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Regina Camilla, la commovente dichiarazione sulla violenza domestica: un impegno che scuote il Regno Unito

In Her Majesty The Queen: Behind Closed Doors, la regina Camilla ha incontrato la madre di una vittima di femminicidio e ribadito il suo impegno come patrona di SafeLives, promettendo di continuare la lotta contro la violenza domestica finché le sarà possibile.

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    La regina Camilla ha emozionato il pubblico partecipando al documentario Her Majesty The Queen: Behind Closed Doors, dove ha affrontato il delicato tema della violenza domestica con una toccante testimonianza. Durante il programma, Camilla ha incontrato Diana Parkes, madre di Joanna Simpson, una donna vittima di femminicidio. Questo incontro ha lasciato un segno profondo nella sovrana, che si è dichiarata decisa a supportare le vittime e a sensibilizzare su questo grave problema sociale.

    L’impegno di Camilla come patrona di SafeLives

    Nel corso del documentario, la regina consorte ha ricordato la sua lunga collaborazione con SafeLives, un’organizzazione che offre supporto alle vittime di violenza domestica, e ha espresso il proprio impegno a portare avanti questa causa. “Continuerò a lottare finché ne avrò la forza,” ha affermato, sottolineando l’urgenza di riconoscere e combattere il controllo coercitivo, una forma insidiosa di abuso psicologico. Camilla, che oggi ha 77 anni, si è dedicata negli ultimi anni a visitare centri antiviolenza e a promuovere incontri pubblici per accrescere la consapevolezza su questo dramma.

    Con queste parole, Camilla ha colpito profondamente il pubblico, ricordando il valore dell’impegno sociale anche per chi ricopre ruoli di alto profilo. La sua determinazione è un chiaro esempio di come la monarchia possa dare un contributo attivo alla società.

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      Re Carlo ruba la scena ai Sussex, sbarcando su Netflix partecipando ad un documentario

      Il debutto di Re Carlo sulla piattaforma streaming segna un nuovo capitolo per la monarchia britannica. E ora, per Harry e Meghan, la concorrenza arriva… direttamente da Buckingham Palace!

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        Il Regno Unito entra ufficialmente nell’era dello streaming. Re Carlo III ha deciso di partecipare a un documentario Netflix dedicato al King’s Trust, l’organizzazione benefica da lui fondata che sostiene i giovani. Una mossa storica, che segna il primo vero passo del Sovrano britannico nel cuore del media digitale globale. A curare la produzione sarà Eva Omaghomi, stretta collaboratrice del Re, mentre tra i protagonisti spicca il nome dell’attore Idris Elba.

        Per un reame più moderno e smart

        La scelta non è casuale: con questa operazione, Re Carlo punta a modernizzare l’immagine della monarchia, avvicinandola a un pubblico più giovane e internazionale. Il CEO del King’s Trust, Jonathan Townsend, ha spiegato che il progetto sarà incentrato sull’empowerment giovanile, un tema sempre più centrale nella comunicazione istituzionale del Re.

        Harry e Meghan: il monopolio mediatico è finito?

        Il debutto di Re Carlo su Netflix non è solo un gesto simbolico. È anche un messaggio diretto a chi, negli ultimi anni, ha cercato di riscrivere la narrazione reale da oltreoceano. Harry e Meghan Markle, ex Duchi di Sussex, avevano fatto proprio della piattaforma streaming il loro canale preferenziale, siglando nel 2020 un contratto da 153 milioni di dollari.

        Non più all’apice della cronaca

        Tuttavia, tra progetti cancellati e recensioni tiepide, il vento è cambiato. Le critiche della stampa americana li definiscono oggi “i più grandi perdenti di Hollywood”. Il rischio è che ora la loro narrazione venga sovrastata dalla figura istituzionale – e più credibile – di Re Carlo, che ha saputo cogliere il momento giusto per entrare nel gioco.

        Marketing, percezione e impatto reale

        La presenza del Re su Netflix è anche una brillante mossa di strategia comunicativa. Le piattaforme digitali sono oggi il canale principale per creare engagement, specialmente tra i giovani. Se il documentario riscuoterà successo, potremmo assistere a un aumento diretto nelle donazioni al King’s Trust, migliorando contemporaneamente brand reputation e impatto sociale. Sotto la lente ci sono KPI come CTR, engagement rate e ROAS. Tutti indicatori chiave che potrebbero trasformare questo esperimento in un modello replicabile anche per altri membri della Royal Family. Il trono è più digitale che mai… e Re Carlo lo sa bene.

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          Il Principe William è sempre più vicino al trono: tutti gli indizi della sua ascesa

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            Un tempo gli eredi al trono si limitavano a tagliare nastri e inaugurare giardini botanici. Oggi, invece, il Principe William si muove tra leader mondiali, partecipa a funerali papali, stringe mani che contano e guida delegazioni ufficiali con l’aplomb di chi sa bene dove sta andando. Il regno, forse, non è ancora a portata di mano, ma l’atmosfera a corte racconta sempre più chiaramente che la transizione è in atto.

            A 42 anni, il Principe di Galles sta vivendo una stagione di forte esposizione pubblica. Ha rappresentato il padre al funerale di Papa Francesco, fianco a fianco con nomi del calibro di Trump, Macron e Zelensky. Non un semplice compito di cortesia, ma un battesimo politico in piena regola. Alla riapertura della cattedrale di Notre-Dame, è toccato a lui guidare la delegazione britannica, in una Parigi ancora emozionata. E secondo l’esperto reale Hugo Vickers, “William è ormai tra i grandi”.

            La domanda sorge spontanea: sta già scaldando il trono? Secondo Vickers, la risposta è sì, pur con le dovute cautele. “È naturale che lo vediamo sempre più presente. Si sta preparando per assumere la corona, anche se nessuno è mai davvero pronto per un compito così impegnativo”. La monarchia, d’altra parte, è una maratona fatta di cerimonie, silenzi, simboli e tempismo. E il tempismo, oggi, sembra premere l’acceleratore.

            Anche perché la salute di Re Carlo, oggetto di crescente attenzione da parte dei media, alimenta speculazioni e previsioni. Nonostante la ferrea volontà del sovrano di mantenere il suo ruolo, è chiaro che il figlio maggiore sta già assumendo funzioni sempre più strategiche. Un apprendistato reale dal vivo, sotto gli occhi del mondo e sotto la pressione di un Paese che non ama le incertezze istituzionali.

            Ma dietro il volto controllato e il sorriso misurato di William, ci sono sfide personali tutt’altro che leggere. Prima fra tutte, la salute della moglie Kate Middleton, alle prese con un trattamento contro il cancro. Una prova difficile, che ha inevitabilmente rallentato la loro agenda pubblica, ma che ha anche evidenziato un lato più umano del futuro re: quello di marito e padre, prima ancora che di erede al trono.

            La monarchia britannica, nella sua lenta ma costante evoluzione, sembra dunque avviarsi verso una nuova era. Un’era meno mediaticamente eclatante rispetto a quella di Carlo, o all’epopea eterna di Elisabetta II, ma forse più sobria, concreta e consapevole. William non è un rivoluzionario, ma ha mostrato una leadership discreta e coerente, anche nei momenti più complessi. E il suo equilibrio tra senso del dovere e rispetto della privacy potrebbe diventare la cifra del suo futuro regno.

            La strada non è ancora segnata, ma il percorso sì. E a giudicare dagli indizi disseminati tra un impegno diplomatico e l’altro, William non solo si sta preparando: è già in cammino. Quando il momento arriverà, non ci sarà bisogno di proclami. Basterà guardarlo: sarà già re nei fatti, prima ancora che nei titoli.

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              Harry e la sindrome del divanetto: altra intervista, altro dramma. E Re Carlo s’infuria

              L’ultima confessione pubblica del duca di Sussex rinfocola la soap reale: Harry “perdona” i suoi, piange in salotto e lancia messaggi di pace. Ma a Buckingham Palace c’è chi suggerisce al re di togliergli pure il titolo. E il pubblico inglese, naturalmente, si gode tutto fino all’ultimo lacrimuccia

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                Il principe Harry è tornato. O forse non se n’è mai andato. Inquadrato con lo sguardo da cucciolo abbandonato, seduto su un divanetto bianco che più simbolico non si può, nella solita location californiana che non è mai casa sua, ha rilasciato l’ennesima intervista a cuore aperto alla Bbc. Questa volta — dice — non per attaccare, ma per perdonare. Sì, perdona tutti. E lo dice con la voce rotta e il broncio da enfant terrible pentito: «La vita è breve, non so quanto tempo resta a mio padre». Frase che, ovviamente, ha fatto sobbalzare mezza Inghilterra e tutto il personale di Kensington Palace.

                La reazione del sovrano non si è fatta attendere — almeno tramite “amici del re” rimasti ovviamente anonimi — che al Sun hanno confidato come Re Carlo sia «frustrato e sconvolto». E come biasimarlo: ogni volta che la monarchia tenta un momento di tregua, Harry si presenta con le valigie del risentimento e una troupe della Bbc al seguito.

                Eppure funziona. Mentre la politica annaspa tra batoste laburiste e crisi strutturali, la soap opera di corte conquista ancora una volta la scena. È un’onda emotiva che travolge le prime pagine: non c’è crisi sociale o scandalo politico che regga il confronto con il melodramma Windsor. E anche chi storce il naso, alla fine, resta lì a guardare. Persino il Guardian, solitamente allergico al gossip reale, ha dedicato editoriale, cronaca e retrospettiva a questi cinque anni di solitudine e interviste del principe ribelle.

                Il tabloid Daily Express si è spinto oltre: secondo un sondaggio lampo, il 97% dei lettori vorrebbe che al duca fosse tolto il titolo. “Enough is enough”, scrivono. Ma tanto basta perché Harry torni al centro dell’attenzione e i Sussex ritornino a dettare l’agenda. Sempre con l’aria di chi, pur abitando a Malibu e frequentando Oprah, si sente vittima di una famiglia “fredda, calcolatrice, tentacolare”. Da cui, però, non riesce mai davvero a staccarsi.

                Siamo al paradosso: più Harry predica il distacco, più nega i legami con la Corona, più li rafforza. È un cortocircuito emotivo che il pubblico conosce bene. E ama. Come ricorda Hugh Muir in un editoriale memorabile: «Harry racconta il suo dolore e ti viene da spegnere la tv. Ma chi lo fa davvero?». Nessuno. E non perché il principe sia convincente, ma perché la tragedia dei Windsor è irresistibile. Un feuilleton in tempo reale, con tanto di lacrime, retroscena, ritratti ufficiali, comunicati gelidi da Clarence House e confessionali da salotto.

                Ora il pallino è in mano a re Carlo, che tace ma probabilmente medita. Con un figlio che a ogni apparizione pubblica rilancia il feuilleton familiare e un’opinione pubblica divisa tra empatia e fastidio, anche il più diplomatico dei sovrani si troverebbe spiazzato.

                Harry, da parte sua, giura di voler fare pace. Ma tra “perdoni” televisivi e cause contro l’Home Office per la sicurezza personale, l’idea di un ritorno alla normalità pare fantascienza. Come sempre, la Royal Family resta prigioniera del suo personaggio. E l’Inghilterra, con il telecomando in mano, non si perde nemmeno una puntata.

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