Gossip
Un dialogo non ancora concluso con il padre chef!
Antonino Cannavacciuolo, un nome che brilla nel firmamento della gastronomia italiana, con 3 stelle Michelin all’attivo e una carriera televisiva di grande successo. Ma dietro i riflettori e il clamore, c’è un uomo che trova la sua vera pace nella cucina, il suo regno creativo. Ma lo chef è sempre alla ricerca dell’approvazione paterna.

Come Antonino diventa Cannavacciuolo nel mondo
Nato a Vico Equense nel 1975, ha coltivato la sua passione per la cucina fin da bambino, tra i profumi e i sapori della tradizione campana. Un amore che lo ha portato a intraprendere un percorso professionale di grande dedizione e sacrificio, lavorando in diverse cucine d’Italia e d’Europa.
Un rapporto speciale di Antonino con il padre esigente
«Onestamente: Tonino non l’avrei mai voluto chef. Si fa presto a dire figlio d’arte. Quell’arte la conosco bene, sono nato cuoco, ho insegnato anni all’istituto alberghiero di Vico Equense, l’ho provata sulla mia pelle la vita di chi lavora ai fornelli, di come devi rinunciare a tante cose, alla famiglia prima di tutto, e per lui sognavo qualcosa di più comodo. Un bel lavoro da fare dalle nove alle sei, e poi basta, molli tutto e te ne vai a casa tranquillo con le gambe sotto il tavolo. Dentista lo avrebbe voluto sua madre Anna. O qualunque altra cosa». Così dichiara il padre di Antonino, lo chef Andrea Cannavacciuolo.

Il papà di Antonino, lo chef Andrea Cannavacciuolo
Il papà di Cannavacciuolo non desiderava che il figlio seguisse le sue orme nella cucina. Sognava per lui un futuro diverso, forse più lontano dai sacrifici e dalle difficoltà del mondo della ristorazione. Nonostante le aspettative paterne, Antonino ha seguito la sua passione e ha intrapreso la carriera di chef, ottenendo un successo straordinario. Ha conquistato le ambite stelle Michelin, diventando uno dei nomi più celebri della cucina italiana.
Il padre, pur non esprimendolo apertamente, apprezza i successi del figlio e ne va fiero. Lo dimostra il fatto che si vanta di lui con gli altri, anche se mantiene un contegno più riservato nei suoi confronti diretti. Tra padre e figlio si è instaurato un gioco affettuoso. Antonino prepara dei piatti per il padre e gli chiede la sua opinione, cercando un’approvazione che, pur non arrivando esplicitamente, è comunque percepibile nel loro legame profondo.
“La cucina come rifugio e musa ispiratrice”
Parole di Antonino che rivelano il suo profondo legame con questo ambiente, non solo come luogo di lavoro, ma come dimensione intima e vitale. In questa dichiarazione emerge anche la tenacia e la disciplina dello chef, che trova la forza di dedicarsi al suo lavoro con entusiasmo anche nelle prime ore del mattino. La cucina diventa così una “palestra per l’anima”, dove corpo e mente si fondono in un’armonia di gesti e sapori.
«Succede anche a chi ha l’hobby della palestra: si sveglia prima per andarci, dice che una volta lì poi si sente meglio. Ecco, questo a me capita con la cucina: starci non è mai una fatica, io mi diverto. Ci apro la giornata e cerco di rimanerci: è il posto più bello dove io possa stare, dove sono davvero tranquillo. Se mi togli dalla mia cucina io ho finito di vivere».


Un a veduta di Villa Crespi e a destra lo chef
La cucina italiana e una critica all’immobilismo
Lo chef denuncia una certa tendenza in Italia a riposarsi sugli allori, cullandosi sulla presunta superiorità della propria tradizione culinaria. Questo atteggiamento, secondo Cannavacciuolo, rischia di frenare l’innovazione e la crescita del settore. Per Antonino, la cucina non ha confini geografici. Ogni cultura e ogni tradizione culinaria hanno qualcosa da offrire e da insegnare. La vera ricchezza sta nella contaminazione, nello scambio di idee e sapori che permette di creare piatti nuovi e sorprendenti. Lo chef sottolinea che la cucina deve essere prima di tutto una fonte di piacere. Non si tratta di seguire regole rigide o di difendere la purezza di ricette tramandate da generazioni. La sperimentazione e l’innovazione sono strumenti per rendere la cucina ancora più golosa e appagante.
«La “nostra” cucina non esiste, la cucina è una sola: quella buona. Di certo in Italia abbiamo dei grandissimi prodotti, i migliori, e ogni campanile ha la sua ricetta. Ma la cucina ha sapori e contaminazioni da tutto il mondo».
Villa Crespi e i format televisivi
Nel 1999, insieme alla moglie Cinzia Primatesta, ha preso le redini di Villa Crespi, una dimora storica in stile moresco situata sul lago d’Orta. Qui, la sua arte culinaria ha raggiunto vette altissime, conquistando ben tre stelle Michelin, un traguardo ambitissimo che lo consacra come uno dei più grandi chef d’Italia.
Sperimentare e creare
Ma Cannavacciuolo non si è fermato qui. La sua personalità vulcanica e il suo talento comunicativo lo hanno portato a conquistare anche il pubblico televisivo. Programmi come MasterChef Italia e Cucine da incubo lo hanno reso un volto familiare nelle case degli italiani, apprezzato per la sua professionalità, la sua severità ma anche per la sua umanità e il suo immenso amore per la cucina.
«Cucine da incubo è un programma a cui sono molto legato perché l’obiettivo è rendere felici le persone. Spesso, quando riparto, la gente piange: questo dà l’idea di quanto mi dedichi, anima e corpo al risollevare un ristorante in un momento di difficoltà. Ogni volta ci passo tre giorni e sono sempre tre giorni di fatica di lavoro».


Lo chef in cucina con i suoi collaboratori e a destra un ambiente di Villa Crespi
«Io non ho la bacchetta magica. Ma se dopo tutto non cambiano le abitudini, è chiaro che i tre giorni non bastano. Quello che so è che io torno sempre a casa con la coscienza a posto, oltre che distrutto, perché so che ho dato mentalmente e fisicamente tutto quello che avevo».
«Se mi togli dalla mia cucina io ho finito di vivere»
Per Antonino, la cucina è un laboratorio in continua evoluzione, dove l’ingegno e la curiosità dello chef si mescolano alla qualità degli ingredienti e alle tecniche acquisite nel corso degli anni. Questo approccio gli permette di dare vita a piatti nuovi e sorprendenti, che conquistano i palati dei suoi clienti e lo consacrano come uno dei più grandi chef d’Italia.
«In cucina, con gli chef che lavorano come me, cerchiamo sempre di inventare cose nuove, sperimenti e vedi se nasce qualcosa…per questo faccio di tutto per esserci, anche quando registro. Ogni volta che posso torno a Villa Crespi e questa è la mia fortuna, quello che ci ha portato alla terza stella. Il mio primo obiettivo era, è e sarà sempre la cucina».
Cannavacciuolo e il suo percorso verso l’eccellenza, talento, fatica e momenti di crisi
Cannavacciuolo racconta un percorso professionale intenso, costellato di successi ma anche di difficoltà e momenti di sconforto. Nato in una famiglia di chef, Cannavacciuolo si è immerso nel mondo della cucina fin da piccolo. Lavorare in cucine stellate sin da giovane gli ha permesso di acquisire esperienza e competenze preziose, ma anche di confrontarsi con alti standard e con la dura realtà del lavoro in un ambiente professionale di alto livello.
L’incontro con Gualtiero Marchesi è stato un punto di svolta fondamentale nella sua carriera. La consulenza dello chef stellato ha aperto gli occhi di Cannavacciuolo sulla vastità e complessità del mondo dell’alta cucina, facendogli comprendere la differenza tra un buon ristorante e un ristorante stellato. Questo confronto lo ha spinto a rimettersi in discussione e ad impegnarsi ancora di più per migliorare le sue capacità.
«Ho avuto la fortuna e la sfortuna al tempo stesso di avere un papà chef, così sono entrato da subito in cucine 5 stelle. Grazie a una consulenza di Marchesi nel ristorante in cui lavoravo ho capito cosa fosse il mondo stellato: fino a quel momento pensavo di essere bravo, invece di colpo sono passato dalle medie all’università».
«In quel periodo avevo perso in poco tempo 15 chili: ero arrivato a pesare 78 chili per la concentrazione che davo al lavoro. Quando tornavo a casa leggevo libri di cucina, ero dedito al cento per cento. Poi, verso la fine degli Anni 90, ci sono stati due anni di continui sbagli».
La sicurezza in cucina
Già all’età di 23 anni, al timone di Villa Crespi con un team di 15 persone, Cannavacciuolo dimostrava una sicurezza e una consapevolezza non comuni. Era consapevole delle sue capacità e aveva la stoffa per guidare una brigata e portare avanti un’impresa ambiziosa. Il mondo della televisione, pur con tutto il suo fascino, ha rappresentato per lui un territorio inesplorato, ricco di incognite. La sua inesperienza iniziale era naturale e ha generato dubbi e incertezze. Nonostante le paure iniziali, Cannavacciuolo ha dimostrato di possedere doti preziose che gli hanno permesso di superare le difficoltà e affermarsi anche come personaggio televisivo. La sua capacità di comunicare, la sua leadership e la sua naturalezza di fronte alle telecamere, lo hanno reso uno dei volti più amati del pubblico italiano.

Il valore del servizio
La sua esperienza gli ha insegnato l’importanza di un servizio eccellente, capace di valorizzare al meglio il lavoro in cucina e di creare un’esperienza indimenticabile per il cliente. Un principio che applica con rigore sia a Villa Crespi che nei suoi altri ristoranti.
Effetti della popolarità, tra crescita e coerenza
È innegabile che la fama raggiunta con la televisione abbia avuto un impatto significativo sulla vita di Antonino Cannavacciuolo. Lui stesso lo ammette: “È cambiata”. Ma questa trasformazione non ha snaturato la sua essenza né deviato il suo percorso. Cannavacciuolo aveva già le idee chiare sul suo futuro: la sua passione per la cucina e la sua visione imprenditoriale erano già ben definite. La televisione ha amplificato la sua voce e la sua immagine, ma non ha creato qualcosa dal nulla.


Due immagini del programma “Cucine da incubo”
Un rapporto speciale di Antonino con il padre esigente
Il papà di Cannavacciuolo non desiderava che il figlio seguisse le sue orme nella cucina. Sognava per lui un futuro diverso, forse più lontano dai sacrifici e dalle difficoltà del mondo della ristorazione. Nonostante le aspettative paterne, Antonino ha seguito la sua passione e ha intrapreso la carriera di chef, ottenendo un successo straordinario. Ha conquistato le ambite stelle Michelin, diventando uno dei nomi più celebri della cucina italiana.
Il padre, pur non esprimendolo apertamente, apprezza i successi del figlio e ne va fiero. Lo dimostra il fatto che si vanta di lui con gli altri, anche se mantiene un contegno più riservato nei suoi confronti diretti. Tra padre e figlio si è instaurato un gioco affettuoso. Antonino prepara dei piatti per il padre e gli chiede la sua opinione, cercando un’approvazione che, pur non arrivando esplicitamente, è comunque percepibile nel loro legame profondo.
In fondo, Antonino rimane fedele a se stesso e ai suoi valori. La popolarità gli ha dato nuove opportunità, ma non lo ha reso qualcun altro. La sua dedizione alla cucina, la sua attenzione alla qualità e il suo rispetto per il lavoro rimangono i capisaldi della sua filosofia.
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Speciale Temptation Island
Rosario Guglielmi rompe il silenzio dopo Temptation Island: «Non amo più Lucia». E a Verissimo spunta la verità sui tradimenti
Rosario Guglielmi, volto di Temptation Island 2025, si siede davanti a Silvia Toffanin e toglie ogni filtro. Dice addio al capitolo Lucia Ilardo, ammette che l’amore non c’è più e fa chiarezza sul presunto trono a Uomini e Donne, saltato dopo la rivelazione bomba dell’ex. Tra ferite, orgoglio e amarezza, resta un unico punto fermo: «Due anni intensi, ma il finale ha cambiato tutto».
A Temptation Island si entra in coppia e spesso si esce da perfetti estranei. Rosario Guglielmi lo ha capito bene e, ospite a Verissimo, lo ha messo in chiaro con una lucidità quasi chirurgica. Niente frasi di circostanza: «Non sono più innamorato di Lucia», ha detto, con quella calma che arriva quando le parole non tremano più.
Il modello, uno dei protagonisti più discussi dell’ultima edizione del docu-reality condotto da Filippo Bisciglia, ha ripercorso il suo percorso nel villaggio delle tentazioni. E, soprattutto, quel “mese dopo” che ha fatto più male del falò stesso. Perché sì, i reality finiscono, ma i fuori onda sentimentali sono quelli che graffiano davvero.
«Ho vissuto due anni bellissimi, tranne la fine», ha spiegato. Poi la parte che brucia: l’incontro con Andrea, e quello successivo con Salvatore. Due tasselli che hanno demolito l’impalcatura della fiducia. «Ho perso la magia, la fiducia. Non riesco a superarlo». Nel linguaggio delle relazioni, è la versione elegante di un punto messo a penna rossa.
E mentre i fan fantasticavano su un ritorno di fiamma o un nuovo inizio sul trono di Uomini e Donne, è arrivata la stoccata definitiva: Lucia, con nuove rivelazioni, lo ha “smascherato”, di fatto chiudendo in anticipo ogni porta televisiva. «Mi ha ferito ancora», racconta Rosario. Nessuna vendetta social, nessuna contro-verità. Solo la consapevolezza che una storia può finire anche senza applausi.
Oggi, dice, non cerca rivincite mediatiche, né promesse televisive. Solo ripartire. L’amore? «Non basta il tempo insieme, serve fiducia». Lui la sua l’ha persa lungo la strada, forse davanti a una telecamera, forse molto prima.
Se Temptation Island era un test, la sentenza l’ha già scritta lui: partita finita. E nessun falò, questa volta, a rallentare il passo verso la porta d’uscita.
Gossip
Lory Del Santo rilancia su Donald Trump: «È dimagrito, più bello di prima. Se lo rincontrassi accetterei la sua corte».
A 67 anni, Lory Del Santo riaccende il ricordo del corteggiamento di Donald Trump negli anni ’80 e scherza sul “treno perso” verso la Casa Bianca: «Era un bell’uomo. Oggi è persino meglio». E confessa: «Accetterei la sua corte, ai rapporti intercontinentali non si rinuncia». Stoccate, nostalgia e ironia per una storia di ascensori e sliding doors.
Quando Lory Del Santo racconta le sue sliding doors sentimentali, l’effetto è sempre lo stesso: metà leggenda rosa, metà autobiografia glamour. Ospite a Un Giorno da Pecora su Rai Radio1, la showgirl è tornata sull’episodio che ripete da anni con entusiasmo intatto: l’incontro con Donald Trump negli anni Ottanta, quando entrambi vivevano alla Trump Tower. Un ascensore, uno scambio di sguardi, un invito a casa e un rifiuto che oggi definisce un errore strategico di cuore e carriera. «Potevo essere la First Lady…» ha scherzato, ricordando i suoi 28 anni e un imprenditore già allora noto e «molto affascinante».
Trump ieri e oggi: “Ora è più bello”
Del Santo non si limita a ripercorrere il passato: aggiorna la visione sul presente. «Oggi che è dimagrito è più bello di prima, qualche tempo fa era più gozzone. Ora sembra molto magro ed è molto bello». L’osservazione non passa inosservata: una nota estetica che si mescola alla consueta dose di malizia, con il sorriso di chi sa come accendere i microfoni. «Se lo rincontrassi oggi accetterei la sua corte» aggiunge. E ancora: «Non si dice mai di no a un uomo di una certa età molto intelligente. Non si rinuncia a dei rapporti intercontinentali che possono aumentare le tue conoscenze». Traduzione: porte spalancate, almeno nell’immaginazione.
Quel corteggiamento mancato
Nessun rimpianto dichiarato, ma una narrazione che gioca sul filo tra leggerezza e “what if”. «Stiamo parlando di molti anni fa, quella volta che lo incontrai io avevo 28 anni e lui molti più di me. Forse una 40ina già allora. Era veramente un bell’uomo». All’epoca, però, il flirt non si trasformò in nulla. Del Santo scelse altro, e Trump proseguì la sua strada fino allo Studio Ovale. A sentirla oggi, il destino avrebbe potuto regalare un copione alternativo: “Lory alla Casa Bianca” non è mai esistita, ma nella tradizione tutta italiana delle confessioni impossibili, il sogno rimane in bacheca, insieme ai ricordi di quell’ascensore scintillante a Manhattan.
E chissà: in un mondo dove i ritorni di fiamma fanno notizia quanto le candidature, l’immaginazione continua a fare la sua parte. La politica, stavolta, resta sullo sfondo. La fantasia, no.
Reali
Andrea, niente più titolo e ruolo pubblico ma ancora nella linea di successione, potrebbe teoricamente diventare re
La pagina ufficiale di Buckingham Palace lo indica ancora tra gli eredi al trono: rimuoverlo richiederebbe un complesso procedimento legislativo che coinvolge anche i Paesi del Commonwealth. Il governo britannico, al momento, non ha intenzione di modificare la successione. Le probabilità di vedere Andrea sul trono? Praticamente nulle, ma il nodo politico resta.
Ci sono simboli che contano più dei titoli. E la posizione del principe – o meglio, dell’ex principe – Andrea nella linea di successione al trono britannico è uno di questi.
Il fratello minore di re Carlo, dopo anni segnati da vicende giudiziarie e dall’uscita definitiva dalla vita pubblica, ha recentemente rinunciato anche alla qualifica di Duca di York. Un passo formale comunicato da Buckingham Palace come esito di un confronto «con il sovrano e la famiglia». Eppure, nonostante la caduta verticale dell’immagine e del ruolo istituzionale, il suo nome resta scritto in un luogo simbolicamente pesantissimo: la lista degli eredi al trono.
Andrea occupa ancora l’ottavo posto nella successione, dietro William e i suoi tre figli, Harry e i piccoli Archie e Lilibet. Un paradosso solo apparente: l’ex duca non può essere escluso con una decisione privata o di corte. Serve una legge del Parlamento britannico, un Act of Parliament, che a sua volta necessita del consenso dei Paesi del Commonwealth in cui il monarca del Regno Unito è capo di Stato.
Un percorso lungo e politicamente delicato. E soprattutto, al momento, improbabile. La BBC riferisce che il governo guidato da Keir Starmer non ha intenzione di muoversi in quella direzione, nonostante le pressioni dei Liberal-Democratici e di parte dell’opinione pubblica. La scelta, insomma, è congelata.
È pur vero che l’eventualità di vedere Andrea con la corona è, nei fatti, remota. Quando nacque era secondo in linea, oggi ha sei persone davanti a sé e nessun ruolo nel presente della monarchia. Ma quel posto in elenco, in fondo, tiene in vita l’ultima traccia formale di un passato ormai archiviato.
E racconta, meglio di qualsiasi dichiarazione ufficiale, quanto la monarchia britannica resti un equilibrio fragile tra tradizione, diritto e percezione pubblica.
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