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Gossip

Rocio e Raoul Bova, un amore senza nozze!

Rocio Munoz Morales, la compagna di Raoul Bova, ha espresso il suo desiderio di convolare a nozze con l’attore durante un’intervista con Diletta Leotta nel podcast “Mamma Dilettante”. La coppia, legata da oltre un decennio e con due figlie, Luna e Alma, sembra vivere un amore solido e duraturo.

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    Anche se il matrimonio non è ancora un fatto compiuto, la relazione tra Rocio Munoz Morales e Raoul Bova, sembra essere più forte che mai, alimentata da un amore profondo e da un reciproco rispetto. La speranza è che questo desiderio di Rocio si avveri presto e che la coppia possa coronare il loro sogno d’amore con il fatidico “sì”. Nonostante questa aspirazione, però, Rocio ha precisato che non ha intenzione di fare la proposta di matrimonio a Raoul, ma che Deve essere lui a chiedermelo“, ha affermato l’attrice spagnola.

    “Il nostro incontro è stato su un set in Grecia. Mi ricordo di lui bellissimo, ma io non ho mai avuto fidanzati belli, sempre bruttissimi – dice Rocio –  ospite del podcast “Mamma Dilettante” di Diletta Leotta. “Lui era molto serio e professionale e non sapevo che fosse un attore famoso in Italia. Dopo il set, io sono tornata in Spagna e lui in Italia. Poi mi sono arrivate delle proposte di lavoro qui, ci siamo incontrati per caso ed era come se il tempo non fosse mai passato. Sulla carta non eravamo fatti uno per l’altra, parlavamo due lingue, lui era più grande di me e c’è voluto del tempo prima di fidanzarci”.

    Il loro amore rimane vivo e pieno di vita, lontano dalla routine stagnante che spesso affligge le relazioni a lungo termine. Il loro legame è così forte che Rocio non riesce a immaginare di condividere con nessun altro i momenti più intimi della vita, dalle serate folli ai momenti di riflessione tranquilla. “È lui quello con cui andrei in discoteca fino allo sfinimento, pregherei in chiesa o mi sfrenerei per lo shopping,” ha confessato. Queste sono solo alcune delle folli avventure che condividono, creando ricordi troppo preziosi per essere condivisi con il mondo.

    Rocio e Raoul al mare in famiglia e a destra una bellissima foto dell’attrice

    Il loro legame si rafforza con ogni momento che passa e, quando la distanza li separa, la nostalgia si fa più forte. Riuniti, sono inseparabili, spesso ballano fino a notte fonda nella loro stessa casa, con grande disappunto dei vicini. “Non siamo mai andati in discoteca insieme in Italia,” ha rivelato, “ma quando siamo in vacanza, è la prima cosa che facciamo.”

    Nonostante il loro amore innegabile e gli anni trascorsi insieme, il matrimonio non è al momento nei loro piani. Rocio sembra accontentarsi di assaporare il presente, tenendo caro il legame straordinario che condivide con il suo partner. Forse la loro storia d’amore è una testimonianza del fatto che il vero amore non ha bisogno di una dichiarazione formale per prosperare; sboccia nelle esperienze condivise, nella comprensione tacita e nel supporto incrollabile che definiscono il loro legame unico.

    “Avrei voluto sposarmi e lo desidero ancora, lo ammetto,”ha confessato la 36enne attrice Rocio Munoz Morales. “Tuttavia, non è per me un traguardo da raggiungere. Mi piacerebbe fare una festa per celebrare il nostro amore, questo sì. In ogni caso, per me non è concepibile che sia la donna a chiedere di sposarsi, quindi non lo farei mai io con Raoul”.

    La Morales ha poi rivelato che la sua relazione con Bova l’ha aiutata a fare i conti con le sue insicurezze. “Sono sempre stata molto esigente con me stessa, al punto da crearmi un limite, non concedendomi la possibilità di sbagliare. Quando ho visto che le mie figlie, Alma e Luna, mi amavano comunque, ho capito che è bello essere imperfetti.”

    Continuando, ha descritto la sua personalità: “Sono una maniaca dell’ordine. Ho la fissa delle cose quadrate. Il mio armadio, i miei copioni sono sempre impeccabili. I miei amici mi prendono in giro dicendomi ‘sembri un serial killer’!” ha concluso la Morales tra le risate.

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      Gossip

      Steve-O e la nuova folle idea: impiantarsi il seno per scherzo

      Steve-O, famoso per le sue acrobazie folli e iper la sua breve storia con Elisabetta Canalis ha aggiunto un nuovo capitolo alla sua carriera di shock e risate. Questa volta, ha scelto di farsi impiantare seni finti, un gesto decisamente fuori dal comune, anche per lui.

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        Non c’è limite alla follia di Steve-O, la star di Jackass che sembra voler superare se stesso ogni volta con stunt sempre più assurdi. La sua ultima “genialata”? Impiantarsi due seni finti per filmare scherzi con telecamere nascoste. Ecco come il comico ha deciso di diventare ancora più estremo, spingendo il concetto di body modification a nuovi livelli di assurdità.

        Una chirurgia senza etica?

        Steve-O ha dichiarato di aver consultato i migliori chirurghi per ottenere una coppa D e che l’operazione è stata approvata senza alcun problema etico. Ma che tipo di etica medica permette simili interventi solo per far ridere? L’idea di modificare il proprio corpo chirurgicamente per fini di intrattenimento solleva domande inquietanti sullo stato attuale della nostra cultura pop. “Mi è venuta l’idea qualche anno fa di rifarmi il seno e di filmare un sacco di scherzi divertenti con telecamere nascoste,” ha spiegato. Ma è davvero questo il tipo di esempio che vogliamo dare al pubblico?

        Un esempio discutibile

        Cosa ci dice questa storia su quanto siamo disposti a fare per finire al centro dell’attenzione mediatica? Steve-O, noto per la sua breve storia con Elisabetta Canalis, sembra disposto a tutto pur di rimanere rilevante. Nonostante le potenziali reazioni negative, il comico crede fermamente nel suo progetto, affermando che la body modification è sempre stata parte del suo essere. Ma a quale costo?

        Il comico, famoso per i suoi stunt scioccanti e dolorosi, ha persino lasciato intendere che la data del suo intervento è imminente, dimostrando che per lui l’asticella della follia può essere sempre alzata. Ma forse è giunto il momento di chiederci se questo tipo di comportamento, spinto all’estremo solo per far ridere, non meriti una seria riflessione sullo stato dell’intrattenimento moderno e sulle sue implicazioni etiche.

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          Personaggi

          Maria Grazia Cucinotta: 30 anni (di cinema) e non sentirli, sfiorata dal #meetoo

          Un bilancio di 30 anni di professione per maria Grazia Cucinotta, fra grandi incontri ed opportunità (in primis quella di lavorare al fianco di Massimo Troisi, che la scelse come partner)… ma anche con qualche zona d’ombra: un tentativo di stupro e, la dislessia. E l’incontro con Harvey Weinstein.

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            Quando si parla di lei vengono in mente due immagini, distinte ma complementari: quello della classica bellezza meridionale, capelli scuri, forme prosperose, tratti marcati… e il suo ruolo da esordiente come Beatrice ne Il Postino, come destinataria delle famose metafore del personaggio interpretato da Massimo Troisi. Da quel momento per Maria Grazia Cucinotta sono trascorsi 30 anni di tempo, pieni di film, di incontri, di opportunità e di vita vera.

            Al cospetto di Massimo Troisi, senza nessuna esperienza

            Rievocando con lei il provino con l’indimenticabile attore napoletano, lei – consapevole che stava per interpretare il ruolo più importante della sua vita – l’emozione, seppur sottile e stemperata dal grande mestiere, affiora ancora: «Mi scelse dai provini. Fu Nathaly Caldonazzo a riferirgli di me. Le sono grata e le voglio bene, anche se non ci parliamo più. Mi tremavano le gambe a stare lì seduta di fronte a lui a leggere un copione. Io poi, che sono dislessica… mi mancava la preparazione, non avevo alcuna esperienza».

            L’umanità del grande partner

            Troisi non stava cercando un mostro di recitazione ma naturalezza e capacità di emozionare gli altri: «Lui non voleva che fossi tecnica: “Non devi recitare perché si vede”. Non considerava un difetto neppure la dislessia, mi diceva solo di non correre. Ricordo anche il tic tac che pensavo fosse un orologio e invece era il suo cuore. Per fortuna feci finta di niente e non feci gaffe».

            Le reazioni di alcuni colleghi illustri

            Un ruolo che si trasformò in una fortuna immensa. Però anche irreplicabile. Cita spesso l’abbraccio stretto che le riservò il regista Oliver Stone, confessandole che Il postino era il film più bello che avesse mai visto. Gina Lollobrigida invece le disse: “Vai avanti e non curarti delle cose che non sono importanti, come chi non ti riconosce. Viva le nuove facce e viva le nuove generazioni”.

            I problemi con la dislessia

            La dislessia le creò problemi concreti, lei non fa fatica ad ammetterlo, soprattutto ai tempi della scuola: «Da giovane avevo gli attacchi di panico alle interrogazioni. Non sono cresciuta in un quartiere facile, a un certo punto pensarono che fossi drogata, perché di droga ne girava tanta. Mia madre era disperata. Più collassavo e più passavo per la scema del villaggio».

            Un ricordo speciale per il suo James Bond

            Per lei, che ha lavorato a fianco di grandissimi attori, Philippe Noiret su tutti, non deve essere facile rispondere ad una domanda su quali siano i suoi partner preferiti, soprattutto in termini di affinità. Ma anche in questo sa sorprenderti per naturalezza e spontaneità: «Pierce Brosnan è una persona fantastica. Quando ha saputo che mia sorella stava male (per un tumore, ndr) mi ha scritto immediatamente. Un gesto che mi ha emozionato». D’altronde non è da tutte poter affermare di essere stata una Bond girl, nella fattispecie in Il mondo non basta del 1999, con l’agente di Sua Maestà interpretato proprio da Brosnan.

            In America e ritorno, con una punta di rimpianto

            Fra i colleghi italiani cita volentieri Ester Pantano e Francesca Inaudi. Con una predilezione speciale nei confronti anche di Gabriel Garko, persona che definisce «deliziosa e che ha sofferto tanto». Non considerando l’Italia un paese che brilla per meritocratica, lasciò tutto e andò negli States. Anche se poi il richiamo del paese natale fu irresistibile: «Mio marito non mi avrebbe mai raggiunta e volevo che mia figlia nascesse qui. Gli Usa danno moltissimo alla tua carriera e al tuo ego, ma umanamente ti tolgono molto. Un rimpianto di essermene andata però ce l’ho».

            Sex symbol?!? Lei si sentiva ingombrante

            Simbolo di erotismo made in Italy, rifiutò un film come L’avvocato del diavolo per le scene di nudo che conteneva: «Bisogna essere realisti: non credo l’avrei fatto bene. Non ho mai avuto un buon rapporto con il mio fisico, soprattutto con il mio seno. Mi hanno anche definita sex symbol ma io mi sono sempre sentita ingombrante. Se a vent’anni avessi avuto la consapevolezza del mio corpo che ho adesso, sarebbe stato tutto molto più facile. Oggi ringrazio Dio di essere come sono».

            Un brutto momento a Parigi che l’ha segnata

            Nel suo passato un momento drammatico, nel quale scampò ad uno stupro, che per anni l’ha tormentata: «Ho camminato per tanto tempo col gas paralizzante stretto in mano, perché in quei momenti non hai tempo di aprire la borsa. Successe di giorno, a Parigi, era un uomo in giacca e cravatta. Credo proprio ci sia stato l’intervento di un angelo perché cadde mentre mi stava strattonando, così riuscii a scappare. La polizia non fece niente. Ho trasmesso la paura anche a mia figlia, mi dice sempre che le metto l’ansia».

            Sfiorata dal Mee Too

            Parlando di questo argomenti, non si può non ricordare che l’attrice ha lavorato anche con Harvey Weinstein, durante tutta la promozione per Il postino. Anche se con lei non ebbe mai comportamenti sconvenienti, avendo la fila di ragazze che volevano stare con lui.

            Tre decadi di cinema, tre decadi d’amore… col sogno di risposarsi

            Trent’anni di cinema ma anche gli stessi anni di relazione con Giulio Violati, l’altro grande successo della sua vita, insieme alla loro figlia Giulia: «Ai 25 volevamo risposarci, era tutto pronto per una cerimonia in casa, mi ero fatta fare un tubino di pizzo da sogno. Poi c’è stato il lockdown. Questa volta non ce la toglierà nessuno».

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              Reali

              La notte segreta della regina Elisabetta tra la folla in festa: “Una delle più memorabili della mia vita”

              Londra, 8 maggio 1945. La guerra è finita. E tra le migliaia di cittadini che affollano le strade in un’esplosione di gioia, ci sono due ragazze in uniforme militare. Una ha diciannove anni, l’altra quattordici. Nessuno sa chi siano. Nessuno immagina che, tra i cori, le bandiere e i balli improvvisati, ci siano anche le figlie del re. Una di loro, pochi anni dopo, sarà la regina più longeva della storia britannica.

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                Ottant’anni sono passati dal VE Day, il giorno della vittoria in Europa, quando gli Alleati sconfissero la Germania nazista e la Seconda guerra mondiale giunse al termine sul fronte occidentale. Era il tramonto dell’orrore e l’alba della speranza. E per Elisabetta II, che all’epoca era ancora una giovane principessa, quella fu una notte speciale, unica, irripetibile.

                È stata lei stessa a raccontarla, molti anni dopo, in una registrazione per la BBC del 1985: «Eravamo terrorizzate all’idea di essere riconosciute», ricordò con un sorriso nostalgico. Invece di restare a palazzo, lei e la sorella Margaret, figlie di re Giorgio VI e della regina madre, decisero di vivere da vicino la gioia della gente. Camminarono tra i londinesi, protette solo da uniformi militari e da un cappello calato sugli occhi. Nessun servizio fotografico, nessuna telecamera: solo il ricordo indelebile di una notte vissuta tra le braccia del popolo.

                «Ci mischiammo a una folla che cantava, ballava, piangeva di felicità», raccontava Elisabetta. E poi una scena che oggi suona quasi irreale: «Acclamammo il Re e la Regina dal balcone di Buckingham Palace… e poi tornammo tra la folla. Camminammo per chilometri lungo Whitehall, tenendoci per mano con perfetti sconosciuti. Tutti travolti da un’unica emozione: la felicità di essere ancora vivi».

                Il momento fu così importante per la futura sovrana che, nel 2020 — in piena pandemia — volle ricordarlo durante il discorso al Paese per il 75° anniversario del VE Day. Un discorso pronunciato con voce ferma, mentre il Regno Unito affrontava un altro nemico, invisibile e subdolo, chiamato Covid-19. «Le prospettive sembravano cupe, l’esito incerto», disse quella sera. «Ma continuammo a credere nella nostra causa. Mai arrendersi, mai disperare: questo fu il messaggio del VE Day».

                Una notte diventata leggenda

                Quella “fuga reale” nella notte londinese è entrata nel mito. Nessuna immagine, nessuna prova tangibile, ma decine di testimoni che anni dopo raccontarono di aver ballato con due ufficiali “molto giovani”, ignari di avere accanto due principesse.

                E non sorprende che questa pagina così umana, così straordinariamente semplice, sia stata anche raccontata nella sesta stagione di “The Crown”, la serie Netflix sulla famiglia reale britannica. In quella puntata, le attrici Viola Prettejohn e Beau Gadsdon, nei panni di Elizabeth e Margaret, si muovono tra i lampioni e le musiche della Londra del ’45, tra champagne clandestino e passi incerti, restituendo al pubblico il senso autentico di quella notte: una principessa che, per una sera, voleva essere soltanto una ragazza.

                Un piccolo episodio, eppure capace di restituire una delle qualità più rare della defunta sovrana: la discrezione. Perché Elisabetta non ha mai fatto di quella storia un motivo di autocelebrazione. Non si è mai vantata, non ha mai preteso che diventasse parte del suo mito. L’ha raccontata come si racconta una nostalgia privata, un frammento di libertà incastonato in un destino già scritto.

                Il simbolo di un’epoca

                Oggi, mentre il Regno Unito celebra l’80° anniversario del VE Day, la memoria di quella notte prende un valore diverso. Non è solo l’aneddoto curioso di una regina “in incognito”, ma il simbolo di un tempo in cui la famiglia reale cercava — davvero — di essere vicina al popolo. Un gesto piccolo ma potente, che seppe unire monarchia e cittadinanza in un’unica emozione collettiva.

                E proprio in quell’intreccio, forse, va cercata una delle chiavi del lunghissimo regno di Elisabetta II. Quella notte di maggio, tra brindisi improvvisati e marce di soldati ormai liberi, non era ancora una sovrana. Ma già allora sapeva ascoltare il suo popolo.

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