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Cucina

Le bellezze del mare: salmone in crosta di mandorle!  

Nell’universo culinario, poche cose competono con i preziosi secondi di mare. Il filetto è visibilmente bello ed elegante a tavola. Un’esperienza straordinaria di gusto che non potete permettervi di perdere.

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    Quando il salmone emerge dal forno, la crosta di mandorle è dorata e croccante, creando un contrasto perfetto con la morbidezza del pesce. È anche un piatto dai colori vivaci grazia al rosa del salmone che si abbina alla doratura delle mandorle per creare un’opera d’arte culinaria che è un piacere per gli occhi, così come per il palato. Servito su un letto di purea di patate cremosa è una vera festa per i sensi.

    Salmone in crosta di mandorle

    Ingredienti per 4 persone
    4 filetti di salmone fresco (no tranci)
    Lamelle di mandorle q.b.
    Aneto fresco
    Sale e pepe q.b.
    Olio extravergine di oliva q.b.
    Per il purè
    6 patate
    200 g di piselli già lessati
    30 g di burro fuso
    Sale e pepe q.b.
    Per servire
    Verdure a piacere q.b.

    Preparazione
    Sbuccia e taglia le patate a cubetti e cuoci in acqua bollente salata fino a quando sono morbide. Aggiungi i piselli alle patate e continua la cottura per altri 8 minuti, fino a quando saranno morbidi. Scola le patate e i piselli e trasferiscili in una ciotola. Aggiungi il burro e regola di sale e pepe, quindi schiaccia il tutto con uno schiacciapatate fino a ottenere una consistenza cremosa. Metti da parte.

    Prepara una teglia rivestita con carta forno, adagia dentro i filetti di salmone, regola di sale e pepe, quindi spargi le lamelle di mandorle, finisci con ciuffi di aneto tritato, condisci con l’olio e inforna a 180 gradi per 15 minuti. Servi il salmone in crosta di mandorle su un letto di purea di patate e piselli. Guarnisci con verdure a piacere e servi in tavola.

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      Cucina

      Surimi, il “granchio finto” che divide: cosa contiene davvero e come usarlo senza rischi

      Spesso chiamato “bastoncino di granchio”, in realtà del crostaceo conserva solo il sapore artificiale. Ecco come nasce, cosa contiene e come sceglierlo con consapevolezza.

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      Surimi

        Dal Giappone alle nostre tavole

        Lo chiamano “granchio finto” e, a ben vedere, l’appellativo è azzeccato. Il surimi – parola giapponese che significa letteralmente carne macinata – è una pasta di pesce tritato e lavorato, oggi diffusa in tutto il mondo nella forma dei noti bastoncini bianchi e arancioni.

        Nato in Giappone nel XIV secolo, il surimi era originariamente un modo per conservare il pesce e riutilizzarne gli scarti. I cuochi giapponesi lo trasformavano in una base versatile per altri piatti, come il kamaboko, il chikuwa o il più famoso narutomaki, il disco bianco con la spirale rosa che compare spesso nelle ciotole di ramen.

        Oggi, però, il surimi che troviamo nei supermercati europei e americani è molto diverso da quello tradizionale. Con la sua produzione industriale di massa, è diventato un alimento comodo e pronto all’uso, ma anche uno dei simboli dei cibi ultraprocessati.

        Cosa contiene davvero il “granchio finto”

        Dietro al suo aspetto invitante e al sapore marino, il surimi nasconde una ricetta piuttosto complessa.
        La base resta il pesce bianco tritato – perlopiù merluzzo dell’Alaska, ma talvolta anche sgombri, carpe o pesci tropicali – che rappresenta solo il 30-40% del totale. Il resto è un mix di additivi, amidi e aromi.

        Gli ingredienti principali del surimi industriale includono:

        • Amidi e fecole, che servono a dare consistenza alla pasta;
        • Aromi artificiali, per imitare il gusto del granchio;
        • Proteine dell’uovo, che migliorano elasticità e tenuta;
        • Sale e zuccheri, per esaltare il sapore;
        • Coloranti naturali o sintetici, responsabili delle tipiche striature arancioni.

        In pratica, il surimi non contiene vera polpa di granchio: il suo gusto deriva da aromi e condimenti che ne simulano l’aroma. Per questo in molti Paesi, tra cui l’Italia, è vietato venderlo come “granchio”, pena l’inganno per il consumatore.

        Dalla tradizione all’industria alimentare

        La forma moderna del surimi è frutto della ricerca giapponese del Novecento. Il tecnologo alimentare Nishitani Yōsuke mise a punto una versione stabile e conservabile, aprendo la strada alla sua diffusione in Asia, negli Stati Uniti e infine in Europa.

        Il processo di produzione prevede tre fasi:

        1. Lavaggio e triturazione del pesce, per ottenere una pasta bianca priva di odori forti;
        2. Impasto con amidi e additivi, per renderlo compatto e modellabile;
        3. Cottura e confezionamento, che danno vita ai bastoncini pronti all’uso.

        Questo tipo di lavorazione prolunga la conservazione ma riduce notevolmente il valore nutrizionale del prodotto originale.

        È salutare? Solo se consumato con moderazione

        Dal punto di vista nutrizionale, il surimi fornisce proteine di discreta qualità, ma anche molti additivi e sodio. Secondo il Ministero della Salute giapponese, un consumo occasionale non rappresenta rischi particolari, ma abusarne può contribuire a un eccesso di sale e zuccheri nella dieta.

        I dietisti consigliano di non considerarlo un sostituto del pesce fresco: il surimi ha meno omega-3, meno minerali e più conservanti. Per questo, è meglio riservarlo a piatti occasionali, come insalate di mare, sushi o poke, senza farne un alimento abituale.

        Come sceglierlo e conservarlo

        Se decidete di acquistarlo, è importante leggere con attenzione l’etichetta. I prodotti migliori riportano:

        • una percentuale di pesce superiore al 40%,
        • la specifica della specie utilizzata,
        • assenza di glutammato e coloranti artificiali.

        Evitate, invece, i bastoncini troppo colorati o con una lunga lista di additivi.

        Per conservarlo, attenetevi alle indicazioni:

        • fresco → in frigorifero e consumato entro 48 ore dall’apertura;
        • surgelato → in freezer, da scongelare lentamente in frigo.

        Un ingrediente da riscoprire con criterio

        Il surimi resta un prodotto interessante per la sua storia gastronomica e per la versatilità in cucina, ma non va confuso con il pesce vero e proprio.

        Usato con misura, può aggiungere un tocco di sapore e colore a piatti freddi o orientali; consumato regolarmente, invece, può trasformarsi in una fonte eccessiva di sale e additivi.

        Come spesso accade nell’alimentazione moderna, la chiave sta nell’equilibrio: conoscere ciò che mangiamo ci aiuta a scegliere con consapevolezza. E in questo caso, il “granchio finto” può restare un piccolo sfizio, ma non un’abitudine quotidiana.

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          Cucina

          Il profumo del Natale: la tradizione dei biscotti di pan di zenzero

          Una ricetta semplice e speziata, accompagnata dalla storia di un dolce che attraversa secoli e Paesi, oggi simbolo irrinunciabile del Natale.

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          gingerbread

            Croccanti, speziati e capaci di trasformare una cucina in un angolo di festa: i biscotti di pan di zenzero, o gingerbread, sono ormai un classico delle celebrazioni natalizie in tutto il mondo. La loro popolarità, però, affonda le radici molto più indietro nel tempo. Le prime preparazioni di pani dolci aromatizzati allo zenzero risalgono al Medioevo europeo, quando la spezia — preziosa e costosa — veniva utilizzata soprattutto in occasioni speciali. Secondo documenti storici, furono i monasteri tedeschi del XIII secolo a iniziare a produrre dolci speziati simili ai gingerbread attuali, spesso decorati con stampi di legno che raffiguravano santi, animali o scene quotidiane.

            Fu però Elisabetta I d’Inghilterra, alla fine del Cinquecento, a contribuire alla loro consacrazione popolare: la regina pare amasse far preparare biscotti allo zenzero modellati a forma di piccoli omini, regalati a dignitari e visitatori illustri. Una tradizione che, secoli dopo, sopravvive nei celebri “gingerbread men”, oggi decorati con glassa colorata e diventati un simbolo iconico delle festività anglosassoni.

            Oggi i biscotti di pan di zenzero sono diffusi in tutta Europa e Nord America, variando per forma e consistenza: più croccanti nella tradizione tedesca e nei Paesi del Nord, più morbidi in alcune versioni americane. Il loro aroma — un mix di zenzero, cannella, chiodi di garofano e noce moscata — li ha resi un pilastro della pasticceria natalizia domestica.

            Ricetta dei biscotti di pan di zenzero

            Ingredienti (per circa 25–30 biscotti)

            • 350 g di farina 00
            • 150 g di burro morbido
            • 150 g di zucchero di canna
            • 150 g di miele o melassa
            • 1 uovo
            • 2 cucchiaini di zenzero in polvere
            • 1 cucchiaino di cannella
            • 1/2 cucchiaino di noce moscata
            • 1/2 cucchiaino di chiodi di garofano macinati
            • 1 cucchiaino di bicarbonato
            • Un pizzico di sale

            Per la glassa decorativa

            • 150 g di zucchero a velo
            • 1 albume
            • Qualche goccia di succo di limone

            Procedimento

            1. Preparare l’impasto
              In una ciotola mescola farina, spezie, bicarbonato e sale. In un’altra lavorare burro e zucchero fino a ottenere una crema morbida. Aggiungere l’uovo e il miele (o la melassa) continuando a mescolare.
            2. Unire gli ingredienti
              Incorporare gradualmente il mix di farina e spezie al composto di burro. Impastare fino a ottenere una massa uniforme. Formare un panetto, avvolgerlo nella pellicola e lasciarlo riposare in frigorifero almeno un’ora: il freddo renderà l’impasto più semplice da stendere.
            3. Dare forma ai biscotti
              Stendere l’impasto su un piano infarinato a uno spessore di circa mezzo centimetro. Con gli stampini creare omini, stelle, casette o le classiche forme natalizie.
            4. Cottura
              Disporre i biscotti su una teglia rivestita di carta forno e cuocerli a 180°C per 10–12 minuti. Devono dorare leggermente ai bordi.
            5. Decorazione
              Montare l’albume con lo zucchero a velo e il limone fino a ottenere una glassa densa. Con una sac à poche decorare i biscotti una volta completamente freddi.

            Profumati e resistenti, i gingerbread sono perfetti da regalare, appendere all’albero o semplicemente gustare accanto a una tazza di tè caldo. Una tradizione semplice ma carica di storia, capace di far entrare il Natale in casa con un solo morso.

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              Cucina

              Castagne, il frutto d’autunno che non ingrassa (se mangiato bene): come sceglierle, cucinarle e usarle perfino per dimagrire

              Secche, arrostite o bollite: le castagne possono sostituire il pane, saziano di più e non fanno ingrassare se consumate durante i pasti. Gli esperti spiegano perché alcune cotture le rendono pesanti, quali dolci scegliere e come orientarsi tra castagne italiane e importate, spesso trattate con fitofarmaci. Una guida completa per gustarle senza sensi di colpa.

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                Le castagne tornano protagoniste dell’autunno e, sorpresa, non sono affatto il nemico della linea. Se consumate nel modo giusto possono addirittura aiutare chi vuole perdere peso, purché inserite all’interno dei pasti e non come merenda o dolcetto d’emergenza. Eppure, tra cotture poco digeribili, varietà nostrane e importazioni massicce, è facile fare confusione.

                Il primo mito da sfatare riguarda proprio la dieta: «Ottanta grammi di castagne fresche – circa dieci frutti – equivalgono a 40-50 grammi di pane», spiegano i nutrizionisti. A parità di calorie saziano molto di più, e questo basta a renderle un’arma segreta contro gli attacchi di fame. L’errore comune è mangiarle dopo il pasto, trasformandole in un dolce che appesantisce inutilmente.

                La verità sulla digeribilità
                Il problema non è la castagna, ma la cottura. Le meno digeribili? Le caldarroste: spesso ben cotte fuori e ancora crude dentro, con amido non idrolizzato difficile da assimilare. Le più caloriche sono quelle secche, mentre la tecnica migliore resta la bollitura in acqua salata, che le rende morbide, omogenee e perfette anche come ingrediente in minestre o risotti.

                I dolci sì e quelli no
                Con le castagne si possono preparare dessert irresistibili. Il più promosso è il castagnaccio con pinoli e uvetta: semplice, nutriente, perfetto anche per i bambini. Un piccolo strappo concesso anche a chi segue una dieta rigorosa. Diverso il discorso per marron glacé e Mont Blanc, entrambi realizzati con i marroni: buoni, bellissimi, ma da evitare se l’obiettivo è dimagrire.

                Come sceglierle davvero
                Alla vista sembrano tutte uguali, ma non lo sono. «È difficile riconoscere la provenienza soltanto guardandole», ammette Leonardo Mareschi del nucleo di Polizia ambientale, agroalimentare e forestale. L’unica sicurezza è leggere l’etichetta oppure rivolgersi direttamente ai coltivatori locali. E un motivo c’è: le castagne importate da Paesi come Portogallo, Spagna, Turchia e Albania sono spesso trattate con fitofarmaci, mentre quelle italiane no.

                E in Italia il castagno gode di ottima salute: 750mila ettari, di cui 150mila coltivati a marroni, soprattutto in Piemonte, Toscana, Lombardia, Lazio, Campania e Calabria. «Questa è un’ottima annata – spiega Mareschi – grazie alla lotta integrata biologica che ha sconfitto il cinipide galligeno, l’insetto che aveva decimato le produzioni». Il risultato? +25% di raccolto e una resa tra 25 e 30 milioni di chili.

                Peccato che, nonostante questo boom, continuino ad arrivare dall’estero oltre 36 milioni di chili l’anno, spesso venduti come italiani. Una ragione in più per leggere le etichette e scegliere consapevolmente.

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