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Cucina

Dritto al cuore dei golosi: le ciambelle fritte!

Continuano a conquistare tutti, da semplici anelli di pasta fritti a opere d’arte culinarie, le ciambelle fritte hanno attraversato epoche e culture, diventando un’icona della pasticceria tradizionale.

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    La magia delle ciambelle è la frittura in olio caldo
    Un classico della pasticceria adatto da colazione a cena. Sebbene la ricetta originale varia leggermente da regione a regione, la preparazione è sorprendentemente semplice e richiede solo un pizzico d manualità e pochi ingredienti di base.
    La generosa glassatura finale, poi, le rende irresistibilmente deliziose. Dopo la cottura, le ciambelle vengono immerse in uno sciroppo caldo a base di zucchero e acqua, che crea una delicata crosta dolce e lucida intorno alla loro superficie. Questa glassatura non solo aggiunge dolcezza, ma conferisce anche una lucentezza invitante che invoglia a dare un morso.

    Ciambelle fritte glassate
    Ingredienti
    500 g di patate
    500 g di farina 00
    100 g di zucchero semolato
    25 g di lievito di birra fresco
    Un generoso pizzico di sale
    La scorza grattugiata di 1 arancia
    Olio di semi di arachidi per friggere q.b.
    Per la glassa lucida
    200 g di zucchero semolato
    100 ml di acqua

    Procedimento
    Lessa le patate in acqua salata fino a quando sono ben cotte. Scolale e schiacciale con uno schiacciapatate per ottenere un purè. In una ciotola grande, mescola il purè di patate con la farina, lo zucchero e il lievito di birra fresco sciolto in un po’ d’acqua tiepida e il sale.

    Lavora bene l’impasto finché diventa omogeneo. Copri l’impasto e lascialo lievitare in un luogo caldo per circa 2 ore, o fino a quando raddoppia di volume.

    Dopo la lievitazione, preleva le porzioni di impasto e forma palline da 60 grammi.  Schiaccia leggermente ogni pallina per ottenere una forma piatta, poi con un pizzico di abilità fai un buco al centro, aiutandoti con le dita.

    Scalda abbondante olio di semi in una casseruola. Quando l’olio è caldo, ma non troppo, circa 170 C, friggi le graffe fino a quando sono dorate su entrambi i lati. Assicurati sempre che l’olio non sia troppo caldo, altrimenti le graffe potrebbero cuocere troppo esternamente e rimanere crude all’interno.

    Scola le graffe su carta assorbente per eliminare l’olio in eccesso.  Nel frattempo, metti in un pentolino antiaderente lo zucchero e l’acqua, porta il composto a ebollizione, poi riduci il fuoco e lascia cuocere a fuoco basso per 5-7 minuti, affinché lo zucchero sia sciolto e lo sciroppo abbia raggiunto una consistenza quasi densa.

    Immergi ciascuna ciambella nello sciroppo caldo, alza la ciambella e lascia che l’eccesso goccioli via. Posiziona le ciambelle su una griglia ad asciugare e formare uno strato lucido sulla loro superficie. Una volta che lo sciroppo si è asciugato leggermente, le ciambelle sono pronte.

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      Cucina

      Surimi, il “granchio finto” che divide: cosa contiene davvero e come usarlo senza rischi

      Spesso chiamato “bastoncino di granchio”, in realtà del crostaceo conserva solo il sapore artificiale. Ecco come nasce, cosa contiene e come sceglierlo con consapevolezza.

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      Surimi

        Dal Giappone alle nostre tavole

        Lo chiamano “granchio finto” e, a ben vedere, l’appellativo è azzeccato. Il surimi – parola giapponese che significa letteralmente carne macinata – è una pasta di pesce tritato e lavorato, oggi diffusa in tutto il mondo nella forma dei noti bastoncini bianchi e arancioni.

        Nato in Giappone nel XIV secolo, il surimi era originariamente un modo per conservare il pesce e riutilizzarne gli scarti. I cuochi giapponesi lo trasformavano in una base versatile per altri piatti, come il kamaboko, il chikuwa o il più famoso narutomaki, il disco bianco con la spirale rosa che compare spesso nelle ciotole di ramen.

        Oggi, però, il surimi che troviamo nei supermercati europei e americani è molto diverso da quello tradizionale. Con la sua produzione industriale di massa, è diventato un alimento comodo e pronto all’uso, ma anche uno dei simboli dei cibi ultraprocessati.

        Cosa contiene davvero il “granchio finto”

        Dietro al suo aspetto invitante e al sapore marino, il surimi nasconde una ricetta piuttosto complessa.
        La base resta il pesce bianco tritato – perlopiù merluzzo dell’Alaska, ma talvolta anche sgombri, carpe o pesci tropicali – che rappresenta solo il 30-40% del totale. Il resto è un mix di additivi, amidi e aromi.

        Gli ingredienti principali del surimi industriale includono:

        • Amidi e fecole, che servono a dare consistenza alla pasta;
        • Aromi artificiali, per imitare il gusto del granchio;
        • Proteine dell’uovo, che migliorano elasticità e tenuta;
        • Sale e zuccheri, per esaltare il sapore;
        • Coloranti naturali o sintetici, responsabili delle tipiche striature arancioni.

        In pratica, il surimi non contiene vera polpa di granchio: il suo gusto deriva da aromi e condimenti che ne simulano l’aroma. Per questo in molti Paesi, tra cui l’Italia, è vietato venderlo come “granchio”, pena l’inganno per il consumatore.

        Dalla tradizione all’industria alimentare

        La forma moderna del surimi è frutto della ricerca giapponese del Novecento. Il tecnologo alimentare Nishitani Yōsuke mise a punto una versione stabile e conservabile, aprendo la strada alla sua diffusione in Asia, negli Stati Uniti e infine in Europa.

        Il processo di produzione prevede tre fasi:

        1. Lavaggio e triturazione del pesce, per ottenere una pasta bianca priva di odori forti;
        2. Impasto con amidi e additivi, per renderlo compatto e modellabile;
        3. Cottura e confezionamento, che danno vita ai bastoncini pronti all’uso.

        Questo tipo di lavorazione prolunga la conservazione ma riduce notevolmente il valore nutrizionale del prodotto originale.

        È salutare? Solo se consumato con moderazione

        Dal punto di vista nutrizionale, il surimi fornisce proteine di discreta qualità, ma anche molti additivi e sodio. Secondo il Ministero della Salute giapponese, un consumo occasionale non rappresenta rischi particolari, ma abusarne può contribuire a un eccesso di sale e zuccheri nella dieta.

        I dietisti consigliano di non considerarlo un sostituto del pesce fresco: il surimi ha meno omega-3, meno minerali e più conservanti. Per questo, è meglio riservarlo a piatti occasionali, come insalate di mare, sushi o poke, senza farne un alimento abituale.

        Come sceglierlo e conservarlo

        Se decidete di acquistarlo, è importante leggere con attenzione l’etichetta. I prodotti migliori riportano:

        • una percentuale di pesce superiore al 40%,
        • la specifica della specie utilizzata,
        • assenza di glutammato e coloranti artificiali.

        Evitate, invece, i bastoncini troppo colorati o con una lunga lista di additivi.

        Per conservarlo, attenetevi alle indicazioni:

        • fresco → in frigorifero e consumato entro 48 ore dall’apertura;
        • surgelato → in freezer, da scongelare lentamente in frigo.

        Un ingrediente da riscoprire con criterio

        Il surimi resta un prodotto interessante per la sua storia gastronomica e per la versatilità in cucina, ma non va confuso con il pesce vero e proprio.

        Usato con misura, può aggiungere un tocco di sapore e colore a piatti freddi o orientali; consumato regolarmente, invece, può trasformarsi in una fonte eccessiva di sale e additivi.

        Come spesso accade nell’alimentazione moderna, la chiave sta nell’equilibrio: conoscere ciò che mangiamo ci aiuta a scegliere con consapevolezza. E in questo caso, il “granchio finto” può restare un piccolo sfizio, ma non un’abitudine quotidiana.

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          Mousse al cioccolato con due ingredienti: il dolce cremoso che conquista tutti

          Solo panna fresca e cioccolato fondente di buona qualità: la mousse più facile del mondo è pronta in pochi passaggi. Ideale per concludere una cena in dolcezza o concedersi una coccola pomeridiana senza sensi di colpa.

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          Mousse al cioccolato

            Cremosa, leggera e dal gusto intenso, la mousse al cioccolato con due ingredienti è una ricetta che unisce semplicità e piacere. Perfetta per chi non ha tempo da dedicare a dolci elaborati o vuole evitare le uova crude, è anche una soluzione ideale per ospiti improvvisi o per accontentare i più piccoli con qualcosa di genuino e goloso.

            A differenza della classica mousse francese, che prevede l’uso di uova e talvolta di burro, questa versione si affida alla panna montata per ottenere la consistenza spumosa e leggera, e al cioccolato fondente fuso per conferire corpo e profondità di gusto. Il risultato? Una crema soffice ma compatta, che si scioglie in bocca.

            Il segreto sta nella qualità del cioccolato

            Per una mousse perfetta bastano 200 grammi di cioccolato fondente (almeno al 60-70%) e 300 millilitri di panna fresca da montare. La qualità degli ingredienti è fondamentale: più buono è il cioccolato, più raffinato sarà il sapore del dessert.

            Si inizia sciogliendo il cioccolato a bagnomaria o nel microonde, mescolando fino a ottenere una consistenza liscia e lucida. A questo punto, si aggiunge una parte della panna liquida – circa la metà – e si mescola con una frusta: si formerà una ganache densa e cremosa, base di molte preparazioni di pasticceria.

            Nel frattempo, la panna restante va montata fino a ottenere una consistenza soffice ma non troppo ferma: deve restare leggermente morbida per amalgamarsi bene al cioccolato. Quando la ganache si è intiepidita, si unisce gradualmente alla panna montata, mescolando dal basso verso l’alto per non smontare il composto.

            Riposo e decorazione: il tocco finale

            La mousse così ottenuta può essere versata in bicchieri, coppette o barattolini monoporzione. Dopo almeno un’ora in frigorifero, avrà raggiunto la giusta compattezza, pronta per essere servita.
            Per un effetto ancora più scenografico, si può decorare con ciuffi di panna montata, riccioli di cioccolato, granella di nocciole o una spolverata di cacao amaro.

            Gli esperti consigliano di conservarla in frigo per un massimo di 48 ore: oltre questo tempo, la mousse tende a perdere la sua sofficità.

            Un suggerimento per i più golosi? Aggiungere alla ganache un cucchiaino di caffè espresso o un pizzico di sale marino: esalteranno il sapore del cioccolato e daranno una nota raffinata.

            Una base versatile per mille varianti

            La mousse al cioccolato senza uova può essere servita da sola o usata come base per altri dolci: farcire torte, accompagnare biscotti o creare dessert a strati con panna e frutta fresca.

            Chi ama le versioni più leggere può optare per la panna vegetale, mentre chi preferisce un gusto più intenso può sostituire parte del cioccolato fondente con quello al latte o bianco, adattando così la ricetta ai propri gusti.

            Con due ingredienti e cinque minuti di lavoro, si ottiene un dessert dal sapore autentico e irresistibile. La mousse al cioccolato senza uova è la dimostrazione che, in cucina, la semplicità è spesso la chiave della perfezione.

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              Anone, il frutto esotico che conquista l’Europa: dolce come una crema, ricco di benefici

              Dall’Andalusia alle tavole italiane, l’anone incuriosisce per il suo gusto delicato, a metà tra banana e pera, e per le sue proprietà salutari. Ricco di vitamina C e potassio, è un alleato naturale per la digestione e la pressione.

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              Anone, il frutto esotico

                Il frutto esotico che arriva sulle nostre tavole

                Ha l’aspetto di una pigna verde e la consistenza di una crema dolce: l’anone – o Annona cherimola – è un frutto tropicale che sta lentamente conquistando il pubblico europeo. Originario delle zone montuose del Sud America, tra Perù ed Ecuador, oggi cresce con successo anche in alcune regioni del Mediterraneo, soprattutto nel sud della Spagna, dove il clima mite ne favorisce la maturazione.

                In Italia si comincia a trovarlo sempre più spesso nei supermercati e nei mercati specializzati, grazie alla sua crescente popolarità come “superfrutto” naturale. La stagione ideale va da ottobre a marzo: quando la buccia inizia a scurirsi leggermente e il frutto cede alla pressione delle dita, significa che è pronto da gustare.

                Dolce, cremoso e versatile

                Una volta aperto, l’anone rivela una polpa bianca, morbida e profumata, che si mangia al cucchiaio. Il suo sapore è sorprendente: ricorda una miscela di banana, pera e fragola, con un retrogusto tropicale. All’interno si trovano alcuni semi neri e duri, non commestibili e da rimuovere prima del consumo.

                Può essere gustato al naturale, ma anche aggiunto a smoothie, macedonie e dessert freddi. La sua consistenza cremosa lo rende perfetto come alternativa sana ai gelati o come base per dolci crudisti. In alcuni paesi viene utilizzato anche per preparare yogurt vegetali o mousse.

                Un concentrato di salute

                Oltre al gusto, l’anone offre numerosi benefici nutrizionali. È una fonte naturale di vitamina C, utile per rafforzare le difese immunitarie, e di potassio, che contribuisce a mantenere stabile la pressione sanguigna. Contiene inoltre fibre, che favoriscono la digestione, e vitamina B6, che supporta il corretto funzionamento del sistema nervoso.

                Con circa 70–80 calorie per 100 grammi, è un frutto moderatamente calorico ma altamente saziante. È indicato in una dieta equilibrata e può rappresentare uno spuntino dolce e salutare. Tuttavia, come per molti frutti tropicali, è consigliabile non eccedere nel consumo, soprattutto in caso di problemi metabolici o durante la gravidanza: meglio chiedere consiglio al proprio medico o nutrizionista.

                Dalla Spagna al resto d’Europa

                L’Europa è diventata negli ultimi anni un importante punto di produzione dell’anone, in particolare l’Andalusia, che detiene la denominazione Chirimoya de la Costa Tropical de Granada-Málaga con marchio DOP. Tra le varietà più diffuse c’è il Fino de Jete, apprezzato per la polpa compatta, pochi semi e un sapore dolce e delicato.

                Il prezzo, ancora relativamente alto per un prodotto di nicchia, oscilla tra i 7 e i 12 euro al chilo, a seconda della stagione e della provenienza. Per conservarlo al meglio, è bene lasciarlo a temperatura ambiente se ancora acerbo e spostarlo in frigorifero quando è maturo. Si può anche congelare la polpa o la purea per usarla più avanti in frullati o dolci.

                Curiosità e consigli

                Il nome “anone” deriva dalla parola quechua chirimuya, che significa “semi freddi”, in riferimento alla sua capacità di crescere anche in zone montuose. Mark Twain, che lo assaggiò durante un viaggio in Sud America, lo definì “il frutto più delizioso conosciuto all’uomo”.

                Oggi, grazie alla sua versatilità e al crescente interesse per la frutta esotica, l’anone è sempre più apprezzato anche da chef e appassionati di cucina naturale. Ideale per chi cerca nuovi sapori e vuole unire gusto e benessere, è un piccolo lusso tropicale che profuma d’autunno e sa di sole.

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