Cucina
Valerio Braschi di Masterchef apre un ristorante nel cuore di Milano
Il vincitore di Masterchef 2017, già attivissimo professionalmente, si appresta ad una nuova sfida con un ristorante nel centro iconico della metropoli meneghina, insieme ad altri rinomati colleghi.
 
																								
												
												
											Valerio Braschi, vincitore della sesta edizione di MasterChef Italia , apre un nuovo locale a Milano: sembra che la location sia spettacolare! In un settore come quello della ristorazione in continua evoluzione, dove la novità e l’innovazione rappresentano gli ingredienti chiave per il successo, la scena milanese – sempre attenta e propositiva – si appresta a vivere un nuovo capitolo.
Lasciando il Vibe
Valerio Braschi, vincitore della versione 2017 di Masterchef, dopo una breve ma intensa esperienza al comando del ristorante Vibe (in una zona semicentrale della metropoli lombarda), si prepara a salutare il locale che, nonostante gli inizi promettenti, ha cominciato a perdere slancio, prevedendo la chiusura nel novembre prossimo.
L’annuncio social
Naturalmente non si tratta di un addio ai fornelli, anzi… la notizia, pubblicata con un breve video su Instagram, annuncia grandi cose: “Perdonate la mia assenza dai social, ma ho deciso di prendere un po di tempo per me stesso, prima di iniziare una nuova grandissima avventura. Mai avrei creduto di poter arrivare qui. Ringrazio tutte le persone che hanno creduto in me e che ogni giorno mi sostengono. A breve vi sveleró una notizia incredibile. Il duro lavoro, l’impegno, il sudore e la costanza portano sempre a grandi risultati!”.
L’indizio prestigioso
Braschi ha poi fornito un “indizio” mostrando l’iconica piazza Duomo… e pochi giorni dopo è arrivata la conferma! Il giovane romagnolo si trasferirà nel cuore pulsante di Milano, in piazza Duomo, dove prenderà le redini di un nuovo ristorante situato nel prestigioso contesto del numero 21. Lì, condividerà le proprie invenzioni culinarie a quelle di altri rinomati chef, in uno spazio che già ospita eccellenze della cucina e dell’ospitalità.
Nel cuore della pulsante metropoli
Questa transizione non rappresenta solo un mero cambio di location, ma simboleggia anche un’escalation per Braschi in termini di immagine e prestigio, proiettandolo in uno degli indirizzi più iconici della città.
Sperimentatore coraggiosissimo
L’ascesa del giovane chef nel panorama gastronomico italiano non si ferma qui. Già notato per le sue partecipazioni audaci e talvolta provocatorie a Masterchef, il giovane chef ha continuato a far parlare di sé, prima a Roma e poi con l’avventura del Vibe a Milano. La sua indole a sperimentare e a osare – spesso spingendosi davvero al limite del normalmente consentito – ha dimostrato che il suo talento va oltre la mera realizzazione di piatti… ma mostrando un’attitudine a riformulare la cucina in modo nuovo e sorprendente.
Tradizione e innovazione, i due piani paralleli
In questa nuova avventura professionale, Braschi si gioca la riconferma ad uno dei nomi più interessanti della nuova generazione di chef di casa nostra, proseguendo con coerenza il dialogo tra innovazione e tradizione, che caratterizza da sempre il suo approccio alla cucina. Un elemento distintivo del suo lavoro.
INSTAGRAM.COM/LACITYMAG
Cucina
Pollo alla romana, la coccola d’autunno che profuma di stufa accesa e domeniche lente
Un piatto nato nelle campagne laziali e ormai simbolo delle tavole romane. Niente fronzoli, solo ingredienti semplici e genuini che cuociono piano, riempiendo la casa di profumi avvolgenti e di quella sensazione di famiglia che solo l’autunno sa riportare.
 
														La tradizione che scalda anche il cielo grigio
Novembre chiede stoviglie pesanti, pentole capienti e piatti che sembrano abbracci. Il pollo alla romana è questo: memoria, intimità e l’odore di qualcosa che cuoce piano mentre fuori la città rallenta sotto la pioggia. Non è un piatto da trattoria turistica, ma da casa vera, di quelle dove il tempo si prende e non si rincorre. Ogni famiglia romana ha la sua versione, e ognuna giura che sia la migliore.
Ingredienti semplici, sapore enorme
La forza di questa ricetta è la sua essenzialità. Un pollo tagliato a pezzi, peperoni carnosi — sì, anche in autunno: basta sceglierli ben maturi o usare quelli conservati “alla romana” — pomodori pelati, vino bianco, aglio, olio, sale e pepe. Una foglia di alloro, erbe fresche e pazienza.
Ingredienti per 4 persone:
1 pollo in pezzi 
3 peperoni rossi e gialli
400 g di pomodori pelati
1 spicchio d’aglio
1/2 bicchiere di vino bianco
olio extravergine d’oliva
alloro
sale
pepe
basilico o prezzemolo.
La cottura lenta è la vera ricetta
Si comincia rosolando il pollo in padella larga, lasciandolo dorare bene: è questo che regala quel sapore pieno e rotondo. Si sfuma con il vino bianco, si lascia evaporare e nel frattempo i peperoni vengono fatti appassire a parte con l’aglio. Poi tutto insieme, fuoco basso, pomodoro e alloro. E via, a sobbollire piano, mentre la cucina si riempie di un aroma che sa di sera che scende presto, pioggia che batte ai vetri e famiglia che si raccoglie.
Quando il sugo si stringe e la carne diventa tenera, basta un ultimo gesto: un ciuffo di basilico — o prezzemolo, più autunnale — e un pane rustico pronto a farsi complice.
Il pollo alla romana non si presenta, si serve. E ogni forchettata ricorda che un piatto, quando nasce dalla terra e dall’attesa, non ha stagione: ha solo cuore.
Cucina
Il budino viola che profuma d’autunno: il budino di uva nera, due ingredienti e tanta poesia per un dessert leggero e irresistibile
Dalla tradizione contadina arriva un dessert scenografico e leggero. Il budino di uva nera Solarelli conquista per il suo colore intenso, la texture vellutata e il gusto pulito. Una ricetta essenziale che trasforma la frutta di stagione in una dolcezza viola brillante, perfetta dopo cena e impossibile da dimenticare.
 
														Il dolce che nasce dalla terra
In un panorama di dessert elaborati, creme ricche e glassature lucide, il budino di uva nera è una carezza. È la prova che a volte bastano due ingredienti e un po’ di pazienza per ottenere qualcosa di unico. Il segreto è tutto nella frutta: uva nera senza semi Solarelli, raccolta al giusto grado di maturazione, succosa, profumata e naturalmente dolce. È un dolce della tradizione rurale, nato quando in cucina si lavorava con ciò che la natura offriva, senza sprechi e con lentezza. Il risultato è un budino che non chiede zucchero, panna o gelatine: solo il succo dell’uva e una piccola quantità di farina per addensare. Novembre lo accoglie alla perfezione: è viola profondo, ricorda il vino novello e profuma di vendemmia.
L’arte della semplicità: la cottura lenta dell’uva
La prima fase è quasi meditativa. I grappoli si lavano, si sgrana l’uva e si raccolgono gli acini in un tegame capiente. La fiamma è bassa, il tempo è lento: due ore circa perché gli acini rilascino lentamente tutto il loro succo. Durante la cottura si schiacciano con cura, così ogni goccia diventa parte del dolce. Il passaggio successivo è il più importante: filtrare il succo con un colino per eliminare bucce e residui, lasciando soltanto un liquido liscio e intenso, che ritorna in casseruola per la trasformazione finale. Il profumo che invade la cucina è già dessert: dolce, vinoso, leggermente floreale.
Dal fuoco allo stampo: nasce il budino
Quando il succo è pronto, si aggiunge gradualmente la farina, mescolando fino a ottenere una consistenza densa ma ancora scorrevole. La miscela torna sul fuoco, dove ribolle appena per due o tre minuti, mescolata senza sosta con una frusta. È una danza breve ma essenziale: il liquido prende corpo, si addensa, brilla. Poi arriva la parte più bella, quella domestica e affettiva: versarlo in uno stampo e lasciarlo raffreddare, prima a temperatura ambiente e poi in frigorifero per circa tre ore. Quando si sforma, il budino appare lucido, morbido, con una tonalità viola che sembra rubata a un cielo d’autunno al tramonto. Fresco, leggero, naturalmente dolce. Perfetto da solo, magnifico con una cucchiaiata di yogurt bianco o un filo di miele di castagno per chi vuole una nota più golosa.
È un dolce che parla piano. E proprio per questo conquista.
Cucina
Tiramisù, la vera ricetta del dolce italiano più amato nel mondo
Nato tra Veneto e Friuli negli anni ’60, il tiramisù è oggi un’icona della pasticceria italiana. Pochi ingredienti, nessuna panna e una regola d’oro: rispetto assoluto per le uova fresche e il caffè espresso.
 
														Ci sono dolci che si raccontano da soli, e il tiramisù è uno di questi. Nato da una manciata di ingredienti semplici — uova, mascarpone, savoiardi, zucchero e caffè — è diventato in pochi decenni un simbolo mondiale dell’Italia golosa. Il suo nome, “tirami su”, è già una promessa: energia, dolcezza, conforto.
Sulla paternità del dolce si discute da anni. C’è chi lo attribuisce a Treviso, dove nel 1969 il ristorante Le Beccherie ne avrebbe servito la prima versione, e chi giura che sia nato a Tolmezzo, in Friuli. In ogni caso, il segreto è uno: semplicità assoluta.
Per la ricetta originale bastano sei tuorli d’uovo, 120 grammi di zucchero, 500 grammi di mascarpone freschissimo, savoiardi e caffè espresso non zuccherato. Si montano i tuorli con lo zucchero fino a ottenere una crema chiara e spumosa, poi si incorpora delicatamente il mascarpone. Niente panna, niente albumi montati: il tiramisù vero si regge sulla setosità del mascarpone e sulla forza del caffè.
I savoiardi si inzuppano rapidamente, mai troppo, nel caffè freddo, per evitare che si sfaldino. Si alternano strati di biscotti e crema, chiudendo con uno strato abbondante di crema e una spolverata generosa di cacao amaro. Il riposo in frigorifero per almeno quattro ore è fondamentale: solo così i sapori si fondono e il dolce raggiunge la sua perfetta armonia.
C’è chi aggiunge un goccio di Marsala o di rum per profumare la crema, ma il tiramisù tradizionale ne fa a meno. È il contrasto tra l’amaro del caffè e la dolcezza del mascarpone a creare la magia.
Nel tempo sono nate infinite varianti — al pistacchio, alle fragole, al limone — ma nessuna ha mai superato l’originale. Perché il tiramisù non è solo un dolce: è una carezza fredda, un rituale domestico, un pezzo d’Italia servito in coppetta.
E ogni cucchiaino, anche dopo decenni, mantiene la stessa promessa: tirarti su, davvero.
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