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Animali

Finalmente arriva una legge che tutela gli animali domestici

Il Senato approva definitivamente il ddl che inasprisce le pene per i reati contro gli animali. Un cambiamento epocale che li riconosce come esseri senzienti e rafforza la loro tutela.

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    Con il voto favorevole del Senato, l’Italia compie un passo decisivo nella difesa dei diritti degli animali. Il disegno di legge, già approvato dalla Camera, diventa ora definitivo e introduce pene più severe per chi li maltratta, sfrutta o abbandona. Si tratta di una riforma storica, che segna un netto cambio di paradigma. Fino ad oggi, la legislazione proteggeva gli animali in funzione del sentimento umano, ma con questa legge il loro benessere viene finalmente riconosciuto come un valore autonomo. Il cuore del provvedimento è l’inasprimento delle pene per i crimini contro gli animali. La reclusione per maltrattamenti passa fino a 2 anni, l’uccisione può costare fino a 4 anni di carcere e multe fino a 60.000 euro. Mentre i combattimenti tra animali saranno puniti con pene dai 2 ai 4 anni. Anche chi organizza spettacoli con sevizie vedrà le sanzioni raddoppiate.

    Se maltratti gli animali ti confiscano la casa come ai mafiosi

    La nuova normativa, però, non si ferma alle punizioni: introduce anche tutele cruciali per gli animali coinvolti in procedimenti penali. Viene vietato il loro abbattimento, garantendo la custodia fino al termine del processo. Inoltre, le associazioni animaliste potranno intervenire per chiedere una revisione dei sequestri, assicurandosi che gli animali vivano in condizioni dignitose. Grande attenzione è stata dedicata alla prevenzione. In caso di reati abituali, saranno applicate misure simili a quelle previste per la criminalità organizzata, con confische e sorveglianza speciale.

    Basta catene e traffico illecito

    La legge introduce anche nuovi divieti, come quello di tenere animali legati con catene, salvo casi certificati per motivi di salute o sicurezza. Il traffico illecito di animali sarà monitorato con maggiore tracciabilità, e viene vietato l’uso commerciale di pellicce di gatti domestici. Infine, per rafforzare il controllo e l’applicazione delle nuove norme, verrà creata una sezione dedicata nella banca dati delle forze dell’ordine, con un coordinamento più efficace tra le polizie per combattere questi reati.

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      La doppia vita di Remy, il gatto randagio diventato mascotte di Harvard tra aule, biblioteche e social

      Con il profilo “Remy the Humanities Cat” e una presenza costante nei corridoi del campus, il soriano arancione unisce studenti e professori. La sua vita tra famiglia e comunità accademica è già leggenda.

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        Nessuno sa dove comparirà. A volte sbuca tra gli scaffali di una biblioteca, altre entra in un’aula nel bel mezzo di una lezione, oppure si accomoda in prima fila nelle foto di matrimonio scattate dentro il campus. È Remy, undici anni, soriano arancione che da oltre un decennio vive in simbiosi con Harvard, al punto da diventare la mascotte non ufficiale dell’università.

        La sua popolarità è tale da meritare un profilo social, Remy the Humanities Cat, curato dal personale del Barker Center, cuore del dipartimento di Storia e Letteratura. L’amministratrice Jessica Shires lo racconta così: «Scopro continuamente che frequenta anche la facoltà di Giurisprudenza, i laboratori Stem e persino il museo. Negli anni è diventato un gatto interdisciplinare».

        La sua “doppia vita” è ormai un rito accademico. Nato come randagio, trovato nel 2014 dietro un cassonetto a Medfield con la madre e i fratelli, fu adottato da Sarah Watton insieme al fratello Gus. Ma già da cucciolo mostrava un carattere indomabile: fuggiva di casa, ignorava guinzagli e barriere, esplorando senza sosta anche nel gelo invernale.

        Le sue avventure sono leggendarie. Un uomo lo raccolse per strada e lo regalò alla fidanzata: tornò a casa grazie al microchip. Un’altra volta sparì per un mese, “adottato” come mascotte da un’azienda locale. In entrambi i casi, la sua vocazione comunitaria ebbe la meglio. «È il nostro gatto, ma appartiene anche a tutta Harvard. Non era una scelta nostra, era la sua», racconta Sarah con ironia.

        Neppure la pandemia lo ha fermato. Con gli edifici chiusi, Remy soffriva l’assenza di quella comunità che aveva trasformato nel suo regno. Oggi è di nuovo protagonista: entra nei dormitori, sbuca tra i corridoi, si lascia trasportare nelle borse degli studenti o nei cestini delle biciclette.

        I figli di Sarah si divertono a immaginare quale facoltà sceglierebbe se fosse studente: «Antropologia, perché è curioso degli esseri umani», dice Jack. «No, teatro, perché è nato per la scena», ribatte Will. In realtà non ha bisogno di lauree: il suo carisma è il suo titolo, e la sua doppia vita – metà domestico, metà accademico – è già leggenda nei corridoi di Harvard.

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          Olympus, il levriero dimenticato per 1459 giorni: dopo quasi quattro anni in rifugio ha trovato finalmente una famiglia

          Arrivato in un rifugio australiano con un carattere difficile da interpretare, Olympus ha atteso quasi quattro anni prima che qualcuno lo capisse davvero. Un percorso di riabilitazione lo ha aiutato a gestire le emozioni e a mostrarsi per ciò che era: un cane intelligente e dolce, solo bisognoso di tempo e pazienza. Oggi vive in prova con i suoi nuovi umani e ha già conquistato un divano, una cuccia e soprattutto un futuro.

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            C’è un’immagine che pesa come un macigno: un cane che giorno dopo giorno osserva il mondo da dietro le sbarre, sperando che qualcuno si fermi proprio davanti al suo box. Olympus, levriero dallo sguardo intenso e malinconico, ha vissuto così per 1459 giorni. Quasi quattro anni di attesa infinita al Greyhound Rescue, in Australia. Poi, quando sembrava aver perso la speranza, è arrivato quel miracolo che ogni cane di rifugio sogna: una casa.

            La sua storia comincia con un fraintendimento. Olympus era un cane dolce, ma non facile da interpretare. Lo staff lo descrive come “fantastico”, ma spesso incomprensibile a chi non conosceva i suoi bisogni. Nei momenti di forte eccitazione aveva una singolare abitudine: tenere in bocca un pezzo di stoffa, una coperta o uno straccio, che a volte strappava per liberare la tensione. Se non ne aveva uno a disposizione, rischiava di rivolgere la sua energia ai vestiti delle persone, saltando e afferrandoli. Non aggressività, ma incapacità di regolare le emozioni.

            Così, mentre altri cani venivano adottati in poche settimane, lui restava indietro. Più passava il tempo, più la sua attesa diventava simbolo della solitudine dei rifugi. Lo staff, però, non si è arreso e ha deciso di investire in un percorso speciale di riabilitazione. Giochi, esercizi mirati e tanta pazienza hanno permesso al levriero di imparare a gestire l’impulso. “È incredibilmente intelligente e motivato dal cibo”, raccontano i volontari. “Ha raggiunto tutti gli obiettivi che gli abbiamo dato”. E lentamente Olympus è cambiato.

            Poi è arrivato l’incontro decisivo. Una persona ha chiesto di conoscere proprio lui, il cane che più a lungo aveva aspettato. Dopo alcuni incontri e un periodo di conoscenza, ha deciso di offrirgli quello che Olympus aveva sognato per anni: una famiglia. Oggi il levriero vive la fase di prova con i suoi nuovi adottanti e le notizie sono già incoraggianti. Si è rannicchiato sul divano accanto ai suoi umani, ha osservato l’altro cane di casa imitando i suoi comportamenti e sembra più calmo e sereno.

            Quando ha lasciato il rifugio, volontari e operatori hanno organizzato una piccola festa di addio. In un video condiviso sui social si vede Olympus che trotterella verso l’uscita mentre tutti lo salutano commossi. Dopo 1459 giorni, non guarda più il mondo da dietro le sbarre, ma da un divano accanto alla sua nuova famiglia, con il cuore finalmente leggero.

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              Parlare con i cani fa bene (è meglio che farlo con certe persone): l’ossitocina dell’amore che unisce due specie

              Le ricerche mostrano che la voce del padrone attiva il centro di ricompensa del cervello canino più di quella di uno sconosciuto. Per l’uomo è un rifugio emotivo che aumenta empatia e sicurezza: non una stranezza, ma il frutto di millenni di convivenza.

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                C’è chi lo fa sottovoce, chi con tono infantile, chi come se stesse parlando a un vecchio amico. Parlare con il proprio cane è un gesto che molti compiono senza pensarci troppo, ma che la scienza oggi considera una vera e propria pratica di benessere. Non è soltanto un modo per riempire i silenzi domestici: è una forma di comunicazione capace di produrre effetti positivi sia sull’essere umano che sull’animale.

                Secondo la psicologia, il dialogo con il cane è legato all’intelligenza emotiva e all’empatia. Non a caso, studi scientifici dimostrano che uno scambio di parole o anche solo di sguardi stimola la produzione di ossitocina, l’ormone associato al benessere e all’amore. Un circolo virtuoso che rinsalda un legame millenario, nato dalla coevoluzione tra due specie che hanno imparato a condividere lo stesso destino.

                Gli esperti sottolineano come questo rituale quotidiano contribuisca a ridurre lo stress, a rafforzare sentimenti di fiducia e sicurezza e perfino a facilitare l’elaborazione di emozioni difficili. Una ricerca pubblicata su Anthrozoös rivela che molte persone si sentono più libere di confidare al proprio cane pensieri che non condividerebbero con amici o partner. L’animale ascolta senza interrompere, senza giudicare, offrendo un rifugio emotivo raro in una società spesso rumorosa e distratta.

                I benefici non si fermano al padrone. Una ricerca apparsa su NeuroImage ha dimostrato che il centro di ricompensa del cervello canino si attiva in modo più intenso quando il cane ascolta la voce del suo proprietario rispetto a quella di uno sconosciuto. Non è quindi solo l’essere umano a trarre vantaggio da questa interazione: anche l’animale percepisce la voce come un segnale affettivo unico, un messaggio che accende le aree cerebrali legate alla gratificazione.

                Guardarsi negli occhi, parlarsi, condividere silenzi. Gesti semplici che racchiudono un significato profondo, alimentando un ciclo positivo di fiducia reciproca. Non si tratta di una stranezza da padroni ossessivi, ma di un meccanismo naturale, sedimentato da secoli di convivenza. Perché parlare con il cane non è follia: è forse la forma più antica e autentica di conversazione che ci sia.

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