Connect with us

Cucina

Il pokè: un viaggio di gusti estivi direttamente dalle Hawaii alle tavole italiane

Il pokè non è solo un piatto estivo, ma un’esperienza culinaria che porta con sé la storia millenaria delle Hawaii e la vivacità della cultura italiana, conquistando i cuori e i palati di chiunque abbia la fortuna di assaggiarlo.

Avatar photo

Pubblicato

il

    Con l’arrivo dell’estate e il suo caldo torrido, c’è un piatto che ritorna prepotentemente a conquistare le tavole e le pause pranzo degli italiani: il pokè. Questo piatto fresco e invitante, originario delle Hawaii, ha fatto breccia nei cuori e nei palati degli italiani negli ultimi anni, diventando una vera e propria icona culinaria della stagione estiva.

    La sua storia affonda le radici in una tradizione millenaria che racconta di pescatori hawaiani che, dopo aver trascorso ore in mare alla ricerca del pesce più fresco, preparavano un pasto veloce e gustoso direttamente sulla spiaggia. Il termine “pokè” stesso significa “tagliare a pezzi” o “tagliare a dadini” in hawaiano, e riflette il metodo di preparazione del piatto, che prevede il pesce crudo tagliato in cubetti e condito con ingredienti freschi e aromatici.

    Il pokè è nato come cibo da strada, un pasto veloce e nutriente che forniva l’energia necessaria ai pescatori per affrontare lunghe giornate in mare. Con il passare del tempo, è diventato un piatto amato da tutti, dalle famiglie alle persone in viaggio, grazie alla sua semplicità, freschezza e versatilità.

    In Italia, il pokè ha trovato terreno fertile, conquistando le pause pranzo in ufficio, le giornate in spiaggia e le cene estive tra amici. La sua popolarità è cresciuta grazie alla vasta gamma di ingredienti e condimenti che consentono di personalizzare il piatto secondo i gusti e le preferenze individuali.

    Da Milano a Roma, da Palermo a Venezia, i ristoranti e i chioschi che offrono il pokè sono diventati luoghi di ritrovo per gli amanti della buona cucina e del cibo sano. La freschezza del pesce crudo, l’avvolgente aroma dell’olio di sesamo e la freschezza degli agrumi si fondono in un tripudio di sapori che deliziano il palato e rinfrescano i sensi durante le calde giornate estive.

    La ricetta classica del pokè prevede l’utilizzo di ingredienti freschi e di alta qualità. Ecco gli ingredienti e la preparazione del pokè più tradizionale, con il salmone crudo:

    Ingredienti:

    • 200g di salmone fresco, tagliato a dadini
    • 1 cucchiaio di salsa di soia
    • 1 cucchiaino di olio di sesamo
    • Succo di mezzo limone
    • 1 cucchiaino di zenzero fresco grattugiato
    • 1 cucchiaino di scalogno, tritato finemente
    • 1 avocado maturo, tagliato a dadini
    • 1 cucchiaio di semi di sesamo tostati
    • 2 tazze di riso basmati cotto
    • Sale e pepe q.b.
    • Foglie di coriandolo fresco per guarnire

    Preparazione:

    1. In una ciotola grande, mescolare il salmone a dadini con la salsa di soia, l’olio di sesamo, il succo di limone, lo zenzero grattugiato e lo scalogno tritato. Lasciare marinare in frigorifero per almeno 30 minuti.
    2. Una volta marinato, aggiungere l’avocado tagliato a dadini al salmone e mescolare delicatamente.
    3. Distribuire il riso basmati cotto in due ciotole.
    4. Disporre il misto di salmone e avocado sopra il riso.
    5. Spolverare con semi di sesamo tostati e guarnire con foglie di coriandolo fresco.
    6. Aggiustare di sale e pepe secondo il proprio gusto.
    7. Servire immediatamente e gustare il pokè fresco e delizioso!

    Il pokè è un piatto leggero, ricco di sapori e nutrienti, perfetto per rinfrescarsi durante le calde giornate estive.

      SEGUICI SU INSTAGRAM
      INSTAGRAM.COM/LACITYMAG

      Cucina

      Marshmallow fatti in casa: la ricetta, la storia e i segreti per un risultato perfetto

      Dalla pianta di altea alle cucine moderne: come preparare i celebri dolcetti soffici con pochi ingredienti e qualche attenzione tecnica.

      Avatar photo

      Pubblicato

      il

      Autore

      Marshmallow fatti in casa

        Soffici, elastici e irresistibilmente dolci: i marshmallow sono tra i dolci più riconoscibili al mondo. Simbolo di falò, bevande calde e dessert americani, nascondono però una storia antica e una preparazione che, se ben eseguita, può essere replicata anche a casa con risultati sorprendenti.

        Un dolce dalle origini antiche

        Il nome “marshmallow” deriva dalla malva palustre (Althaea officinalis), una pianta utilizzata già nell’antico Egitto per preparare rimedi dolci a base di miele e linfa, destinati soprattutto a lenire il mal di gola. Nel XIX secolo, in Francia, questa preparazione si è evoluta in una versione più simile a quella attuale, con albumi montati e zucchero. La produzione industriale moderna ha poi sostituito la radice di altea con gelatina, rendendo il processo più stabile e riproducibile su larga scala.

        Gli ingredienti (per circa 40 marshmallow)

        • 12 g di gelatina in fogli (o in polvere)
        • 150 ml di acqua (divisa in due parti)
        • 250 g di zucchero semolato
        • 100 g di sciroppo di glucosio (o miele chiaro)
        • 1 cucchiaino di estratto di vaniglia
        • Zucchero a velo e amido di mais q.b. per la finitura

        (Nota: nella versione classica non sono previsti albumi; alcune varianti artigianali li utilizzano, ma non sono indispensabili.)

        Il procedimento passo dopo passo

        1. Preparare la gelatina
          Mettere la gelatina in ammollo in 75 ml di acqua fredda (o reidratarla secondo le istruzioni se in polvere).
        2. Cuocere lo sciroppo
          In un pentolino unire lo zucchero, il glucosio e i restanti 75 ml di acqua. Portare a ebollizione senza mescolare, fino a raggiungere circa 115-118 °C (fase di “palla morbida”), utilizzando un termometro da cucina.
        3. Montare la massa
          Sciogliere la gelatina ammollata nello sciroppo caldo, poi trasferire il composto in una ciotola capiente. Montare con le fruste elettriche a velocità medio-alta per 8–10 minuti, finché il composto diventa bianco, lucido e triplica di volume. Aggiungere la vaniglia negli ultimi secondi.
        4. Colare e far rassodare
          Versare il composto in una teglia rivestita di carta forno e spolverata con un mix di zucchero a velo e amido. Livellare e lasciare riposare a temperatura ambiente per almeno 4 ore (meglio tutta la notte).
        5. Tagliare e rifinire
          Sformare, tagliare a cubetti con un coltello leggermente unto e passare ogni marshmallow nel mix di zucchero e amido per evitare che si attacchino.

        Consigli pratici e conservazione

        • La precisione della temperatura è fondamentale per ottenere la consistenza corretta.
        • I marshmallow fatti in casa si conservano fino a 2 settimane in un contenitore ermetico, lontano dall’umidità.
        • È possibile aromatizzarli con cacao, caffè o coloranti alimentari, aggiungendoli durante la fase di montaggio.

        Preparare i marshmallow in casa significa riscoprire un dolce iconico nella sua versione più autentica, senza conservanti e con ingredienti controllati. Un piccolo laboratorio di pasticceria domestica che trasforma pochi elementi di base in una nuvola di zucchero dal fascino intramontabile.

          Continua a leggere

          Cucina

          L’oro dolce dei Balcani: la tradizione dell’halva di semi di girasole

          Dalle sue origini affascinanti fino alla ricetta autentica: ecco come nasce uno dei dolci più amati e diffusi nei mercati di Turchia, Bulgaria, Grecia, Russia e Medio Oriente. Una delizia che unisce storia, cultura e sorprendenti proprietà nutritive.

          Avatar photo

          Pubblicato

          il

          Autore

          halva di semi di girasole

            Una storia che profuma di tradizione

            Il termine halva deriva dal termine arabo ḥalwā, che significa “dolce”. Le sue radici sono antichissime: le prime versioni documentate compaiono tra Persia e regioni ottomane già dal XIII secolo. Nel corso dei secoli, la ricetta ha viaggiato lungo rotte commerciali e culturali, arrivando nelle attuali Turchia, nei Balcani, in Grecia e fino alla Russia.
            Esistono molte varianti: a base di semola, tahina (crema di sesamo), noci o semi di girasole. Proprio quest’ultima è tra le più popolari nell’Europa orientale, grazie alla disponibilità locale del girasole e al suo sapore ricco e aromatico.

            Perché i semi di girasole?

            Ricchi di grassi “buoni”, vitamine del gruppo B e minerali come magnesio e fosforo, i semi di girasole sono un ingrediente tradizionale ma anche sorprendentemente attuale. Nella versione dell’halva, vengono tostati e macinati fino a diventare una crema rustica che, unita a un caramello leggero, dà vita a un dolce compatto, friabile e naturalmente profumato.

            La ricetta dell’halva ai semi di girasole

            Ingredienti (per circa 8 porzioni)

            • 200 g di semi di girasole sgusciati
            • 120 g di zucchero
            • 80 g di miele (o sciroppo di glucosio nelle versioni più tradizionali)
            • 50 ml di acqua
            • 1 pizzico di sale
            • 1 cucchiaino di estratto di vaniglia (facoltativo)

            (Nelle preparazioni industriali può essere presente anche pasta di semi di girasole, ma a livello casalingo la versione tostata e macinata resta la più comune e fedele alla tradizione.)

            Procedimento

            Tostare i semi

            Distribuisci i semi di girasole su una padella antiaderente e falli tostare a fiamma media per 4–5 minuti, mescolando spesso. Devono dorarsi leggermente e sprigionare il loro profumo, ma senza bruciare.
            Lasciali raffreddare completamente.

            Ridurli in crema

            Una volta freddi, frulla i semi in un mixer potente fino a ottenere una consistenza sabbiosa e poi via via sempre più cremosa.
            Se necessario, procedi a intervalli per evitare di surriscaldare il motore.
            Aggiungi un pizzico di sale e, se lo gradisci, la vaniglia.

            Preparare lo sciroppo

            In un pentolino unisci acqua, zucchero e miele. Cuoci a fuoco medio finché la miscela raggiunge una consistenza densa, simile a un caramello chiaro (circa 118–120°C, fase “soft ball”).
            Se non hai un termometro, osserva che lo sciroppo cominci a filare e diventi viscoso.

            Unire crema e sciroppo

            Versa lo sciroppo caldo nella crema di semi e mescola energicamente con una spatola. Il composto tenderà a compattarsi man mano che lo zucchero cristallizza: è normale ed è proprio questa reazione a creare la tipica consistenza friabile dell’halva.

            Modellare e raffreddare

            Trasferisci la massa in uno stampo foderato con carta da forno, pressandola bene.
            Lascia riposare a temperatura ambiente per 3–4 ore, finché non diventa solida e facile da tagliare.

            Servire

            Taglia l’halva a fette o cubotti. Si conserva per diversi giorni in un contenitore ermetico, senza necessità di frigorifero.

            Un dolce antico che parla al presente

            L’halva di semi di girasole è un dessert che unisce tradizione e modernità: ricca ma naturale, dolce ma non stucchevole, perfetta da gustare da sola o accompagnata da tè caldo o caffè.
            Una ricetta che racconta secoli di scambi e contaminazioni tra culture diverse, ma che continua — ieri come oggi — a conquistare chiunque ami i sapori autentici.

              Continua a leggere

              Cucina

              Antonino Cannavacciuolo, il prezzo del sogno: «Quando gli altri festeggiano, tu lavori». Dal no del padre a Villa Crespi, passando per la tv

              Ai microfoni di Gianluca Gazzoli, Antonino Cannavacciuolo ripercorre il suo viaggio: il padre che lo mette in guardia («Colora di nero le giornate rosse sul calendario»), l’adolescenza tra scuola alberghiera e lavoro, la scommessa di Villa Crespi con la moglie Cinzia, l’arrivo di MasterChef vissuto come un rischio e poi trasformato in opportunità. Una frase torna più volte, come un mantra e un monito: «Quando gli altri festeggiano, tu lavori».

              Avatar photo

              Pubblicato

              il

              Autore

              Antonino Cannavacciuolo

                C’è una frase che Antonino Cannavacciuolo ripete più volte, quasi fosse una formula che si è incisa nella memoria e nelle ossa: «Quando gli altri festeggiano, tu lavori». È il riassunto brutale di cosa significhi davvero scegliere la cucina come mestiere, ma anche la sintesi perfetta della sua vita. Nel podcast «Passa dal BSMT», ospite di Gianluca Gazzoli, lo chef stellato mette in fila ricordi, inciampi, paure e successi senza scivolare nella favola motivazionale.

                Dietro il personaggio televisivo, dietro le pacche sulle spalle e i meme, resta un ragazzo di Napoli cresciuto con un padre che, paradossalmente, non voleva che diventasse cuoco.

                «Fai tutto, ma non il cuoco»: il padre e la “benzina” del contrasto

                Il padre insegna all’alberghiero, conosce il mestiere e non lo idealizza. Quando Antonino gli dice che vuole fare il cuoco, la risposta è secca: «Fai qualsiasi cosa, ma non il cuoco». Gli spiega il conto da pagare: niente feste, niente sabati e domeniche, niente ferie “normali”. «Prendi un pennarello nero e colora di nero anche le giornate rosse sul calendario. Non ci sono vacanze, quando gli altri festeggiano, tu lavori».

                Lui però insiste. Entra all’alberghiero, a tredici anni lavora già mentre studia. Il padre va dai professori e chiede di fargli cambiare idea, la madre prova a bilanciare, lo incoraggia. Il riconoscimento, quello vero, arriverà molto più tardi, quasi di nascosto. Quando gli porta un articolo importante, il padre lo legge in silenzio e poi concede solo una frase: «Se è vero quello che c’è scritto, ci deve essere un seguito». Nessun complimento esplicito, solo pressione. «Quella cosa lì è stata la mia benzina», dirà Cannavacciuolo.

                Villa Crespi, il rischio e le notti a fare i conti

                Il capitolo Villa Crespi non nasce da un piano perfetto, ma da uno di quei momenti in cui la vita ti mette davanti a un bivio senza preavviso. Antonino lavora già sul lago d’Orta quando il proprietario del ristorante comincia a osservarlo con una certa insistenza. La proposta arriva dopo: prendere in gestione Villa Crespi, appena chiusa.

                La prima reazione è di sospetto: «Ho pensato subito: dov’è la fregatura?». La fregatura sono i numeri. Affitto da pagare in anticipo, mesi invernali quasi senza clienti, una struttura enorme da tenere in piedi. Lui e Cinzia Primatesta, che diventerà sua moglie e socia in tutto, hanno poco più di vent’anni. Ma accettano.

                «A gennaio giocavamo alle tre carte – racconta – ad agosto lavoravamo bene, ma quando arrivava febbraio servivano tutti i santi». È la fotografia di un’impresa che rischia continuamente di non farcela e che, proprio per questo, costringe a non sedersi mai. La svolta arriva con le guide, prima il Gambero Rosso, poi la Michelin. Alle Tre Forchette, l’emozione è tale che Antonino «attacca il telefono» a metà comunicazione. Eppure, confessa, il pensiero di mollare non l’ha mai davvero sfiorato: «Il pensiero di non farcela non c’è mai stato. Non l’ho mai contemplato».

                Cinzia, MasterChef e l’equilibrio tra cucina e tv

                Nel racconto a Gazzoli, Cinzia non è mai “la moglie di”, ma parte strutturale dell’ingranaggio. All’inizio è “la figlia del proprietario”, lui è il cuoco stagionale. La distanza è netta, quasi di ruolo. La relazione nasce dopo, piano, nel momento in cui lui annuncia che tornerà a Napoli e capisce di star lasciando qualcosa di più di un lavoro. Da lì in avanti, il viaggio diventa condiviso: «Se mi fermo io tira lei, se si ferma lei tiro io».

                Quando arriva MasterChef, lo chef è già sulla mappa della grande cucina italiana. La prima risposta alla tv è un no: l’obiettivo è la terza stella, non la popolarità. Cambia idea solo quando si rende conto che le riprese possono incastrarsi nella vita del ristorante. «Giriamo quando il ristorante è chiuso», ribadisce. Finita la registrazione, si torna in brigata: «Finisco di registrare e torno in cucina».

                La televisione allarga il pubblico, cambia il rapporto con le persone, aggiunge pressioni e aspettative. Ma non sposta il centro. Persino la “pacca” diventata tormentone, spiega, nasce lontano dalle telecamere, come gesto istintivo in cucina, non come gag studiata.

                Guardando indietro, Cannavacciuolo non si vende come modello perfetto, né come guru della motivazione. Ricorda piuttosto che è l’insonnia, non l’applauso, a tenere viva la fiamma. «L’insuccesso è quello che ti fa crescere. Quando il successo ti fa dormire, lì rischi. Quello che non ti fa dormire la notte è il motore vero».

                La frase del padre, «Quando gli altri festeggiano, tu lavori», continua a tornare. Non come condanna, ma come chiave per leggere il suo percorso: niente scorciatoie, niente mitologie, solo anni di fatica appoggiati su un’idea semplice e testarda di mestiere.

                  Continua a leggere
                  Advertisement

                  Ultime notizie

                  Lacitymag.it - Tutti i colori della cronaca | DIEMMECOM® Società Editoriale Srl P. IVA 01737800795 R.O.C. 4049 – Reg. Trib MI n.61 del 17.04.2024 | Direttore responsabile: Luca Arnaù