Cucina
Torta pasqualina di carciofi: la regina delle tavole genovesi di Pasqua
La torta pasqualina ai carciofi è il simbolo della Pasqua genovese: un intreccio di storia, tradizione e sapori unici. Uova, carciofi e sfoglie sottili raccontano l’anima della Liguria in un piatto che unisce le famiglie da generazioni.
In Liguria, quando la primavera bussa alle porte, c’è un profumo che inonda le cucine: quello della torta pasqualina ai carciofi. Altro che banali insalate o frittatine improvvisate: qui si parla di un monumento gastronomico, una sfoglia antica che racconta secoli di storia popolare e di creatività ligure. La torta pasqualina nasce proprio a Genova e, a dispetto della semplicità degli ingredienti, è un piatto che mette insieme fede, simbologia e – ovviamente – gola.
Dalla tradizione ai giorni nostri
La leggenda narra che le vere massaie genovesi preparassero la pasqualina con 33 sfoglie sottili, una per ogni anno di vita di Cristo. E se vi sembra un’esagerazione, forse non avete mai conosciuto una nonna ligure armata di mattarello! Oggi ci si è un po’ “rilassati” – diciamo pure che con 4 o 5 sfoglie il peccato veniale è perdonato – ma l’essenza della ricetta resta immutata: verdure di stagione, ricotta fresca, uova intere che, come piccole sorprese, si ritrovano nel ripieno e richiamano il simbolo della rinascita pasquale.
E qui entra in gioco il carciofo. Perché, se è vero che la versione più diffusa oggi vede gli spinaci o le bietole protagonisti, i puristi genovesi sanno bene che la torta pasqualina ai carciofi è la più nobile delle varianti, una vera chicca della tradizione.
La regina verde della Liguria
Il carciofo spinoso di Albenga o quello di Perinaldo, varietà autoctone dal sapore inconfondibile, sono gli ospiti d’onore di questa torta che profuma di erbe aromatiche e di mare. Puliti, mondati e affettati sottili sottili, i carciofi vengono insaporiti con un soffritto di cipolla, maggiorana (rigorosamente fresca), pepe e un pizzico di sale. Il tutto viene mescolato con una generosa dose di prescinseua – la cagliata ligure – o, in mancanza di questa, una ricotta di ottima qualità.
Il segreto? L’uovo “a sorpresa”
La magia della pasqualina si completa con le uova crude che vengono “affondate” nel ripieno prima della copertura finale. Cotte al forno, resteranno sode e compatte, pronte a spuntare alla prima fetta tagliata come in un rito collettivo che, da generazioni, unisce famiglie e amici attorno al tavolo di Pasqua.
La ricetta classica della torta pasqualina ai carciofi
Ingredienti per una tortiera da 28 cm:
- 400 g di farina 00
- 50 ml di olio extravergine d’oliva
- Acqua q.b.
- Sale q.b.
- 8 carciofi
- 1 cipolla
- 300 g di ricotta o prescinseua
- 6 uova (4 per la farcitura, 2 per il ripieno)
- Maggiorana fresca q.b.
- Parmigiano grattugiato q.b.
- Pepe nero q.b.
Procedimento:
- Preparate l’impasto mescolando farina, olio, sale e acqua fino a ottenere una pasta liscia. Lasciatela riposare coperta per almeno 30 minuti.
- Nel frattempo, pulite e affettate i carciofi. Rosolateli in padella con la cipolla tritata finemente, l’olio e la maggiorana. Lasciate raffreddare.
- In una ciotola, unite i carciofi saltati con la ricotta, due uova, parmigiano, sale e pepe.
- Dividete l’impasto in quattro parti e tirate le sfoglie sottili. Foderate una teglia oliata con due sfoglie sovrapposte, spennellando d’olio tra l’una e l’altra.
- Versate il ripieno e formate quattro conchette dove romperete delicatamente le uova intere.
- Coprite con le altre due sfoglie, sigillate i bordi e spennellate la superficie con un po’ d’olio.
- Infornate a 180°C per circa 45-50 minuti, fino a doratura.
A Pasqua (ma non solo)
La torta pasqualina ai carciofi è uno di quei piatti che fanno subito festa, ma i genovesi lo sanno: il vero colpo di genio è gustarla anche nei giorni successivi, magari fredda, al mare o durante le scampagnate sulle alture. E ogni morso ha il sapore di una tradizione che non ha alcuna intenzione di tramontare.
Perché, diciamocelo, la Liguria ha molti tesori, ma quando si parla di tavola, la regina verde – con i suoi carciofi e quell’uovo nascosto – non teme rivali.
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Cucina
Cachi vaniglia: il dolce tesoro della Campania che profuma d’autunno
Tra i prodotti agroalimentari tradizionali della Campania, il caco vaniglia si distingue per il suo gusto unico e per la versatilità in cucina. Scopriamo dove nasce, come riconoscerlo e perché fa bene alla salute.
Chiunque viva in Campania sa che l’autunno porta con sé un profumo inconfondibile: quello dei cachi vaniglia, frutti dolcissimi e succosi, considerati una vera eccellenza del territorio. Questa varietà, appartenente alla specie Diospyros kaki, è inserita tra i Pat – i Prodotti Agroalimentari Tradizionali italiani – ed è coltivata soprattutto nelle province di Napoli e Salerno, tra l’area vesuviana, l’agro Acerrano-Nolano e la zona Sarnese-Nocerino.
Le condizioni pedoclimatiche di questi territori – terreni vulcanici, clima mite e ventilato – sono ideali per la crescita di questo frutto, che arriva sui mercati tra fine ottobre e inizio novembre. Il caco vaniglia si riconosce subito: la sua forma è tonda e leggermente appiattita, la buccia sottile assume tonalità dal giallo-arancio al rosso intenso a seconda della maturazione, mentre la polpa, di colore ambrato o bruno-rossastro, è tenera, dolce e punteggiata da semi.
Nonostante il nome, la vaniglia non c’entra nulla con la botanica del frutto: l’appellativo deriva semplicemente dalle note aromatiche calde e rotonde che ricordano la celebre spezia, e che rendono questa varietà unica per profumo e delicatezza.
Un concentrato di energia e benessere
Dal punto di vista nutrizionale, il caco vaniglia è un piccolo scrigno di vitamine e sali minerali. In 150 grammi si trovano circa 105 calorie, fornite soprattutto da zuccheri naturali, ma bilanciate da un alto contenuto d’acqua e fibre. È ricco di vitamina C e betacarotene, precursore della vitamina A, che contribuisce alla salute di pelle e vista.
Studi condotti su varietà italiane di kaki (tra Lazio, Campania, Puglia e Sicilia) confermano la presenza di pectina e fibre solubili, sostanze che aiutano a regolare l’assorbimento degli zuccheri e a controllare i livelli di colesterolo nel sangue. Inoltre, il frutto fornisce potassio – circa 250 mg ogni 150 grammi – utile per il controllo della pressione arteriosa e per il corretto funzionamento dei muscoli.
Grazie al basso contenuto di sodio e all’effetto diuretico, i cachi vaniglia sono perfetti per contrastare la ritenzione idrica. Tuttavia, chi soffre di diabete o segue regimi alimentari controllati dovrebbe consumarli con moderazione, sempre dopo aver consultato il proprio medico o nutrizionista.
Un frutto che si gusta in ogni fase di maturazione
Una delle caratteristiche più apprezzate dei cachi vaniglia è la loro versatilità: possono essere mangiati sia sodi che morbidi, a seconda delle preferenze. A differenza dei cosiddetti “cachi tipo” (come il Loto di Romagna), che devono maturare in cassette per perdere l’astringenza dovuta ai tannini, i vaniglia sono commestibili appena raccolti.
Il segreto sta nell’impollinazione: nelle coltivazioni campane si piantano alberi maschili accanto a quelli femminili, così i frutti risultano naturalmente dolci e non “allappano”.
Quando sono più compatti, i cachi vaniglia sono perfetti in macedonie, yogurt, porridge o insalate autunnali. Se invece sono ben maturi, diventano ideali per frullati, dolci da forno o confetture profumate, magari da abbinare a formaggi stagionati o salumi per un contrasto agrodolce tipicamente mediterraneo.
Un simbolo d’autunno da riscoprire
Il caco vaniglia è molto più di un frutto stagionale: è un emblema della cultura contadina campana, un’eredità che racconta di terre fertili e di saperi antichi. Oggi sempre più aziende agricole lo coltivano secondo metodi sostenibili, preservando una varietà che rischiava di essere dimenticata.
Dolce, aromatico e benefico, questo frutto rappresenta una delle eccellenze italiane dell’autunno, capace di unire gusto e salute. Portarlo in tavola significa assaporare non solo la sua polpa vellutata, ma anche un pezzo autentico della tradizione agricola campana.
Cucina
Kombucha: l’antico tè fermentato che conquista il wellness contemporaneo
Amato dalle star e dagli appassionati di healthy living, il kombucha promette benefici digestivi e antinfiammatori. Tuttavia, non tutti i prodotti in commercio sono uguali: ecco cosa sapere prima di sceglierlo e come consumarlo in modo corretto.
Da qualche anno il kombucha è entrato nella lista dei superfood più trendy. A spingerlo sotto i riflettori non sono solo i Millennials – sempre più attenti all’alimentazione funzionale – ma anche celebrity come Madonna, Halle Berry e Gwyneth Paltrow, che lo hanno inserito nella loro routine quotidiana. Dietro il fascino esotico di questa bevanda, tuttavia, si nasconde una lunga storia millenaria e una base scientifica in parte ancora da approfondire.
Il kombucha è un tè nero o verde fermentato, leggermente dolce e frizzante, ottenuto grazie a una coltura simbiotica di batteri e lieviti, nota come Scoby (Symbiotic Colony of Bacteria and Yeast). È proprio questo “dischetto gelatinoso” a dare il via alla fermentazione, che trasforma lo zucchero in acidi organici, gas e piccole quantità di alcol, conferendo al kombucha il suo gusto particolare e le proprietà probiotiche.
Un tè antico, una moda moderna
Le origini del kombucha risalgono alla Cina del III secolo a.C., dove era considerato un “elisir di lunga vita”. La bevanda si diffuse poi in Russia e in Europa orientale all’inizio del Novecento, fino ad arrivare in Occidente come simbolo di benessere naturale.
Oggi la sua popolarità è legata al crescente interesse verso il microbiota intestinale, ossia l’insieme dei microrganismi che popolano l’intestino e influenzano non solo la digestione, ma anche il sistema immunitario e l’umore.
Secondo uno studio pubblicato nel 2021 su Critical Reviews in Food Science and Nutrition, il kombucha può favorire la proliferazione di batteri “buoni” come i Lactobacillus, utili per il corretto equilibrio intestinale e per la riduzione di infiammazioni lievi. Tuttavia, la comunità scientifica invita alla cautela: i benefici documentati sono ancora limitati e dipendono dalla qualità del prodotto e dalle abitudini alimentari individuali.
Benefici e nutrienti
Come ricorda la dottoressa Aarti Soorya, specialista in medicina funzionale al Grover Health and Wellness di Bloomfield Hills (Michigan), “il kombucha è una potenziale fonte di vitamine del gruppo B, vitamina C, polifenoli antiossidanti e minerali come ferro, manganese e rame”.
I principali effetti positivi attribuiti alla bevanda riguardano:
- il sostegno al microbiota intestinale e alla digestione;
- l’azione antiossidante e antinfiammatoria;
- un possibile effetto benefico su fegato e pressione arteriosa, grazie alla presenza di acidi organici e polifenoli.
Va però ricordato che il kombucha non è una bevanda “miracolosa”: i suoi benefici si manifestano solo all’interno di uno stile di vita equilibrato e di una dieta varia e bilanciata.
Come scegliere il kombucha giusto
Non tutti i kombucha sono uguali. Le versioni artigianali o tradizionali contengono solo tè, acqua, zucchero e Scoby, mentre molte bevande industriali includono aromi, succhi o zuccheri aggiunti per migliorarne il gusto.
Gli esperti consigliano di:
- leggere bene l’etichetta, preferendo prodotti con meno di 5 grammi di zucchero per bottiglia;
- scegliere kombucha in bottiglie scure, che proteggono i probiotici dalla luce;
- evitare versioni pastorizzate, che riducono la vitalità dei microrganismi benefici.
Un kombucha di buona qualità ha un gusto leggermente acidulo e frizzante, ma non deve risultare troppo dolce o alcolico.
Attenzione alle quantità e alle controindicazioni
Come il tè, il kombucha contiene teina, quindi può interferire con il sonno se bevuto la sera. La fermentazione produce anche tracce di alcol (fino al 2%), motivo per cui la bevanda non è consigliata ai bambini o a chi deve evitarlo del tutto.
Chi lo prova per la prima volta dovrebbe iniziare con piccole dosi, per permettere all’organismo di adattarsi ai nuovi microrganismi. Un consumo eccessivo o troppo rapido può provocare gonfiore o lievi disturbi digestivi.
Un sorso di equilibrio
Tra antiche tradizioni orientali e nuove tendenze salutiste, il kombucha rappresenta il punto d’incontro tra cultura del benessere e fermentazione naturale. Non è una pozione magica, ma un tassello in più per chi cerca un modo sano – e un po’ frizzante – di prendersi cura del proprio corpo.
In fondo, come per ogni abitudine salutare, il segreto sta nell’equilibrio: una tazza di kombucha, sì, ma accompagnata da una dieta consapevole e un pizzico di buon senso.
Cucina
Torta alle noci: il dolce rustico che profuma d’autunno
Dalla tradizione contadina arriva una ricetta semplice e nutriente, dove le noci — ricche di omega 3 e minerali — diventano protagoniste assolute. Ecco come prepararla passo passo, con qualche consiglio per varianti più leggere o ancora più golose.
Il gusto autentico della semplicità
Tra i dolci “da credenza” più amati, la torta alle noci è una coccola perfetta per la stagione fredda. Un impasto morbido e fragrante, preparato con pochi ingredienti genuini, che racchiude tutto il profumo dei frutti autunnali.
Originaria delle zone appenniniche dove le noci erano facilmente reperibili, questa torta era spesso servita nelle case di campagna come dessert delle feste, o a colazione con una tazza di latte appena munto.
Oggi, è tornata protagonista grazie al suo equilibrio tra gusto rustico e dolcezza naturale. Le noci, oltre a regalare aroma e croccantezza, apportano grassi buoni, proteine vegetali, calcio e vitamina E. Un’ottima scelta per chi vuole concedersi un dolce fatto in casa senza rinunciare al benessere.
Ingredienti (per uno stampo da 22 cm)
- 180 g di farina 00
- 150 g di noci sgusciate
- 120 g di burro morbido (oppure 80 ml di olio di semi per una versione light)
- 130 g di zucchero di canna
- 3 uova
- 8 g di lievito per dolci
- 1 cucchiaino di cannella in polvere
- 1 pizzico di sale
- Zucchero a velo q.b. per la decorazione
Per una variante più golosa, puoi aggiungere 50 g di gocce di cioccolato fondente o farcire la torta con crema al mascarpone.
Per una versione più leggera, sostituisci lo zucchero con eritritolo o dolcificante naturale e riduci la quantità di burro.
Procedimento
- Prepara le noci: sguscia i gherigli e frullali a impulsi in un mixer fino a ottenere una granella fine ma non oleosa.
- Monta il burro con lo zucchero (o l’olio con lo zucchero se preferisci la variante light) fino a ottenere una crema chiara e soffice.
- Incorpora le uova, una alla volta, continuando a montare finché l’impasto risulta omogeneo.
- Aggiungi le noci tritate e mescola delicatamente con una spatola per distribuirle in modo uniforme.
- Profuma con la cannella e unisci la farina setacciata con il lievito e un pizzico di sale. Amalgama fino a ottenere un composto cremoso ma non liquido.
- Versa l’impasto in uno stampo da 22 cm rivestito con carta da forno e livella la superficie.
- Cuoci in forno statico preriscaldato a 180°C per circa 40 minuti. Verifica la cottura con uno stecchino: se esce asciutto, la torta è pronta.
- Lascia raffreddare completamente, poi spolverizza con zucchero a velo prima di servire.
Quando e come gustarla
La torta alle noci è un dolce che sa di casa: ottima a colazione con una bevanda calda o a merenda, accompagnata da un tè speziato o una tisana al miele. Servita con panna montata o crema alla vaniglia, si trasforma in un dessert raffinato per il dopocena.
Grazie alla sua consistenza umida, si conserva perfettamente per 3–4 giorni sotto una campana di vetro, mantenendo intatto tutto il suo profumo.
Un piccolo segreto
Per un sapore ancora più intenso, tosta leggermente le noci in padella per pochi minuti prima di tritarle: rilasceranno gli oli essenziali e daranno al dolce un aroma irresistibile.
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