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Lifestyle

Sposare se stessi: è “sologamia” la nuova frontiera dell’amore?

Sempre più persone scelgono di sposarsi con se stesse. Ma cosa si nasconde dietro questa scelta apparentemente bizzarra? Scopriamolo insieme.

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    La sologamia, ovvero il matrimonio con se stessi, è un fenomeno in crescita. Una donna italiana, Elena Ketra, ha fatto di questa pratica una missione, promuovendo l’amore per se stessi e l’empowerment femminile. Sempre più persone in tutto il mondo stanno scegliendo di sposare se stesse. Un fenomeno, quello della sologamia, che sembra contraddire ogni convenzione sociale.

    Ma cosa si cela dietro questa scelta apparentemente bizzarra?

    Elena Ketra, scrittrice e attivista italiana, ha fatto di questa pratica una vera e propria missione. Sposata con se stessa nel 2022, ha raccontato al Corriere della Sera come questa esperienza abbia cambiato profondamente la sua vita. “Il significato di matrimonio sologamico o sologamo, deriva da “Sologamy” una parola inglese che indica l’atto di sposare se stessi“, spiega Elena. “La traduzione in italiano è sologamia, ma è ancora un neologismo e non appare in nessun vocabolario, anche se descrive un fenomeno sociale contemporaneo internazionale”.

    Una scelta di amore per se stessi
    Ma perché sposare se stessi? Secondo Elena Ketra, la sologamia è molto più di un semplice gesto simbolico. “È una filosofia intimista, la cura di sé, il guardarsi dentro. Un gesto di gentilezza verso noi stessi”, afferma. Sposarsi con se stessi significa riconoscere il proprio valore, amare incondizionatamente la persona che si è e impegnarsi a costruire una relazione sana e appagante con se stessi.

    “Fare pubblicamente le promesse che prevede il matrimonio sologamico diventa un’azione imprescindibile, mi ha cambiata”, racconta Elena. “La percezione che ho di me, non mi do più per scontata. È anche un modo per fare capire che nessun diritto, mai, va dato per scontato”.

    La sologamia non è un fenomeno isolato. Sempre più persone, soprattutto donne, stanno abbracciando questa filosofia. In Italia, negli ultimi anni, si sono registrati quasi duemila matrimoni sologamici. Elena Ketra, in collaborazione con Supermartek, ha creato una piattaforma online per facilitare l’organizzazione di cerimonie sologamiche e offrire supporto a coloro che desiderano intraprendere questo percorso.

    Nonostante la crescente popolarità, la sologamia continua a suscitare perplessità e critiche. In molti vedono questa pratica come un atto di egoismo o di rifiuto della società. Tuttavia, Elena Ketra sottolinea che la sologamia non è in contraddizione con le relazioni interpersonali. “La sologamia non è contro il matrimonio classico e non è per l’isolamento, né per l’individualismo. È l’atto massimo di indipendenza e emancipazione, non esclude altre relazioni, le arricchisce”, afferma l’attivista.

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      Curiosità

      “Baby influencer”: quando la visibilità dei figli diventa un rischio per la loro privacy

      Minori protagonisti sui social: genitori-influencer li espongono quotidianamente, spesso senza limiti né consapevolezza. Il fenomeno solleva questioni di tutela, consenso e diritto all’oblio che ancora in gran parte restano irrisolte.

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      Baby influencer

        Negli ultimi anni, il fenomeno delle famiglie “influencer” ha rapidamente evoluto il suo volto: accanto ai creator che mostrano se stessi in video e post, sono sempre più i minori protagonisti consapevoli o meno di una narrazione social fatta per like, follower e sponsor. Questi piccoli protagonisti, spesso ancora in età prescolare, sono al centro di contenuti pubblici, collaborazioni commerciali e sponsorizzazioni. Ma mentre il business cresce, emergono questioni complesse: chi tutela la privacy dei figli, consenzienti o meno? E quali rischi comporta questa esposizione costante?

        Una recente ricerca inglese su influencer materne ha analizzato 5.253 post Instagram, mostrando che nei contenuti oltre il 74% include l’immagine di un bambino e che il 46% dei post che li riguardano sono sponsorizzati. Un’altra indagine segnala come circa il 37,6% dei post includa dati personali del minorenne – nome, età, luoghi frequentati – con impatti potenzialmente duraturi. I rischi non sono solo teorici: la “digital footprint” dei minori inizia come un album virtuale di famiglia e può culminare in esposizioni indesiderate, sfruttamento economico o addirittura usi illecito delle immagini.

        Sharenting e baby influencer: confine labile tra famiglia e contenuto

        Il termine “sharenting” sintetizza la pratica con cui i genitori condividono in rete non solo foto o video dei figli, ma momenti intimi, quotidiani, spesso al servizio di un progetto digitale. Quando questa condivisione diventa sistematica, strutturata e orientata al profitto, ecco che si parla di “baby influencer”: bambini quasi sempre troppo piccoli per parlare di consenso informato, ma pienamente coinvolti in strategie di visibilità e branding.

        In Italia le normative faticano a tenere il passo: finora mancano regole robuste che definiscano limiti chiari a protezione dei minori nei contenuti digitali. Secondo un recente articolo di Agenda Digitale, è aperta la discussione su norme che prevedano la destinazione dei proventi derivanti dai canali con minori, limiti di età per collaborazioni e controlli sugli orari e i contenuti. In pratica, una legge di prossima introduzione mira a stabilire che se un genitore guadagna oltre una certa soglia grazie al figlio, il denaro vada su un conto vincolato intestato al minorenne.

        Quali sono i rischi reali per il bambino?

        Il minore protagonista online può trovarsi esposto a vari pericoli:

        • La mancanza di consenso: i bambini non hanno l’età per capire appieno le conseguenze della presenza online e della monetizzazione della propria immagine.
        • Sovraesposizione e vulnerabilità: post frequenti con il volto, nome e dati possono generare una identità digitale permanente e irreversibile.
        • Impatto psicologico: la trasformazione della vita quotidiana in contenuto porta a precarietà identitaria, possibile ansia da performance e difficoltà a separare il sé reale dal sé mediatico.
        • Sfruttamento economico: contenuti professionali, sponsor e guadagni che si appoggiano sul minore come “marchio” sollevano interrogativi etici e legali.

        Verso una tutela digitale e culturale

        Per affrontare queste sfide, esperti, associazioni e istituzioni suggeriscono una doppia via: culturale e normativa. È essenziale che i genitori riflettano sul valore della privacy infantile, considerino ogni post come atto responsabile e non solo come “condivisione divertente”. Allo stesso tempo, occorre fare sistema: regolamentazioni trasparenti, limiti all’uso commerciale dell’immagine del minorenne e obbligo di destinare i proventi a favore della sua crescita.

        In Italia alcuni progetti di legge sono in fase di esame e mirano a colmare il vuoto normativo in materia di baby influencer, introducendo controlli analoghi a quelli collaudati per le modelle e gli attori minorenni.

        L’immagine di un bambino non è mai solo un post: è una traccia digitale, un diritto e una responsabilità. Quando una famiglia decide di trasformare la quotidianità di un figlio in contenuto virale, è chiamata non solo a riflettere sul presente, ma anche sul futuro del minore. E la società, da parte sua, deve garantire che quella visibilità non diventi una forma di esposizione irreversibile.

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          Cucina

          L’orzo perlato, il cereale dimenticato che fa bene a cuore e intestino

          Un tempo simbolo di alimentazione contadina, oggi l’orzo perlato è riscoperto come super-cereale “buono e sano”. Ecco perché inserirlo più spesso nella dieta – anche solo in piccole quantità – è una scelta vincente per il benessere quotidiano.

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          L’orzo perlato

            Negli ultimi anni, complice la ricerca di alimenti genuini e ricchi di proprietà nutrizionali, l’orzo perlato sta vivendo una piccola rinascita. Lontano dai riflettori di quinoa e farro, questo cereale antichissimo – coltivato da oltre 10.000 anni – si rivela un autentico concentrato di salute. Bastano una o due manciate nella minestra o in un’insalata per ottenere effetti benefici su intestino, metabolismo e sistema cardiovascolare.

            Ma che cosa lo rende così prezioso?
            L’orzo (Hordeum vulgare) è un cereale integrale dalle spiccate proprietà digestive e depurative. Contiene una buona quantità di beta-glucani, fibre solubili che formano una sorta di gel nell’intestino e rallentano l’assorbimento di zuccheri e grassi. Secondo l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (EFSA), un consumo quotidiano di almeno 3 grammi di beta-glucani può contribuire a ridurre il colesterolo LDL, il cosiddetto “colesterolo cattivo”, con effetti positivi sulla salute del cuore.

            Cos’è l’orzo perlato e come si differenzia

            L’orzo esiste in diverse forme. Quello perlato è sottoposto a una parziale raffinazione: il chicco viene “lucidato”, perdendo parte della crusca ma guadagnando in velocità di cottura. È quindi più pratico in cucina, pur mantenendo un buon contenuto di fibre e sali minerali come magnesio, potassio, ferro e zinco.
            Chi desidera il massimo valore nutrizionale può optare per l’orzo mondato, meno raffinato e più ricco di fibre, ma con tempi di cottura più lunghi.

            Benefici per la salute

            Le ricerche scientifiche confermano che l’orzo può avere un effetto protettivo contro alcune malattie croniche.

            • Cuore e colesterolo: come ricordato da Harvard T.H. Chan School of Public Health, le fibre dell’orzo aiutano a mantenere pulite le arterie e a ridurre il rischio di patologie cardiovascolari.
            • Glicemia sotto controllo: il basso indice glicemico lo rende indicato per chi soffre di diabete o deve tenere a bada gli zuccheri nel sangue.
            • Benessere intestinale: l’orzo favorisce la crescita di batteri “buoni” come i Bifidobatteri, migliorando la salute del microbiota e riducendo il gonfiore addominale.
            • Sazietà e controllo del peso: grazie alla sua densità nutrizionale e alla capacità di rallentare la digestione, aumenta il senso di pienezza e aiuta a limitare gli eccessi a tavola.

            Secondo uno studio pubblicato sul Journal of Nutrition and Metabolism, il consumo regolare di orzo è associato a una riduzione del rischio di sindrome metabolica e obesità.

            Un alleato per tutte le stagioni

            Oltre ai benefici nutrizionali, l’orzo perlato conquista per la versatilità in cucina. Si cuoce in 25-30 minuti e si presta a mille ricette:

            • zuppe e minestre calde in inverno,
            • insalate fredde con verdure e legumi in estate,
            • alternative sane al riso nei risotti o nelle polpette vegetali.

            Un consiglio utile: non sciacquarlo troppo dopo la cottura, per non disperdere le mucillagini che favoriscono l’effetto lenitivo sull’apparato digerente.

            Perché basta una manciata

            Integrare l’orzo nella dieta non richiede stravolgimenti: una porzione di circa 60-70 grammi al giorno, anche solo aggiunta a minestre, zuppe o vellutate, fornisce fibre preziose e micronutrienti essenziali. È anche una buona alternativa a pasta e riso per variare l’alimentazione e migliorare l’equilibrio intestinale.

            L’orzo perlato è un alimento semplice, economico e sostenibile, ma dalle proprietà sorprendenti. In un’epoca in cui l’alimentazione sana sembra sinonimo di ingredienti esotici, questo antico cereale ci ricorda che il vero benessere può nascere da un gesto essenziale: aggiungere una manciata d’orzo nella nostra zuppa quotidiana.

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              Lifestyle

              Argento come nuovo: i segreti della pulizia naturale che fanno brillare gioielli e posate

              L’ossidazione è la principale nemica dell’argento, ma eliminarla è più semplice di quanto sembri. Bastano pochi ingredienti comuni e qualche accortezza per restituire brillantezza a collane, anelli o posate, prolungandone la bellezza nel tempo.

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              Argento come nuovo

                Bracciali anneriti, posate che hanno perso la lucentezza, cornici opache: chi possiede oggetti in argento conosce bene il problema dell’ossidazione, quel processo naturale che scurisce il metallo rendendolo spento e poco gradevole alla vista. Ma non serve ricorrere a costosi detergenti chimici o portare tutto dal gioielliere: spesso, la soluzione è già in cucina.

                L’argento, infatti, reagisce facilmente all’aria e all’umidità, formando sulla superficie una sottile patina di solfuro d’argento. È un fenomeno inevitabile ma reversibile. Per rimuovere questa ossidazione, basta sfruttare un principio chimico elementare: creare una reazione tra l’argento e un metallo più reattivo, come l’alluminio, in presenza di un agente alcalino come il bicarbonato.

                Il metodo naturale più efficace

                Per mettere in pratica il cosiddetto “trucco della nonna”, servono solo pochi materiali:

                • una bacinella di vetro o plastica,
                • acqua calda,
                • 3 cucchiai di bicarbonato di sodio,
                • 2 cucchiai di sale grosso,
                • un foglio di alluminio da cucina,
                • un panno morbido o una flanella per asciugare.

                Si inizia ricoprendo il fondo del contenitore con l’alluminio, con il lato lucido rivolto verso l’alto. Si versa poi l’acqua calda (non bollente, per non danneggiare eventuali pietre o decorazioni), aggiungendo sale e bicarbonato fino a completa dissoluzione. Gli oggetti in argento vanno immersi nella soluzione in modo che toccano il foglio di alluminio: questo è fondamentale per innescare la reazione chimica che “trasferisce” lo zolfo dall’argento all’alluminio, eliminando così la patina scura.

                Dopo circa 10-15 minuti, compariranno piccole bollicine: è il segno che la reazione sta funzionando. Una volta terminato il processo, basta risciacquare accuratamente sotto acqua corrente e asciugare con un panno morbido. In pochi minuti, l’argento tornerà a brillare.

                Perché funziona

                Il principio è lo stesso di una piccola reazione elettrochimica. Il bicarbonato e il sale creano un ambiente alcalino che facilita lo scambio ionico tra l’alluminio e l’argento: lo zolfo responsabile dell’annerimento si lega all’alluminio, restituendo al metallo prezioso la sua lucentezza originaria. È un metodo sicuro, economico e non abrasivo, a differenza di molte paste lucidanti che possono graffiare le superfici o alterare incisioni delicate.

                Manutenzione e prevenzione

                Una volta pulito, l’argento va protetto per evitare che si ossidi di nuovo troppo in fretta. Gli esperti consigliano di conservarlo in luoghi asciutti, avvolto in panni di cotone o in sacchetti antipolvere, lontano da fonti di calore e luce diretta. Anche l’uso di sacchetti di gel di silice, come quelli che si trovano nelle scatole delle scarpe, aiuta a ridurre l’umidità.

                È bene inoltre evitare il contatto con profumi, creme e detersivi, che possono accelerare l’ossidazione. Dopo ogni utilizzo, una veloce passata con un panno asciutto è sufficiente per mantenere il metallo pulito e lucido.

                Un gesto semplice che conserva la bellezza

                Pulire l’argento in modo naturale non è solo una questione estetica: è anche un modo per prolungare la vita degli oggetti e ridurre l’impatto ambientale, evitando l’uso di sostanze chimiche aggressive. Che si tratti di un servizio di posate tramandato in famiglia o di un anello dal valore affettivo, dedicare qualche minuto alla sua cura significa conservarne la storia e lo splendore.

                Con il metodo dell’alluminio e del bicarbonato, l’argento torna a risplendere come appena acquistato — e tutto grazie a pochi ingredienti che si trovano già in casa.

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