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Spettacolo

Non gioco più me ne vado, l’addio di Kasia al cinema

L’attrice polacca naturalizzata italiana ha annunciato la sua decisione di abbandonare la recitazione. Kasia Smutniak ha rivelato i motivi che l’hanno spinta a prendere questa inaspettata decisione.

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    Kasia Smutniak, volto noto del cinema italiano, ha sorpreso tutti annunciando il suo addio al mondo della recitazione. L’attrice, che negli anni ha conquistato il pubblico con la sua intensa espressività e la sua bellezza delicata, ha deciso di intraprendere un nuovo percorso di vita.

    “Sono entrata in un’altra fase della vita e ho sentito l’esigenza di smettere. Non voglio più fare l’attrice. Penso sia la decisione più punk che ho preso finora, anche perché l’ho maturata in un momento bellissimo della sua carriera”, confida l’attrice.

    La decisione di Kasia Smutniak arriva in un momento di particolare serenità per l’attrice grazie anche al legame profondo che la unisce alla figlia Sophie. Proprio il rapporto con la figlia e la voglia di dedicarle più tempo sembrano essere stati tra i fattori determinanti nella scelta di abbandonare la recitazione.

    Un addio inaspettato, ma che lascia il segno
    Una decisione matura e ponderata, che ha le sue radici in un’esperienza professionale che l’ha segnata profondamente: la realizzazione del documentario “Mur”.

    Ed è stato proprio durante la lavorazione di “Mur” che Kasia Smutniak ha avvertito un cambiamento radicale nella sua prospettiva artistica e di vita. L’impegno nel dirigere questo documentario le ha aperto nuove porte e le ha permesso di esplorare aspetti della realtà e della narrazione che prima non aveva considerato. La morte di Pietro è stata un duro colpo per Kasia Smutniak, che si trovava a dover affrontare il dolore della perdita e a crescere una figlia da sola.
    L’attrice ha confessato di aver seriamente considerato l’idea di lasciare l’Italia e di tornare nel suo paese d’origine, la Polonia.

    “Mi hanno chiesto tutti di parlarne e non l’ho mai fatto. Quando è successo, la cosa più difficile è stata rimanere qui, in Italia. Sarebbe stato più facile tornare nel mio Paese” – ha rivelato.

    La rinascita e un nuovo amore
    Ma, nonostante il dolore, Kasia Smutniak ha trovato la forza di ricominciare. Dal 2011 è legata al produttore Domenico Procacci, con cui ha costruito una solida famiglia. La nascita di Leone e il matrimonio con Domenico hanno rappresentato per l’attrice un nuovo inizio, una rinascita dopo un periodo buio, affrontato con dolore della perdita e ha ricostruito la sua vita.

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      Televisione

      Fiorello perde la bussola davanti a Can Yaman: l’effetto Sandokan che fa vacillare anche le certezze più granitiche

      Durante la sua rassegna mattutina Fiorello ha confessato, con l’ironia che lo contraddistingue, di essere rimasto “ipnotizzato” dal protagonista della serie evento. Tra camicie aperte, galoppate al rallentatore e fascino debordante, il nuovo Sandokan conquista anche chi pensava di essere immune.

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        Fiorello lo ha detto senza filtri, con quel tono da showman che trasforma ogni battuta in un terremoto mediatico: «Io, devo essere sincero, l’ho guardato Sandokan, ma la mia eterosessualità ha vacillato più volte». Il pubblico è esploso. Perché quando a pronunciare una frase del genere è uno dei volti più solidi della televisione italiana, l’effetto è immediato: risate, meme, condivisioni virali.

        La confessione arriva dopo la prima puntata del nuovo Sandokan su Rai 1, dove Can Yaman — protagonista assoluto — è diventato in poche ore l’argomento più discusso sui social. Fiorello, da perfetto termometro del Paese, ha colto l’onda e l’ha trasformata in un piccolo monologo irresistibile. «C’è stata una scena — ha raccontato — in cui lui, al rallentatore, galoppava con la camicia aperta… una roba bellissima. Io lì ho detto: “Beh, quasi quasi”».

        Il conduttore ha giocato come sempre sul filo dell’ironia, restituendo però una sensazione che molti, anche senza ammetterlo pubblicamente, hanno probabilmente provato. Perché l’operazione Sandokan, al netto delle critiche e dei giudizi artistici, ha lavorato soprattutto sul piano dell’immagine: il corpo di Yaman è diventato un linguaggio parallelo, un richiamo continuo all’epica del bello e dell’eroico.

        Fiorello ha trasformato tutto in una gag perfetta, sottolineando come la scena a cavallo fosse “girata apposta per far crollare certezze”, e aggiungendo che “chi non ci ha fatto un pensierino?” È il tipo di battuta che solo lui può permettersi: leggera, pop, capace di sintetizzare un fenomeno culturale con poche parole ben piazzate.

        La forza del personaggio Sandokan — anche in questa versione televisiva dal gusto patinato — sta proprio nella sua capacità di scatenare immaginari. E il commento di Fiorello diventa una cartina di tornasole del momento: Can Yaman sarà pure divisivo nella recitazione, ma come icona pop non teme rivali. Il suo volto, il suo fisico, il suo carisma a telecamera accesa sono diventati materia di conversazione nazionale.

        La frase di Fiorello, già rimbalzata ovunque, segna l’ennesima conferma del potere del personaggio. E dimostra, ancora una volta, come la televisione sappia creare cortocircuiti imprevedibili: bastano un cavallo, una camicia svolazzante e un attore dal fascino debordante per scatenare un commento che diventa trend in poche ore.

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          Teatro

          Fuoco, scandalo e applausi: la Scala apre con “Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk” di Šostakovič

          Un’opera bandita per decenni, un cast internazionale, una serata da record: la scelta di “Lady Macbeth” rilancia la Scala come palcoscenico di conflitti e bellezza — ma non mancano le ombre.

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          la Scala apre con “Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk” di Šostakovič

            Come da tradizione, già dalle prime ore del pomeriggio del 7 dicembre decine di manifestanti si sono radunati all’esterno del teatro, dietro le transenne che delimitano gli accessi. Proteste pacifiche — per la pace, contro la guerra — che da qualche anno accompagnano l’inaugurazione della stagione, subito prima che cali il sipario.

            Alle 18 in punto è cominciato lo spettacolo: l’opera scelta per inaugurare la stagione 2025-2026 è “Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk” di Dmitrij Šostakovič. Un titolo forte, carico di storia e di controversie, capolavoro del Novecento che torna in scena a Milano con una produzione nuova, diretta dal maestro Riccardo Chailly e messa in scena da Vasily Barkhatov.

            In sala, tra platea e palchi, si sono stretti politici, imprenditori, star dello spettacolo, giornalisti e rappresentanti dell’alta finanza: un parterre di élite che ha contribuito a trasformare la Prima della Scala in un evento mediatico con eco internazionale.

            Un’opera dal passato tormentato

            “Lady Macbeth del distretto di Mcensk” debutta nel 1934 a Leningrado: un’opera intensa, coraggiosa, violenta e diretta, ispirata al racconto di Nikolaj Leskov. Nel 1936 una recensione demolitiva sulla rivista ufficiale del regime sovietico — intitolata “Caos invece di musica” — la condanna, e l’opera viene bandita. Per decenni il suo messaggio forte e scomodo resta censurato.

            Tornata in repertorio molti anni dopo, la Scala ha scelto di proporre ora la versione originale del 1934: un deciso ritorno alle origini, per rispettare la forza drammatica e la visione originaria di Šostakovič.

            Emozioni, applausi… e dibattito

            All’uscita del sipario, il pubblico si è alzato in piedi: una ovazione di circa 11 minuti, rara e fragorosa. Niente fischi, né mugugni: solo applausi lunghi, intensi, convinti.

            Il soprano protagonista, Sara Jakubiak, nel ruolo di Katerina, ha scherzato: “Domani vado alle terme”, commentando con ironia e sollievo l’impegno titanico richiesto dal personaggio. Una battuta che sdrammatizza ma sottolinea la potenza vocale e drammatica offerta in scena.

            Molti i commenti positivi alla regia, all’orchestra, al coro. Per l’assessore alla Cultura del Comune di Milano, l’opera è “potente, drammatica, attuale”: un ritorno di un’opera controversa che apre la stagione con coraggio.

            Ma non mancano le voci critiche. Alcuni — come il presidente di una commissione parlamentare — si dicono “perplessi”: ritengono l’allestimento “anti-stalinista” in conflitto con valori come la tutela delle donne, in relazione alla storia della protagonista. Un dibattito che ovviamente prosegue fuori dal teatro, come ogni Prima che decide di osare.

            Record e numeri da gala

            La scelta della Scala ha già pagato: secondo fonti ufficiali, l’incasso per la serata inaugurale ha superato i 2,8 milioni di euro — il più alto nella storia recente delle Prime scaligere. Un segnale forte: non solo un evento di élite, ma un vero fenomeno culturale e mediatico.

            E la trasmissione in diretta su Rai1, Radio3 e RaiPlay garantirà che milioni di spettatori possano assistere a questo momento, amplificando il dibattito sull’opera, sull’arte, sulla storia.

            Un’apertura che fa discutere — e riflettere

            Questa Prima della Scala non sarà ricordata solo come un evento mondano. La scelta di un titolo dal passato travagliato e politicamente carico è una dichiarazione: il teatro non deve essere solo consolazione, ma anche provocazione, memoria, stimolo al dialogo.

            Quando le luci si spengono e il sipario cala, resta la domanda: perché rappresentare ancora oggi un’opera censurata per decenni? Forse perché l’arte, quella vera, ha il potere di tornare a disturbare, a interrogare, a far pensare. E quando lo fa, non è un gesto nostalgico: è un atto di coraggio.

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              Musica

              Anna Pepe, la ragazza che ha ribaltato il rap e i conti: tour sold out, 4 milioni di copie e una società che macina milioni

              Dai sold out in tutta Italia ai 6 miliardi di streaming, passando per una Baddie srl capace di generare oltre 2 milioni in pochi mesi: Anna Pepe è il nuovo fenomeno dell’industria musicale, con numeri che mettono in fila nomi come Annalisa, Elodie e Giorgia.

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                Negli ultimi quindici giorni ha riempito i palazzetti di mezza Italia. Mantova il 16 novembre, poi Milano, Bologna, Firenze, Napoli, Roma e infine Padova e Torino. Un tour fulmineo, tutto sold out, che certifica quello che ormai è evidente a chiunque osservi anche distrattamente il panorama musicale italiano: Anna Pepe è la star assoluta della Generazione Z, la voce femminile rap più ascoltata della penisola e un fenomeno industriale che non accenna a rallentare.

                A 21 anni, con oltre 4 milioni di copie vendute e 6 miliardi di ascolti complessivi, Anna ha già conquistato 8 dischi d’oro e 39 platino, numeri che fino a pochi anni fa sarebbero sembrati fantascienza per un’artista così giovane. Ma il dato più sorprendente non riguarda solo la musica: è il modo in cui Anna ha trasformato il suo percorso artistico in un’impresa che macina utili e batte in efficienza nomi ben più navigati.

                Il 14 febbraio 2024, mentre l’Italia festeggiava San Valentino, la rapper registrava alla Camera di commercio di Milano la sua società: Baddie srl. Da quella scatola operativa, il 28 giugno, è uscito il primo album registrato in studio, Vero Baddie, lo stesso titolo del tour che sta portando migliaia di ragazzi sotto un palco. Risultato? In dieci mesi la società ha incassato 2,172 milioni di euro. Una performance che sfiora il fatturato di Annalisa nello stesso anno (2,79 milioni), supera di slancio quello di Elodie (1,386 milioni) e doppi quello di Giorgia (893mila euro). Ma soprattutto: Anna ha generato 717.237 euro di utile netto. Un abisso rispetto ai 163mila di Elodie e ai 107mila di Giorgia.

                Una parte del merito va anche all’assetto societario. L’80% della Baddie srl è suo. Il restante è equamente diviso tra i genitori: Cristian Pepe, ex centrocampista dello Spezia poi diventato DJ, e Stella Sanvitale, artista poliedrica attiva tra pittura, illustrazione, scultura e fotografia. Una famiglia che ha saputo trasformare un talento naturale in un progetto strutturato, solido e già molto più redditizio di molte realtà consolidate dell’industria musicale italiana.

                A colpire non è solo la rapidità della scalata, ma la sicurezza con cui Anna si muove in un mercato che di solito divora i giovani talenti. Lei, invece, sembra aver trovato il modo di tenere insieme numeri, credibilità e un immaginario che parla perfettamente ai ragazzi. Il futuro, a questo punto, è già iniziato. E corre veloce quanto i suoi beat.

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