casa, Greta: la Thunberg rimpatriata da Israele, otto colleghi si rifiutano e saranno processati

Greta Thunberg lascia Israele dopo il blocco della nave Madleen della Freedom Flotilla diretta a Gaza. Altri otto attivisti, tra cui l’eurodeputata francese Rima Hassan, si rifiutano di partire e verranno processati secondo la legge israeliana. Il caso continua a far discutere a livello internazionale.

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    La notizia arriva dal Jerusalem Post, che pubblica anche una foto di Greta Thunberg a bordo di un aereo. La celebre attivista svedese figura tra le quattro persone che hanno accettato il rimpatrio volontario dopo essere state fermate a bordo della Madleen, imbarcazione della Freedom Flotilla diretta verso Gaza. L’imbarcazione è stata intercettata nei giorni scorsi dalla Marina israeliana.

    Attivisti trattenuti: otto rifiutano la partenza volontaria

    Mentre Thunberg e altri tre attivisti hanno scelto di lasciare Israele, otto membri della missione si sono rifiutati di firmare i documenti per l’espulsione. Il Ministero degli Esteri israeliano ha confermato che saranno trasferiti al centro di detenzione di Givon, in attesa di un procedimento giudiziario. “Chiunque si rifiuti di firmare l’espulsione sarà portato davanti a un giudice per approvare la deportazione”, ha dichiarato il portavoce del Ministero.

    Tra i renitenti anche l’eurodeputata Rima Hassan

    A rendere ancora più delicata la vicenda è la presenza tra i trattenuti dell’eurodeputata francese Rima Hassan, nota per alcune dichiarazioni controverse legate agli attacchi del 7 ottobre e alla crisi a Gaza. Insieme a lei, risultano trattenuti anche altri cittadini francesi, cinque dei quali si trovano attualmente nel centro di detenzione di Ramle. Uno ha già accettato il rimpatrio.

    Anche la Germania coinvolta: supporto a Yasemin Acar

    Il governo tedesco ha confermato l’assistenza consolare a Yasemin Acar, attivista tedesca nota per le sue posizioni filopalestinesi e per il suo sostegno pubblico ad Hamas. Anche lei figura tra i soggetti destinatari del provvedimento di espulsione da parte di Israele.

    Israele: 96 ore per lasciare il Paese o deportazione forzata

    Israele ha concesso agli attivisti un termine massimo di 96 ore per firmare la partenza volontaria. In caso contrario, scatterà l’arresto e la successiva espulsione forzata per ordine del tribunale. La vicenda ha acceso un dibattito internazionale, coinvolgendo attivisti di diverse nazionalità e personalità pubbliche di primo piano.

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      Mistero

      Anello da lutto del XVIII secolo ritrovato in un campo con il metal detector

      Malcolm Weale ha scoperto un prezioso gioiello in un campo di Norfolk ora al British Museum. Gli incredibili ritrovamenti con il metal detector.

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        A volte, un semplice hobby può trasformarsi in un viaggio nel tempo. È quello che è successo a Malcolm Weale, un appassionato di metal detector che, dopo 18 mesi di ricerca, ha trovato un raro anello da lutto in oro risalente al XVIII secolo in un campo agricolo vicino a Thetford, nellla contea di Norfolk.

        Anello per ricordare un defunto

        L’anello, finemente lavorato in oro e smalto, è stato identificato come un gioiello commemorativo dedicato a Sir Bassingbourne Gawdy, terzo baronetto di Harling, morto nel 1723 in un incidente di caccia. Gli anelli da lutto, molto diffusi tra il 1700 e il 1800, venivano realizzati per ricordare i defunti e spesso riportavano iscrizioni e simboli funerei, come teschi e pietre nere. Quando Weale ha ripulito il gioiello e lo ha visto brillare sotto il sole, ha capito di aver trovato qualcosa di speciale. “Ho tremato mentre lo tenevo in mano”, ha raccontato, descrivendo l’emozione del momento. Ora l’anello è stato dichiarato tesoro britannico dalla Norfolk Coroner’s Court e sarà valutato dal British Museum, che ne stabilirà il valore e il destino.

        I tesori e le rarità ritrovati con il metal detector

        Il mondo dei cercatori di tesori è pieno di scoperte straordinarie. Se poi hai tra le mani un metal detector ci vuole solo tanta pazienza e un pizzico di fortuna. Certo devi sapere dove andare a cercare quindi un po’ di storia del territorio che stai perlustrando la devi pur conoscere. Tra ipiù famosi ritrovamenti effettuati grazie al metal detector c’è lo Staffordshire Hoard. Si tratta del più grande tesoro anglosassone mai trovato, con oltre 3.500 pezzi d’oro e argento, scoperto nel 2009 da Terry Herbert. Nel 1992, Eric Lawes ha trovato il Hoxne Hoard, un tesoro romano con 15.000 monete d’oro e gioielli, sepolto in una cassa di legno.

        Negli Stati Uniti, nel 2013, una giovane coppia ha scoperto il Saddle Ridge Hoard, una collezione di 1.427 monete d’oro del XIX secolo, del valore di oltre 10 milioni di dollari. E poi c’è il Galloway Hoard, un tesoro vichingo ritrovato in Scozia nel 2014, contenente bracciali d’argento, croci d’oro e monete antiche.

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          Cronaca Nera

          Garlasco, spunta la terza presenza nella villetta di via Pascoli mentre Chiara Poggi veniva uccisa

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            Nuovi sviluppi scuotono il caso Garlasco, a diciassette anni dalla morte di Chiara Poggi. La nuova inchiesta coordinata dalla procura di Pavia e condotta dal procuratore Fabio Napoleone riapre la scena del crimine: nell’abitazione di via Pascoli, mentre la giovane moriva, potrebbero esserci state almeno tre persone, tra cui Andrea Sempio e due figure ancora da identificare.

            Al centro delle indagini c’è l’impronta 33 sul muro, “molto carica di materiale biologico” che potrebbe essere sudore misto a sangue. Il dettaglio inquietante è che le tracce lasciate dal contatto sarebbero talmente ricche da permettere agli esperti di condurre analisi approfondite. Ma l’intonaco prelevato non è stato trovato, così come la provetta contenente la soluzione usata per i test.

            L’incidente probatorio del 17 giugno si preannuncia quindi cruciale. Verranno esaminate 35 impronte e altre tracce di DNA, comprese quelle presenti sul sacchetto della spazzatura e sul tappetino insanguinato del bagno. La genetista Denise Albani e il dattiloscopista Domenico Marchegiani sono stati incaricati di verificare ogni dettaglio, mentre la difesa di Alberto Stasi osserva da vicino ogni passaggio.

            L’avvocata Giada Boccellari, legale di Stasi, parla di una pista che può stravolgere la verità processuale: “L’azione omicidiaria si sarebbe svolta in tre fasi. Almeno nella prima non si può escludere la presenza di altri soggetti”. Boccellari ha raccontato come Stasi stia vivendo questa nuova ondata di notizie “in una bolla di sapone, senza voler vedere i giornali né la tv”.

            Il cuore delle nuove analisi è però sempre il DNA di Andrea Sempio, ritrovato sotto le unghie di Chiara. Sempio non è mai stato indagato formalmente, ma ora la procura sta acquisendo i profili genetici anche di amici come Roberto Freddi, Mattia Capra, Alessandro Biasibetti e Marco Panzarasa, oltre a carabinieri e soccorritori intervenuti sulla scena.

            A gettare benzina sul fuoco, poi, c’è la frase criptica pubblicata nel 2007 da un amico di Sempio, Michele Bertani: “La verità sta nelle cose che nessuno sa”. Secondo il settimanale Gente, l’analisi del messaggio porterebbe a una misteriosa frase: “C’era una ragazza lì che sapeva”.

            In parallelo emergono ricostruzioni sul giorno dell’omicidio. Boscellari ricorda il testimone Marco Muschitta, che disse di aver visto un’auto scura parcheggiata in via Pascoli: non un SUV come si ipotizzava inizialmente, ma una Golf come quella che Bertani aveva a disposizione nel 2007. Muschitta ritrattò subito la testimonianza, ma la memoria della vettura resta una tessera in un mosaico ancora incompleto.

            Il movente? Ancora lontano dall’essere accertato. “Solo dopo aver chiarito chi fosse in casa quel giorno, si potrà capire perché Chiara è stata uccisa”, dice Boccellari. E così, la villetta di Garlasco resta il palcoscenico di un dramma mai chiuso.

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              Italia

              Barbara Berlusconi e il peso di un cognome: tra piercing, San Siro e la villa da 25 milioni

              Barbara Berlusconi si confessa: “Il cognome è un fardello, ma anche un orgoglio”. La sfida del nuovo stadio, la tenacia da manager e la tenuta di Macherio pagata a rate

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                Barbara Berlusconi compirà quarant’anni quest’anno, eppure la luce riflessa del cognome che porta la accompagna come un’aureola a intermittenza. Figlia di Silvio, imprenditore, premier e icona pop (a modo suo), Barbara parla oggi con la consapevolezza di chi ha imparato a convivere con quel nome, anche quando brucia. “È stato un peso, ma più di tutto una responsabilità”, ammette. Un marchio che la segue ovunque: dalle aule di consiglio del Milan ai salotti più esclusivi della Scala, dove siede oggi come consigliera.

                Ma la sua vera palestra, racconta, è stata la famiglia. Non facile stare accanto a Silvio: “Era un mondo complesso, e chi gli stava vicino doveva entrarci per forza”. Con un legame profondo eppure punteggiato da piccole ribellioni. Come quel piercing alla lingua che la figlia ha sfoggiato con aria da adolescente in rivolta: “Si arrabbiò. Ma l’ho fatto lo stesso”. Piccole sfide domestiche, tra un consiglio d’amministrazione e l’altro.

                La politica? “Non fa per me”, taglia corto Barbara. Nessuna nostalgia per i palchi e i talk show, nessuna voglia di raccogliere la pesante eredità in quel campo minato. “Sono orientata su altro”, dice, come a dire che la tentazione di sedere sulle poltrone del potere proprio non l’ha mai sfiorata. E se in tanti la spingerebbero in Parlamento, lei declina con eleganza, preferendo il mondo dell’arte (ha una galleria a Milano) e la vita da madre di cinque figli.

                Del padre conserva un’immagine dolce e generosa: “Era un uomo pieno di entusiasmo e ottimismo. Vedeva possibilità dove gli altri vedevano limiti e finiva per convincere anche te che quei limiti non esistevano”. Così l’ha visto sempre, anche nel calcio. Perché Silvio il Milan non lo considerava un semplice club, ma una filosofia. “Ha lasciato un’eredità emotiva, il Milan del cuore”, dice Barbara. Lei, nel 2011, è entrata nel cda rossonero. E poi da vicepresidente e ad, ha portato avanti la bandiera di famiglia. Oggi, invece, il suo sguardo è rivolto a un progetto che la appassiona da sempre: lo stadio al Portello.

                Un’idea che aveva lanciato dieci anni fa e che ancora oggi la vede in prima linea, a difendere la necessità di un impianto moderno: “San Siro è fatiscente. Serviva uno stadio nuovo già vent’anni fa. Non riesco a capire perché il Comune abbia sempre messo i bastoni tra le ruote”. Il suo no alla ristrutturazione è secco: “Antieconomico”. E dietro queste parole si intuisce la stessa determinazione del padre: la capacità di sognare in grande, anche quando tutti ti danno dell’incosciente.

                Nel frattempo, la vita privata è segnata da una decisione concreta: la villa di Macherio, la tenuta di famiglia, l’ha comprata a rate dopo la morte del Cavaliere. Un piccolo dettaglio che dice molto: “Vale tra i 24 e i 25 milioni”, dicono i beninformati. Un acquisto a colpi di bonifici, senza clamore, come a voler ribadire che Barbara è figlia di un impero, ma con i piedi ben piantati per terra.

                Così si racconta oggi Barbara Berlusconi: la manager, la madre, la donna che conosce il peso di quel cognome e la sfida di tenerlo vivo – ma anche la libertà di farne, finalmente, ciò che vuole. Senza politica, senza fronzoli, e con la voglia ostinata di costruire qualcosa che sia davvero suo.

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