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Cucina

Frittelle di zucchine: un comfort food perfetto per scaldarsi nelle giornate più fredde

Ricetta perfetta e veloce per celebrare l’inizio della stagione! Irresistibili e ideali come antipasto leggero, contorno o piatto unico durante le calde serate estive. Un must-have per barbecue o cena all’aperto.

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    Anche se le zucchine sono più associate all’estate, alcune varietà sono disponibili tutto l’anno. Sono più piccole e dal sapore più intenso rispetto a quelle estive. Le frittelle di zucchine sono un delizioso piatto della tradizione culinaria italiana, perfetto per essere servito come antipasto, contorno o piatto principale leggero. Facili da preparare e incredibilmente versatili, queste frittelle combinano la freschezza delle zucchine con la croccantezza della frittura, creando una combinazione irresistibile di sapori e consistenze. Ideali tutto l’anno le frittelle di zucchine sono un modo gustoso e creativo per portare in tavola le verdure. Che siano accompagnate da una salsa yogurt o maionese, vanno servite semplici, calde o fredde.

    Frittelline di zucchine

    Ingredienti per circa 10 frittelline
    3 zucchine medie grattugiate
    2 uova
    100 g di farina 00
    50 g di parmigiano grattugiato
    1 pezzetto piccolo di aglio tritato
    1 mazzetto di prezzemolo fresco
    Aneto tritato q.b.
    Sale e pepe q.b.
    Olio di semi di arachide per friggere q.b.

    Procedimento
    Metti a scolare bene le zucchine grattugiate in un colino, sala leggermente e lascia riposare per circa 10-15 minuti per far perdere l’acqua in eccesso. Trascorso il tempo, strizzale bene e mettile in una ciotola capiente con le uova, la farina, l’aneto tritato, l’aglio, il parmigiano, sale, pepe e mescola fino a ottenere un composto omogeneo.

    In una padella capiente, scalda abbondante olio, poi quando sarà ben caldo, preleva cucchiaiate di impasto e adagiale delicatamente nell’olio. Schiaccia leggermente per dare forma alle frittelle e friggi su entrambi i lati fino a quando diventano dorate e croccanti (circa 3-4 minuti per lato).

    Scola le frittelle su carta assorbente per eliminare l’olio in eccesso, poi servi calde o a temperatura ambiente.

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      Cucina

      Sacripantina, il dolce genovese che ha fatto il giro del mondo

      Dalla letteratura cavalleresca a ingredienti semplici trasformati in opera d’arte: storia, curiosità e una ricetta casalinga per preparare la Sacripantina anche fuori dalla Liguria.

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      Sacripantina

        Un dolce con data e firma: l’invenzione di Preti

        La Sacripantina è una delle rarissime torte italiane la cui nascita è documentata con precisione: fu ideata nel 1851 dal pasticciere genovese Giovanni Preti, fondatore della storica Pasticceria Preti di Piazza Portello. Non un’evoluzione spontanea della tradizione, ma un dolce costruito con cura, studiato per stupire la borghesia dell’epoca.
        La forma a cupola, che ricorda le gonne delle dame ottocentesche, racchiude strati di pan di Spagna intriso nel Marsala, alternati a crema al burro e cacao e completati da una pioggia di briciole dorate. Un equilibrio apparso subito così riuscito da diventare patrimonio cittadino: la Sacripantina è oggi inserita tra i Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT) della Liguria.

        Il nome tra mito, letteratura e ironia

        Prima della torta “femminile”, esisteva il Sacripante, dolce più basso e ricco di liquori. Il nome arriva direttamente dal mondo cavalleresco: Sacripante è infatti un personaggio dell’“Orlando Innamorato” di Boiardo e dell’“Orlando Furioso” di Ariosto. Re di Circassia, valoroso ma anche un po’ spaccone, è innamorato di Angelica e compie imprese ardite per conquistarla.
        Preti scelse quel nome proprio per evocare sfarzo e carattere: una creazione audace, ricca e scenografica come il suo ispiratore letterario. Da qui, la versione “al femminile” — Sacripantina — ideata per una clientela più moderna e raffinata.

        La Pasticceria Preti: tradizione e innovazione dal 1851

        Il successo del dolce contribuì alla crescita della pasticceria, che dagli anni Trenta vanta il brevetto della “Delizia Sacripantina”. Nel tempo l’azienda ha ampliato la produzione mantenendo tecniche artigianali e lievitazione naturale; nel 2014 addirittura il lievito madre Preti è stato registrato presso la Biblioteca Mondiale dei Lieviti Naturali dell’Università di Bari.
        Accanto al laboratorio storico di Genova, oggi opera uno stabilimento moderno a Sant’Olcese, che rifornisce pasticcerie italiane e clienti esteri.

        Una torta viaggiatrice, dall’America alla tavola degli chef

        Come molti dolci genovesi, anche la Sacripantina ha seguito le rotte dei migranti, arrivando fino a San Francisco, dove lo Stella Pastry & Café si definisce “Home of the Sacripantina”. Copie e reinterpretazioni sono diffuse anche in America Latina: a San Paolo (Brasile) il ristorante “Zena” la serve come simbolo della cucina ligure.
        Il dolce ha ispirato anche gli chef italiani: Ivano Ricchebono la arricchisce con scaglie di cioccolato, Sal De Riso sceglie una crema allo zabaione, mentre Carlo Cracco ne propone una versione con pan di Spagna al maraschino e confettura.

        Ricetta della Sacripantina (versione casalinga affidabile)

        Ingredienti (per una torta da 22 cm)

        Per il pan di Spagna:

        • 5 uova
        • 150 g zucchero
        • 150 g farina 00
        • 1 bustina vanillina

        Per la crema al burro:

        • 200 g burro morbido
        • 150 g zucchero a velo
        • 2 tuorli pastorizzati
        • 1 cucchiaio di Marsala

        Per la crema al cacao:

        • metà della crema al burro
        • 2 cucchiai cacao amaro
        • 1 cucchiaio di rum

        Per la bagna:

        • 150 ml Marsala
        • 50 ml acqua

        Per decorare:

        • briciole di pan di Spagna
        • zucchero a velo (facoltativo)

        Procedimento

        1. Preparare il pan di Spagna.
          Montare le uova con lo zucchero per almeno 10 minuti, finché gonfie e chiare. Incorporare la farina setacciata e la vanillina mescolando dal basso verso l’alto. Cuocere a 170°C per 30–35 minuti. Lasciare raffreddare completamente.
        2. Preparare le creme.
          Lavorare il burro morbido con lo zucchero a velo fino a ottenere una crema chiara. Unire i tuorli e il Marsala. Dividere la crema in due ciotole: in una aggiungere cacao e rum.
        3. Montare la torta.
          Tagliare il pan di Spagna in più dischi sottili e ricavare anche dei cubetti o briciole per il rivestimento. Foderare una ciotola a cupola con pellicola. Sistemare un primo strato di pan di Spagna, bagnarlo leggermente con il Marsala diluito e spalmare uno strato di crema chiara. Proseguire alternando strati di crema chiara e crema al cacao, fino a riempire la cupola.
        4. Completare.
          Chiudere con un ultimo disco di pan di Spagna, pressare leggermente e riporre in frigo per almeno 4 ore. Sformare la torta, coprirla di crema rimasta e ricoprire interamente con briciole di pan di Spagna.
        5. Servire.
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          Cucina

          Surimi, il “granchio finto” che divide: cosa contiene davvero e come usarlo senza rischi

          Spesso chiamato “bastoncino di granchio”, in realtà del crostaceo conserva solo il sapore artificiale. Ecco come nasce, cosa contiene e come sceglierlo con consapevolezza.

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          Surimi

            Dal Giappone alle nostre tavole

            Lo chiamano “granchio finto” e, a ben vedere, l’appellativo è azzeccato. Il surimi – parola giapponese che significa letteralmente carne macinata – è una pasta di pesce tritato e lavorato, oggi diffusa in tutto il mondo nella forma dei noti bastoncini bianchi e arancioni.

            Nato in Giappone nel XIV secolo, il surimi era originariamente un modo per conservare il pesce e riutilizzarne gli scarti. I cuochi giapponesi lo trasformavano in una base versatile per altri piatti, come il kamaboko, il chikuwa o il più famoso narutomaki, il disco bianco con la spirale rosa che compare spesso nelle ciotole di ramen.

            Oggi, però, il surimi che troviamo nei supermercati europei e americani è molto diverso da quello tradizionale. Con la sua produzione industriale di massa, è diventato un alimento comodo e pronto all’uso, ma anche uno dei simboli dei cibi ultraprocessati.

            Cosa contiene davvero il “granchio finto”

            Dietro al suo aspetto invitante e al sapore marino, il surimi nasconde una ricetta piuttosto complessa.
            La base resta il pesce bianco tritato – perlopiù merluzzo dell’Alaska, ma talvolta anche sgombri, carpe o pesci tropicali – che rappresenta solo il 30-40% del totale. Il resto è un mix di additivi, amidi e aromi.

            Gli ingredienti principali del surimi industriale includono:

            • Amidi e fecole, che servono a dare consistenza alla pasta;
            • Aromi artificiali, per imitare il gusto del granchio;
            • Proteine dell’uovo, che migliorano elasticità e tenuta;
            • Sale e zuccheri, per esaltare il sapore;
            • Coloranti naturali o sintetici, responsabili delle tipiche striature arancioni.

            In pratica, il surimi non contiene vera polpa di granchio: il suo gusto deriva da aromi e condimenti che ne simulano l’aroma. Per questo in molti Paesi, tra cui l’Italia, è vietato venderlo come “granchio”, pena l’inganno per il consumatore.

            Dalla tradizione all’industria alimentare

            La forma moderna del surimi è frutto della ricerca giapponese del Novecento. Il tecnologo alimentare Nishitani Yōsuke mise a punto una versione stabile e conservabile, aprendo la strada alla sua diffusione in Asia, negli Stati Uniti e infine in Europa.

            Il processo di produzione prevede tre fasi:

            1. Lavaggio e triturazione del pesce, per ottenere una pasta bianca priva di odori forti;
            2. Impasto con amidi e additivi, per renderlo compatto e modellabile;
            3. Cottura e confezionamento, che danno vita ai bastoncini pronti all’uso.

            Questo tipo di lavorazione prolunga la conservazione ma riduce notevolmente il valore nutrizionale del prodotto originale.

            È salutare? Solo se consumato con moderazione

            Dal punto di vista nutrizionale, il surimi fornisce proteine di discreta qualità, ma anche molti additivi e sodio. Secondo il Ministero della Salute giapponese, un consumo occasionale non rappresenta rischi particolari, ma abusarne può contribuire a un eccesso di sale e zuccheri nella dieta.

            I dietisti consigliano di non considerarlo un sostituto del pesce fresco: il surimi ha meno omega-3, meno minerali e più conservanti. Per questo, è meglio riservarlo a piatti occasionali, come insalate di mare, sushi o poke, senza farne un alimento abituale.

            Come sceglierlo e conservarlo

            Se decidete di acquistarlo, è importante leggere con attenzione l’etichetta. I prodotti migliori riportano:

            • una percentuale di pesce superiore al 40%,
            • la specifica della specie utilizzata,
            • assenza di glutammato e coloranti artificiali.

            Evitate, invece, i bastoncini troppo colorati o con una lunga lista di additivi.

            Per conservarlo, attenetevi alle indicazioni:

            • fresco → in frigorifero e consumato entro 48 ore dall’apertura;
            • surgelato → in freezer, da scongelare lentamente in frigo.

            Un ingrediente da riscoprire con criterio

            Il surimi resta un prodotto interessante per la sua storia gastronomica e per la versatilità in cucina, ma non va confuso con il pesce vero e proprio.

            Usato con misura, può aggiungere un tocco di sapore e colore a piatti freddi o orientali; consumato regolarmente, invece, può trasformarsi in una fonte eccessiva di sale e additivi.

            Come spesso accade nell’alimentazione moderna, la chiave sta nell’equilibrio: conoscere ciò che mangiamo ci aiuta a scegliere con consapevolezza. E in questo caso, il “granchio finto” può restare un piccolo sfizio, ma non un’abitudine quotidiana.

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              Cucina

              Il profumo del Natale: la tradizione dei biscotti di pan di zenzero

              Una ricetta semplice e speziata, accompagnata dalla storia di un dolce che attraversa secoli e Paesi, oggi simbolo irrinunciabile del Natale.

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              gingerbread

                Croccanti, speziati e capaci di trasformare una cucina in un angolo di festa: i biscotti di pan di zenzero, o gingerbread, sono ormai un classico delle celebrazioni natalizie in tutto il mondo. La loro popolarità, però, affonda le radici molto più indietro nel tempo. Le prime preparazioni di pani dolci aromatizzati allo zenzero risalgono al Medioevo europeo, quando la spezia — preziosa e costosa — veniva utilizzata soprattutto in occasioni speciali. Secondo documenti storici, furono i monasteri tedeschi del XIII secolo a iniziare a produrre dolci speziati simili ai gingerbread attuali, spesso decorati con stampi di legno che raffiguravano santi, animali o scene quotidiane.

                Fu però Elisabetta I d’Inghilterra, alla fine del Cinquecento, a contribuire alla loro consacrazione popolare: la regina pare amasse far preparare biscotti allo zenzero modellati a forma di piccoli omini, regalati a dignitari e visitatori illustri. Una tradizione che, secoli dopo, sopravvive nei celebri “gingerbread men”, oggi decorati con glassa colorata e diventati un simbolo iconico delle festività anglosassoni.

                Oggi i biscotti di pan di zenzero sono diffusi in tutta Europa e Nord America, variando per forma e consistenza: più croccanti nella tradizione tedesca e nei Paesi del Nord, più morbidi in alcune versioni americane. Il loro aroma — un mix di zenzero, cannella, chiodi di garofano e noce moscata — li ha resi un pilastro della pasticceria natalizia domestica.

                Ricetta dei biscotti di pan di zenzero

                Ingredienti (per circa 25–30 biscotti)

                • 350 g di farina 00
                • 150 g di burro morbido
                • 150 g di zucchero di canna
                • 150 g di miele o melassa
                • 1 uovo
                • 2 cucchiaini di zenzero in polvere
                • 1 cucchiaino di cannella
                • 1/2 cucchiaino di noce moscata
                • 1/2 cucchiaino di chiodi di garofano macinati
                • 1 cucchiaino di bicarbonato
                • Un pizzico di sale

                Per la glassa decorativa

                • 150 g di zucchero a velo
                • 1 albume
                • Qualche goccia di succo di limone

                Procedimento

                1. Preparare l’impasto
                  In una ciotola mescola farina, spezie, bicarbonato e sale. In un’altra lavorare burro e zucchero fino a ottenere una crema morbida. Aggiungere l’uovo e il miele (o la melassa) continuando a mescolare.
                2. Unire gli ingredienti
                  Incorporare gradualmente il mix di farina e spezie al composto di burro. Impastare fino a ottenere una massa uniforme. Formare un panetto, avvolgerlo nella pellicola e lasciarlo riposare in frigorifero almeno un’ora: il freddo renderà l’impasto più semplice da stendere.
                3. Dare forma ai biscotti
                  Stendere l’impasto su un piano infarinato a uno spessore di circa mezzo centimetro. Con gli stampini creare omini, stelle, casette o le classiche forme natalizie.
                4. Cottura
                  Disporre i biscotti su una teglia rivestita di carta forno e cuocerli a 180°C per 10–12 minuti. Devono dorare leggermente ai bordi.
                5. Decorazione
                  Montare l’albume con lo zucchero a velo e il limone fino a ottenere una glassa densa. Con una sac à poche decorare i biscotti una volta completamente freddi.

                Profumati e resistenti, i gingerbread sono perfetti da regalare, appendere all’albero o semplicemente gustare accanto a una tazza di tè caldo. Una tradizione semplice ma carica di storia, capace di far entrare il Natale in casa con un solo morso.

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