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Curiosità

Google, ma è davvero un bene avere un partner così impiccione?

Scopriamo come il motore di ricerca ha rivoluzionato l’accesso al sapere, ma affronta anche le preoccupazioni sulla privacy e la diffusione di disinformazione. Impariamo l’importanza del pensiero critico e dell’uso consapevole di Google per proteggere la nostra privacy online.

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    Trovalo su Google!
    È ironia o autoriflessione? Il gigante continua a impattare sulle nostre vite da ¼ di secolo. Dopo l’enciclopedia e la biblioteca, ora pensiamo solo attraverso l’uso del web che ci fornisce risposte immediate. Accesso immediato alla conoscenza. Sì, immediato. Troviamo tutte le risposte e i significati sul motore di ricerca più evoluto al mondo in meno di un secondo. Digitiamo o pronunciamo parole e frasi, cerchiamo risposte, informazioni, comunichiamo, lavoriamo e persino pensiamo con Google.

    Teorie, privacy e disinformazione
    Prima di Google, le risposte erano più difficili da trovare, spesso richiedendo una visita in biblioteca o il consulto di pesanti volumi enciclopedici. Oggi, con una semplice ricerca su Google, è possibile accedere a una vasta quantità di informazioni su qualsiasi argomento in pochi istanti. Tuttavia, mentre Google offre una piattaforma conveniente per accedere alla conoscenza, sorgono alcune preoccupazioni, in particolare riguardo alla privacy e alla diffusione di disinformazione, comprese le teorie del complotto. È importante notare che la presenza di teorie del complotto su Google non implica che siano verificate o accurate. Molte di queste teorie possono essere dannose e prive di evidenze, alimentando la disinformazione e la paranoia.

    E Google che fa?
    Google cerca di bilanciare la sua missione di fornire accesso a una vasta gamma di informazioni con il dovere di combattere la disinformazione. Ad esempio, utilizza algoritmi per identificare e segnalare fonti di informazioni non affidabili e privilegia fonti autorevoli nei risultati di ricerca. Tuttavia, la lotta contro la disinformazione online è una sfida in continua evoluzione, e alcune teorie del complotto possono ancora trovare spazio nei risultati di ricerca di Google.

    Vale il buonsenso
    È fondamentale che gli utenti esercitino il pensiero critico e valutino attentamente le fonti di informazioni trovate online, soprattutto riguardo ad argomenti controversi. Infine, è importante utilizzare Google in modo consapevole e responsabile, tenendo conto dei suoi vantaggi e svantaggi. Sviluppare abilità di pensiero critico è essenziale per valutare le informazioni trovate su internet e proteggere la propria privacy online.

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      Curiosità

      Quel respiro profondo che svela chi siamo: lo studio che legge il carattere dal respiro

      Gli schemi respiratori di ciascuno sono unici e possono rivelare ansia, depressione e perfino tratti della personalità.

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        Il modo in cui respiriamo potrebbe dire molto di più su di noi di quanto pensiamo. Secondo uno studio pubblicato su Current Biology, gli scienziati del Weizmann Institute of Science in Israele hanno scoperto che ogni individuo ha una sorta di “impronta digitale del respiro”, unica come le impronte digitali, e che può rivelare dettagli sulla salute fisica ed emotiva. Utilizzando un dispositivo indossabile leggero, i ricercatori hanno monitorato il flusso d’aria nasale di 100 volontari per 24 ore consecutive, raccogliendo dati sulle loro variazioni respiratorie durante le attività quotidiane e il sonno. Con una precisione del 96,8%, il team ha dimostrato che è possibile identificare una persona solo in base al suo schema respiratorio.

        La mente rivela il respiro o il respiro modifica la mente?

        Ma il dettaglio più intrigante della ricerca riguarda il legame tra respirazione e stato mentale. Gli studiosi hanno notato che i partecipanti con livelli più alti di ansia tendevano ad avere inspirazioni più brevi e una maggiore variabilità tra un respiro e l’altro, specialmente di notte. Inoltre, la respirazione sembra essere strettamente collegata al peso corporeo, al ritmo sonno-veglia e ai tratti comportamentali. Ciò che sorprende è l’inversione di prospettiva. Normalmente si pensa che stress, ansia o depressione influenzino il modo di respirare, ma il team israeliano suggerisce che potrebbe essere il contrario. E se il modo in cui respiriamo contribuisse a generare stati emotivi negativi? Se fosse così, imparare a regolare il proprio schema respiratorio potrebbe diventare un nuovo metodo per migliorare il benessere mentale, con implicazioni che potrebbero rivoluzionare la psicologia e la medicina.

        Gli studiosi stanno già testando questa ipotesi. Modificando consapevolmente il proprio modo di respirare, potrebbe essere possibile ridurre ansia e depressione, aprendo nuove strade nella terapia del benessere psicologico.

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          Curiosità

          Tu lo sai che cos’è la plant blindness? Un fenomeno sottovalutato

          La plant blindness è un fenomeno sottovalutato ma significativo. Riconoscerlo e affrontarlo è essenziale per garantire la conservazione della biodiversità, la salute degli ecosistemi e il benessere delle generazioni future.

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            La plant blindness, o “cecità botanica”, è un termine coniato dai botanici James Wandersee ed Elisabeth Schussler nel 1998. Si riferisce all‘incapacità delle persone di vedere o riconoscere le piante nel loro ambiente quotidiano. Questo fenomeno non è legato a problemi di vista, ma piuttosto a una mancanza di consapevolezza e apprezzamento delle piante e del verde che ci circonda. Le persone affette da plant blindness tendono a ignorare le piante, considerando il mondo naturale principalmente attraverso l’interazione con gli animali e altri esseri umani.

            Come si manifesta?

            La plant blindness si manifesta in vari modi, tra cui: la mancanza di riconoscimento. Molte persone non sono in grado di identificare le piante comuni nella loro area, distinguendo a malapena tra diversi tipi di alberi, fiori o erbe. La sottovalutazione del ruolo delle piante. La gente tende a non comprendere l’importanza ecologica delle piante, ignorando il loro ruolo cruciale nella produzione di ossigeno, nel ciclo del carbonio e come habitat per numerose specie animali. La mancanza di educazione. Nei programmi scolastici, la botanica riceve spesso meno attenzione rispetto alla zoologia, portando a una generale mancanza di conoscenza delle piante tra i giovani. I media e le pubblicazioni scientifiche tendono a concentrarsi più sugli animali che sulle piante, alimentando questa tendenza a ignorare il mondo vegetale.

            Quali sono gli effetti negativi della plant blindness

            La plant blindness può avere una serie di conseguenze negative, sia per l’ambiente che per la società. L’incapacità di riconoscere e apprezzare le piante può portare a una diminuzione degli sforzi verso la conservazione delle stesse. Senza una consapevolezza diffusa dell’importanza delle piante, le politiche ambientali e le iniziative di conservazione potrebbero trascurare la protezione degli habitat vegetali. Esiste poi un problema legato al declino della salute degli ecosistemi. Le piante sono fondamentali per il funzionamento degli ecosistemi. Ignorarle può compromettere la salute degli ecosistemi stessi, influenzando negativamente il ciclo dei nutrienti, la qualità dell’aria e dell’acqua e la stabilità del suolo.

            Si perdono le conoscenze tradizionali

            In molte culture, la conoscenza delle piante è profondamente radicata nelle pratiche tradizionali di medicina, cucina e artigianato. La plant blindness può portare alla perdita di queste preziose conoscenze, che rischiano di scomparire con il passare delle generazioni. Inoltre la mancanza di interesse per la botanica può ridurre il numero di studenti e ricercatori che si dedicano a questa disciplina. Questo può rallentare i progressi scientifici in settori come l’agricoltura sostenibile, la biotecnologia vegetale e la conservazione delle specie vegetali.

            Come contrastare la plant blindness

            Per contrastare la plant blindness, è necessario un cambiamento culturale ed educativo partendo proprio dalla scuola. Sarebbe utile poter integrare la botanica nei programmi scolastici fin dalle prime fasi dell’istruzione, promuovendo attività pratiche che coinvolgano direttamente gli studenti con le piante. Inoltre, ma questo già avviene, sarebbe utile promuovere documentari, articoli e programmi televisivi che mettano in risalto l’importanza delle piante e la loro bellezza. Oppure organizzare eventi di comunità come passeggiate botaniche, workshop di giardinaggio e mostre di piante per stimolare l’interesse e la consapevolezza delle persone verso il mondo vegetale.

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              Curiosità

              Il caffè del mattino: bisogno biologico o solo un’abitudine ben aromatica?

              Una tazzina appena svegli è un rito per milioni di persone, ma siamo davvero dipendenti dalla caffeina o è solo un condizionamento?

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                Il caffè del mattino è una certezza assoluta per molti. Per alcuni è un bisogno imprescindibile, senza il quale la giornata sembra partire con il freno a mano tirato. Per altri, è semplicemente un gesto familiare, un rito sociale che segna il confine tra il sonno e la veglia. Ma quanto ci serve davvero?

                Secondo gli esperti, la caffeina ha un effetto stimolante reale sul nostro corpo e sulla nostra mente. A livello biologico, una tazzina può migliorare la concentrazione, aumentare la prontezza mentale e dare quella spinta necessaria per affrontare impegni e responsabilità. Durante la notte, infatti, si accumula adenosina, un neurotrasmettitore che favorisce il rilassamento. La caffeina ne blocca i recettori, creando quella sensazione di energia e vigilanza che i più considerano essenziale per partire con il piede giusto.

                Il cortisolo che non ci molla mai…

                Detto questo, i ricercatori spiegano che la necessità del caffè appena svegli è spesso più psicologica che fisica. Il nostro organismo ha un picco naturale di cortisolo tra le 8 e le 9 del mattino, quindi l’effetto energizzante del caffè può essere più un’abitudine che un vero bisogno. Insomma, ci piace pensare di averne bisogno, ma molte volte potremmo farne a meno senza grandi conseguenze.

                Toglietemi tutto ma non il mio caffè

                C’è poi l’aspetto sensoriale e psicologico: l’aroma del caffè, il calore della tazza tra le mani, quel primo sorso che sa di giornata appena iniziata. Tutto questo stimola il rilascio di dopamina, rendendo il rituale ancora più piacevole. Anche il condizionamento sociale gioca un ruolo importante: il caffè è spesso associato a pause, incontri e piccoli momenti di relax, il che contribuisce a radicarlo nella nostra routine.

                Attenzione, però: la caffeina può creare una certa dipendenza

                Il corpo si abitua e, con il tempo, la stessa dose ha effetti meno intensi. Se si prova a eliminarla bruscamente, possono comparire sintomi da astinenza come mal di testa, irritabilità e sonnolenza. Niente di drammatico, ma sicuramente fastidioso. Quindi, il caffè è davvero necessario al mattino? Dipende. Se lo beviamo solo per il piacere di farlo, possiamo stare tranquilli. Se invece ci accorgiamo che senza di lui non riusciamo a carburare, forse siamo più dipendenti di quanto pensiamo. La verità è che il caffè, più che un bisogno, è diventato un rituale rassicurante, una pausa di benessere prima di tuffarsi nella giornata. E visto che la scienza dice che un consumo moderato fa bene, tanto vale goderselo senza troppi sensi di colpa. L’unico problema? Ricordarsi di non berlo troppo tardi, se si vuole dormire bene la notte!

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