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Cronaca

Venezia, sex worker occupano chiese e chiedono l’abolizione della legge Merlin: “Non siamo invisibili”

Pia Covre e le sex worker a Venezia per il 50° anniversario del movimento: performance nelle chiese di San Simeon Piccolo e San Nicola da Tolentino. “Vogliamo cambiare la Merlin”. Dura la reazione del Patriarcato: “Blasfemia, serve una preghiera riparatrice”.

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    Con un ombrello rosso a forma di cuore e una fascia da sindaco con la scritta “pensionata”, Pia Covre ha guidato la protesta delle sex worker a Venezia: una giornata di mobilitazione e provocazione per chiedere la revisione della legge Merlin. Sulle scalinate della chiesa di San Simeon Piccolo e poi dentro San Nicola da Tolentino, un piccolo esercito di donne e attiviste ha ricordato a tutti che il mestiere più antico del mondo non è sparito, e che la loro voce merita di essere ascoltata.

    Era il 2 giugno 1975 quando, in Francia, il movimento delle prostitute occupò la chiesa di Saint Nizier a Lione. Cinquant’anni dopo, la celebrazione di quella ribellione è approdata nella città lagunare. “I problemi che affrontiamo oggi sono gli stessi di allora: la legge Merlin va cambiata”, hanno detto le attiviste, alternando il sorriso alla fermezza. “Non siamo invisibili e non vogliamo più esserlo”.

    La scelta di Venezia non è stata casuale. Qui, nel 2001, alla Biennale nacque l’ombrello rosso come simbolo internazionale delle sex worker. E così, ieri, la città ha visto una promenade colorata e curiosa, con performance artistiche e interventi a Casa Punto Croce e in campo San Giacomo dell’Orio. Ma il cuore della protesta sono state le due incursioni in chiesa: un gesto che ha fatto infuriare la Chiesa di Venezia.

    “Con stupore e vero dispiacere abbiamo assistito a scene in cui sono stati strumentalizzati i passi del Vangelo e distorto il senso dell’Eucaristia”, ha commentato don Marco Zane, portavoce del Patriarcato. La condanna è stata netta: “Queste azioni sono offensive e blasfeme, invitiamo i fedeli a una preghiera riparatrice”.

    All’interno di San Nicola da Tolentino, il gruppo è entrato in silenzio, per poi iniziare un “tango della femminista e della ribellione” con chitarra e quattro voci. Pia Covre e le altre hanno deposto ex voto alla Madonna, mentre i turisti si fermavano incuriositi a osservare. Una scena decisamente inedita per Venezia.

    “Il Vangelo – ha puntualizzato ancora don Zane – parla di un amore legato al perdono dei peccati. Il richiamo all’essere ‘maestri’ riguarda chi converte la propria vita e si affida alla misericordia di Dio. Questo è stato totalmente travisato”. Ma per le sex worker, l’obiettivo era proprio quello: provocare e far discutere.

    La giornata è proseguita con riflessioni sul tema del lavoro sessuale in Europa e con la ricerca del collettivo Santa Carne sul rapporto tra Chiesa e sessualità. Tra performance, ironia e richieste di riconoscimento, la protesta di Venezia è stata un invito a non voltarsi dall’altra parte.

    La legge Merlin è datata 1958 e, per le attiviste, non tiene conto di un lavoro che oggi esiste ed è cambiato. “Chiediamo dignità e diritti, non pietà”, hanno ripetuto. Il dibattito, però, resta aperto. E la loro voce, ieri a Venezia, ha risuonato forte.

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      Cronaca Nera

      “Corona aveva rapporti con i clan”: le rivelazioni del pentito William Alfonso Cerbo, detto “Scarface”

      William Alfonso Cerbo, 43 anni, ex collettore economico del clan Mazzei di Catania, ha raccontato ai pm della Dda di Milano che Fabrizio Corona “si rivolgeva a Gaetano Cantarella quando aveva problemi su Milano”. Tra i ricordi, una richiesta di “recupero di 70mila euro a Palermo” e una cena con Lele Mora legata all’Ortomercato.

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        Il pentito William Alfonso Cerbo, detto “Scarface”, ha chiamato in causa Fabrizio Corona nel corso del maxi processo “Hydra” sulla presunta alleanza tra Cosa Nostra, ’ndrangheta e camorra in Lombardia. Davanti ai pm della Dda di Milano Alessandra Cerreti e Rosario Ferracane, Cerbo ha raccontato di essere stato “collettore economico a Milano del clan Mazzei di Catania” e di aver avuto contatti diretti con il mondo dello spettacolo.

        Secondo quanto emerge dai verbali, l’ex re dei paparazzi “si rivolgeva a Gaetano Cantarella, storico affiliato al clan Mazzei, quando aveva problemi su Milano o per un recupero credito di 70mila euro a Palermo legato a una truffa subita da un suo amico”. Cerbo ha anche ricordato che “Corona e Cecilia Rodriguez vennero nella mia discoteca a Catania”, sottolineando come Cantarella avesse rapporti con “diversi personaggi dello spettacolo”.

        Nel corso dei sei interrogatori, tra settembre e ottobre, Cerbo – oggi 43enne – ha ammesso la propria “partecipazione al reato associativo” e depositato una memoria di 27 pagine in cui elenca i punti della sua collaborazione con la giustizia. Tra questi, la scomparsa di Cantarella, ucciso nel 2020 in un episodio di lupara bianca su cui indagano i magistrati milanesi.

        In un altro capitolo della memoria, Cerbo parla anche di Lele Mora. “Una domenica sera andammo a cena a casa di Lele Mora a discutere di affari all’Ortomercato”, ha raccontato. “Voleva sapere che tipo di frutta avrei potuto fornire, le quantità e i prezzi. Mi disse di avere rapporti stretti con il presidente della Sogemi e che sarei potuto essere utile grazie ai miei prezzi”.

        Cerbo sostiene di aver inviato all’ex agente dei vip “il package della frutta in arrivo”, che Mora avrebbe poi girato a contatti all’interno del mercato ortofrutticolo milanese.

        L’inchiesta “Hydra” coordinata dalla Dda di Milano mira a ricostruire le connessioni economiche e criminali tra le principali organizzazioni mafiose in Lombardia. E le parole di “Scarface” – tra imprenditori, personaggi televisivi e affari illeciti – aggiungono un tassello inquietante alla trama di rapporti tra mondi apparentemente lontani.

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          Cronaca Nera

          Il mistero del guanto scomparso nel delitto Mattarella: arrestato un ex funzionario per depistaggio

          Era una delle prove più importanti dell’inchiesta sull’omicidio dell’ex presidente della Regione Siciliana, Piersanti Mattarella. Ma quel guanto, repertato nel 1980 e mai più ritrovato, è ora al centro di un presunto depistaggio. Arrestato l’ex funzionario di polizia Filippo Piritore, presente al sopralluogo.

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            Un guanto di pelle marrone, da mano destra, ritrovato davanti al sedile passeggero della Fiat 127 usata dai killer di Piersanti Mattarella. È questo il dettaglio che, a 45 anni di distanza, riaccende i riflettori su uno dei delitti più oscuri della storia repubblicana. Secondo la procura di Palermo, quel guanto sarebbe stato fatto sparire da un ex funzionario della Squadra Mobile, Filippo Piritore, arrestato con l’accusa di depistaggio.

            La presenza di Piritore sulla scena è attestata da una fotografia della Scientifica scattata durante il sopralluogo, subito dopo il ritrovamento dell’auto utilizzata per la fuga. Secondo la prassi, l’indumento avrebbe dovuto essere repertato e sottoposto ad analisi, ma ciò non avvenne.

            E qui inizia la zona d’ombra. Il giorno successivo, il 7 gennaio 1980, Piritore — già in possesso degli oggetti trovati sulla vettura — attribuì al guanto una “destinazione diversa” rispetto al resto del materiale, che venne invece riconsegnato al proprietario della macchina.

            Dalla documentazione rinvenuta oggi dalla Squadra Mobile emerge che l’ex funzionario avrebbe inviato il guanto all’allora sostituto procuratore Pietro Grasso, titolare delle indagini, tramite un agente della Scientifica. Una procedura anomala, secondo i magistrati, perché un reperto di quel tipo avrebbe dovuto restare agli esperti della polizia tecnica per le analisi balistiche e biologiche.

            “La prassi adottata presenta diverse preoccupanti stranezze”, sottolineano i pm palermitani. Non solo il guanto è sparito, ma non esiste traccia di alcun verbale di consegna o ricevuta firmata dal magistrato o dal suo ufficio.

            Per gli inquirenti, quella mancata registrazione rappresenta un passaggio cruciale in un possibile depistaggio volto a cancellare elementi utili per risalire agli autori materiali e ai mandanti del delitto. E quel piccolo oggetto di pelle scura, svanito nel nulla, torna oggi a pesare come un simbolo della verità mancata.

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              Italia

              Intelligenza artificiale, truffe reali: deepfake di Giorgia Meloni sui social, la premier clonata promette guadagni facili

              Voci, espressioni e sorrisi perfettamente ricostruiti: nei deepfake la premier assicura guadagni da 30 mila euro al mese con un investimento di 250 euro. Indagini in corso sul fenomeno, già intercettato da agenzie di cybersicurezza internazionali.

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                Giorgia Meloni in studio con Francesco Giorgino, intervistata sul futuro dell’Italia, mentre sponsorizza una piattaforma di trading “garantita dal governo”. Tutto perfetto, realistico, impeccabile. Peccato che sia tutto falso.

                Tre video deepfake — prodotti con tecniche di intelligenza artificiale e già in circolazione sui social — mostrano la presidente del Consiglio in ambientazioni credibili, con voce e volto ricostruiti in maniera quasi indistinguibile dall’originale. Nelle clip la premier si presta a uno spot fraudolento: «Tutti hanno diritto a ricevere un aiuto fino a 3 mila euro al mese, basta registrarsi e versare 250 euro», afferma sorridendo.

                In un altro filmato, ambientato in una finta intervista al Tg5 con Simona Branchetti, la presidente ribadisce: «Io stessa sono coinvolta in questo progetto e questo mese ho guadagnato 40 mila euro. Basta un piccolo investimento e la registrazione sarà attiva».

                Il dettaglio che inquieta è la precisione: la voce della Meloni è sincronizzata alla perfezione, lo sguardo e i sorrisi sono quelli veri. È l’avanguardia del deepfake, un salto di qualità che rende sempre più difficile distinguere realtà e artificio.

                Dietro, il solito meccanismo: i truffatori inseriscono link che promettono facili guadagni, portando invece a piattaforme che raccolgono dati personali e, passo dopo passo, arrivano fino ai conti correnti degli utenti.

                La Protective Intelligence Network di Singapore, guidata dall’ex poliziotto italiano Angelo Bani, ha intercettato i video e li ha segnalati al Global Anti-Scam Summit di Londra. «In Italia c’è un bombardamento di deepfake contro figure pubbliche, specialmente del governo», ha spiegato. Anche Sensity.ai, società italiana specializzata in cybersicurezza, ha registrato un’impennata di casi.

                Non è la prima volta che i deepfake colpiscono personaggi noti, ma questa è la prima volta che un presidente del Consiglio italiano viene clonato con questa precisione, in un’operazione studiata per sembrare più vera del vero. E il messaggio subliminale è fin troppo chiaro: non si può più credere nemmeno ai propri occhi.

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