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Cronaca

Vaticano in rosso, 70 milioni di buco: il cruccio del Conclave tra conti in bilico e musei d’oro

A pochi giorni dall’inizio del Conclave, la Santa Sede si scopre più fragile dal punto di vista economico: deficit strutturale sopra i 70 milioni, bilanci in affanno e Musei Vaticani unica vera miniera d’oro. Intanto il quorum scende a 89 voti, e il futuro Papa dovrà fare i conti anche con i numeri.

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    Nel silenzio ovattato delle congregazioni generali che precedono il Conclave, tra riflessioni spirituali e consultazioni più o meno trasparenti, è arrivato il giorno dei numeri. E non sono affatto buoni. Nella settima riunione dei cardinali, martedì 30 aprile, si è toccato uno dei nervi scoperti del Vaticano: la situazione economica della Santa Sede. Il portavoce Matteo Bruni lo ha confermato con diplomazia: «Si è parlato della situazione economica e finanziaria della Santa Sede». Ma dietro la frase asciutta si nasconde un allarme serio: un buco strutturale superiore ai 70 milioni di euro, che da anni accompagna la gestione dei conti vaticani come un’ombra difficile da rimuovere.

    I numeri ufficiali parlano chiaro. Nel 2024 il deficit è stato di 70 milioni, in miglioramento rispetto agli 83,5 del 2023 e ai 78 del 2022, ma pur sempre lontano da una vera stabilità. E la tendenza non è incoraggiante. Se le uscite restano elevate – tra stipendi, opere, strutture e attività diplomatiche – le entrate arrancano. In particolare, a calare sono le donazioni: l’Obolo di San Pietro, che un tempo rappresentava un gesto di partecipazione spirituale e materiale da parte dei fedeli, oggi segna il passo, fiaccato da scandali, sfiducia e crisi economiche a catena.

    A tenere in piedi la macchina, almeno in parte, ci pensano i Musei Vaticani, vera e propria gallina dalle uova d’oro. Ogni anno portano in cassa circa 100 milioni di euro, confermandosi la principale voce attiva del bilancio. Ma da sola non basta a compensare il passivo, che si è cronicizzato. E il prossimo Papa, chiunque sia, si troverà a gestire un’eredità complessa, fatta non solo di fede e visione, ma anche di conti che non tornano.

    Intanto, nel giorno di San Giuseppe lavoratore, giovedì 1° maggio, il Vaticano si è concesso una pausa. Niente congregazioni, niente riunioni: solo riflessione, preghiera e ultimi arrivi. Sono infatti attesi ancora alcuni cardinali elettori. A martedì 30 aprile risultavano presenti a Roma 124 porporati su 133 votanti. Il totale dei cardinali aventi diritto sarebbe 135, ma due – lo spagnolo Antonio Cañizares Llovera e il kenyano John Njue – hanno annunciato la loro assenza per motivi di salute. Il cardinale bosniaco Vinko Puljić, pur autorizzato dai medici a recarsi a Roma, parteciperà solo alle congregazioni ma non voterà, restando a Santa Marta.

    Questo significa che gli elettori effettivi in Sistina saranno 133, e che il quorum per eleggere il nuovo Papa si abbassa a 89 voti. Numeri che i cardinali stanno già facendo circolare sottovoce nei corridoi, tra uno scambio di cortesie e un caffè bevuto con circospezione. Ogni voto conta. E ogni nome che gira viene soppesato anche alla luce di quel dato nascosto tra le righe: chi prenderà il posto di Francesco dovrà affrontare una Chiesa sempre più globale, certo, ma anche sempre più povera. E il rosso dei conti, più del colore delle vesti cardinalizie, sarà il primo nodo da sciogliere.

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      Cronaca

      Ricatto a luci rosse contro un manager vicino a Meloni: cameriere condannato per tentata estorsione dopo un video erotico girato di nascosto

      Il dirigente pubblico, figura di fiducia della presidente del Consiglio, è stato minacciato con la diffusione online di un filmato intimo. L’imputato avrebbe agito insieme a un complice armato. La corte riconosce il tentativo di estorsione e respinge l’accusa di possesso di arma da fuoco.

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        Un manager pubblico di primo piano, vicino a Giorgia Meloni, e un cameriere vent’anni più giovane. Da un incontro casuale in un ristorante di Roma nord nasce una frequentazione che, dopo anni di silenzio, si trasforma in un ricatto violento. È il quadro ricostruito dal tribunale, che ha condannato l’imputato a tre anni e 1.200 euro di multa per tentata estorsione.

        La promessa, il ritorno di fiamma e il video nascosto

        La relazione risale al 2013, quando i due si conoscono in una trattoria di Anzio. Secondo gli atti, il manager avrebbe accennato alla possibilità di “sistemare economicamente” il giovane amante. Un impegno rimasto nella memoria dell’indagato per oltre un decennio.
        Nel 2024 un messaggio riapre i contatti: “Ciao, sei sparito. Come stai?”. Da quel momento i due tornano a frequentarsi. Durante un rapporto, il cameriere registra di nascosto un video hard, considerato dai magistrati la leva per il ricatto.

        L’incontro all’Eur e la pistola in auto

        Il filmato non basta: l’imputato coinvolge un complice, figura già conosciuta dal dirigente pubblico. Quando i tre si incontrano all’Eur, il complice sale sulla macchina della vittima, estrae una pistola e sostiene di appartenere a un gruppo criminale. La minaccia è esplicita: pagare, oppure vedere il video diffuso online.
        Nei giorni successivi partono messaggi e nuove pressioni. Il manager propone 50mila euro, ma l’imputato respinge l’offerta: “Con il costo della vita non si compra neanche una casa”.

        La denuncia, il processo e la condanna

        La richiesta finale è di 300mila euro da inviare tramite bonifico. Prima che il pagamento avvenga, il dirigente decide di denunciare tutto. Le indagini portano al processo: il complice, giudicato con rito abbreviato, è già stato condannato. Ora arriva anche la sentenza per il cameriere: tre anni per tentata estorsione, nessuna responsabilità invece per l’arma utilizzata nell’agguato.

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          Cronaca Nera

          Caso Garlasco, la perita smonta le certezze sul DNA: “Dati non affidabili”, compatibilità con Sempio ma con fortissime criticità scientifiche

          Nella relazione di 93 pagine la perita mette in fila limiti metodologici, contaminazioni, assenza di un database locale e profili genetici troppo degradati per conclusioni nette. Restano solo due compatibilità “moderate”, mentre sugli altri reperti sono presenti solo DNA di Chiara e Stasi.

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            La perizia sul DNA sotto le unghie di Chiara Poggi, attesa per mesi, non chiude il cerchio. Al contrario, apre un fronte di incertezze che la stessa esperta, Denise Albani, mette nero su bianco: le tracce genetiche estratte nel 2014 dall’allora perito De Stefano “non sono consolidate né affidabili dal punto di vista scientifico”.
            Materiale parziale, misto, degradato e mai sottoposto a verifica successiva. Su questo, la genetista non lascia margini di interpretazione. E tuttavia, applicando modelli biostatistici, arriva a una compatibilità della linea maschile di Andrea Sempio con due tracce rinvenute su due dita della vittima: un “supporto da moderatamente forte a forte” per una, “moderato” per l’altra.
            Ma la stessa Albani avverte: non è possibile rispondere a domande fondamentali come “come, quando e perché” quel materiale genetico sia stato depositato. Un limite che, in un processo, pesa come un macigno.

            Analisi biostatistiche tra limiti e assenze nei database

            La relazione spiega perché le valutazioni statistiche non possano essere considerate definitive: manca un database della popolazione locale, condizione ideale per stimare la frequenza reale di un dato profilo genetico.
            Per questo, la perita ha dovuto utilizzare gruppi molto più ampi: la metapopolazione europea e quella mondiale. Scelte obbligate, ma che possono produrre risultati “sottostimati” e comunque non riferibili con precisione al contesto di Garlasco.
            Non stupisce che sia la difesa di Sempio sia i consulenti della famiglia Poggi continuino a parlare di dati “non scientifici” e “non utilizzabili” in sede processuale. La battaglia tra esperti è solo all’inizio.

            Sugli altri reperti resta solo il DNA di Chiara e Stasi

            L’incidente probatorio conferma inoltre che sugli altri reperti non emergono elementi nuovi. Le sessanta impronte rinvenute nella villetta non restituiscono profili utili, e sugli oggetti recuperati in pattumiera compaiono esclusivamente il DNA di Chiara e quello di Stasi.
            Sul tappetino del bagno, ancora una volta, solo materiale genetico della studentessa e del padre. Nessuna traccia collegabile ad Andrea Sempio. Persino l’“ignoto 3”, per un periodo considerato possibile svolta, si rivela frutto di contaminazione autoptica.

            Un risultato che non chiude nulla

            La perita ricorda che gli aplotipi analizzati non sono identificativi e non permettono attribuzioni personali. La compatibilità con Sempio riguarda l’intera linea patrilineare: tutti i parenti maschi condividono quel profilo.
            Alla domanda decisiva — basterà questo per incriminarlo? — oggi la risposta è no. Non con questi dati, non con queste criticità, non con tracce così fragili.
            L’inchiesta prosegue, ma la scienza, per ora, non indica una verità univoca.

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              Storie vere

              A Biancavilla famiglie in lacrime davanti alla salma sbagliata: scambio di feretri in ospedale e mistero su chi abbia invertito le bare

              Lo scambio è avvenuto dopo il ricovero dei due uomini, coetanei, nello stesso ospedale di Biancavilla. Le bare tornano alle famiglie corrette, ma resta senza risposta la domanda chiave: quando e perché i feretri sono stati confusi?

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                A Biancavilla, nel Catanese, una famiglia ha vegliato per ore un uomo che non conosceva, convinta di trovarsi davanti al proprio caro estinto. La scena, quasi irreale, si è consumata in una casa privata dove parenti e amici avevano iniziato il rito del commiato. Nessuno aveva notato nulla di anomalo. L’allarme è scattato solo quando l’Azienda sanitaria provinciale di Catania ha contattato uno dei familiari, invitandolo a verificare l’identità della salma. Una richiesta insolita che ha subito acceso i sospetti.
                Il controllo, effettuato con maggiore attenzione, ha confermato il peggiore dei timori: la persona nella bara non era il loro congiunto. Da quel momento la situazione si è capovolta, trascinando entrambe le famiglie in uno sconcerto difficile da spiegare.

                Due uomini, stesso ospedale, età simile

                Le informazioni raccolte indicano un punto comune: i due defunti, uomini di età simile, erano stati ricoverati nel medesimo ospedale, il “Maria SS. Addolorata” di Biancavilla. È lì che le loro strade si sarebbero incrociate per l’ultima volta.
                Le operazioni successive – preparazione delle salme, trasferimenti, consegna delle bare – rappresentano una catena lunga, fatta di passaggi tecnici e procedure che, in teoria, riducono al minimo la possibilità di errori. Ma qualcosa, questa volta, non ha funzionato. E le famiglie, ignare, hanno accolto due feretri invertiti senza sospettare alcuno scambio.

                Un errore ancora senza autore

                Resta ora la domanda più scomoda: chi ha invertito le bare? E soprattutto, in quale momento della procedura è avvenuta la confusione?
                L’Asp ha segnalato l’accaduto e dovrà ricostruire ogni fase, dai reparti al deposito delle salme, fino al passaggio alle imprese funebri. Errori del genere sono rari, ma quando accadono lasciano dietro di sé non solo disagi burocratici ma ferite emotive profonde.
                Le due famiglie, dopo ore di smarrimento, hanno finalmente riavuto indietro i rispettivi defunti. Un epilogo necessario, ma che non cancella lo choc di aver pianto un estraneo, né le domande ancora aperte su una vicenda che richiede chiarezza.

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