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Curiosità

I Greci? Si sentono quelli con più cultura…almeno nella loro testa

La ricerca del Pew Research Centre ci offre uno spaccato interessante sulle diverse percezioni che i popoli europei hanno della propria cultura. Mentre alcuni, come i greci, esibiscono un orgoglio nazionale smisurato, altri preferiscono adottare un atteggiamento più umile. Ma al di là dei numeri, è importante ricordare che la cultura è un patrimonio complesso e sfaccettato, che non può essere ridotto a semplici classifiche-

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    Una ricerca realizzata dal Pew Research Centre ha svelato un dato sorprendente: l’89% dei greci crede che la propria cultura sia superiore a quella di qualsiasi altra nazione. Un primato assoluto che lascia tutti a bocca aperta. Ma cosa c’è dietro questo dato che in apparenza sembra sconcertante, ma che poi in fondo non lo è del tutto? Prima di spiegare le ragioni che spingono i Greci a pensarsi superiore agli altri popoli almeno in Europa, (quella a 27 stati) è giusto spiegare che il Pew Research Centre è un centro studi statunitense con sede a Washington che fornisce informazioni su problemi sociali, opinione pubblica, andamenti demografici sugli Stati Uniti ed il mondo in generale. Insomma una miniera di dati. Su qualsiasi argomento. E su questi dati molti altri creano ricerche ad hoc. A volte su commissione, a volte astruse, a volte per curiosità e a volte per giocare. Ma a che scopo? Per realizzare classifiche.

    Una classifica tira l’altra

    Eh sì perché al mondo ci sono milioni di persone a cui le classifiche piacciono tanto. Ci giocano. Realizzano veri e propri campionati prendendo come partecipanti le cose più astruse come, per esempio, le bandiere degli Stati, i simboli – di qualsiasi genere -, le squadre di calcio, gli atleti. Va bene di tutto purché si possa sviluppare una competizione e alla fine si possa stilare una classifica. Per capire chi è il migliore, chi è l’ultimo, chi avanza e chi indietreggia. Inoltre ci sono molti blogger esperti che utilizzano i milioni di dati disponibili suo web per creare a loro volta altri siti web, giornali, fanzine, infarciti di curiosità dal mondo. E d’altra parte con quello che passa il convento della vita reale, con tutti i suoi guai facciamoli giocare a qualcosa. O no?

    Identità e orgoglio nazionale

    Ritornando alla classifica dei popoli che pensano di avere una cultura superiore a quella di altre nazioni è assolutamente comprensibile che un popolo con un passato glorioso come quello greco cerchi di proteggere la propria identità. E il proprio orgoglio nazionale. Soprattutto dopo le tante difficoltà economiche che hanno messo a dura prova il paese nel corso degli ultimi dieci anni. Ma affermare con così tanta sicurezza di essere culturalmente superiori al resto del mondo è davvero giustificato?

    Un passato glorioso, un presente… più incerto

    Non si può negare che l’antica Grecia abbia lasciato un’impronta indelebile sulla storia dell’umanità. Filosofi, artisti, scienziati: i greci ci hanno regalato un patrimonio inestimabile. Ma siamo sicuri che questo basti a giustificare una tale presunzione? Cosa hanno fatto i greci negli ultimi secoli per mantenere questo primato culturale?

    Tzatziki e rebetiko: un patrimonio culturale sufficiente?

    Certo, la cucina greca è deliziosa e il rebetiko è una musica affascinante. Ma sono davvero sufficienti a garantire alla Grecia un posto d’onore nel panorama culturale mondiale? E che dire della letteratura, della pittura, della scultura? A parte Nikos Kazantzakis, quanti grandi scrittori greci del Novecento possiamo citare?

    La Grecia non è sola

    La Grecia, però, non è sola in questa sua convinzione di superiorità culturale. Anche altri paesi dell’Europa orientale, come la Georgia (85%), l’Armenia (84%), la Bulgaria (69%), la Bosnia (68%), la Romania (66%) e la Serbia (65%), condividono questa opinione. Ma cosa spinge questi popoli a credere così fermamente nella superiorità della propria cultura?

    Correttezza politica e orgoglio nazionale

    La risposta potrebbe nascondersi dietro il concetto di correttezza politica. In molti paesi, ammettere di considerare la propria cultura superiore a quella degli altri è considerato maleducato e offensivo. Per questo motivo, molte persone preferiscono nascondere il proprio orgoglio nazionale dietro un velo di modestia. Ma nell’Europa orientale, l’orgoglio nazionale è ancora un valore molto sentito e viene espresso apertamente.

    E gli altri paesi?

    Mentre i greci e gli altri popoli dell’Europa orientale esibiscono il loro orgoglio nazionale senza remore, altri paesi sembrano più inclini all’autocritica. Gli italiani, ad esempio, sono famosi per la loro tendenza ad autodenigrarsi. Ma questa è davvero la loro opinione? O forse si tratta semplicemente di un modo per apparire più modesti?

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      Esiste una macchina per il trapianto di testa? Ecco un video shock

      Recentemente, su YouTube è apparso un video che ha lasciato il pubblico senza parole, mostrando una procedura di trapianto di testa. Il video, che ha rapidamente accumulato migliaia di visualizzazioni, presenta una sequenza dettagliata e inquietante di quello che sembra essere un trapianto di testa umana.

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        Recentemente, su YouTube è apparso un video che ha lasciato il pubblico senza parole, mostrando una procedura di trapianto di testa. Il video, che ha rapidamente accumulato migliaia di visualizzazioni, presenta una sequenza dettagliata e inquietante di quello che sembra essere un trapianto di testa umana. Tuttavia, è importante chiarire che si tratta soltanto di un concetto futuristico e non di una procedura realmente eseguita.

        Un concetto avanzato di BrainBridge, il trapianto di testa

        Il video virale si basa sul concetto di BrainBridge, il primo sistema integrato al mondo che combina robotica avanzata e intelligenza artificiale per eseguire trapianti di testa e viso. Questo sistema all’avanguardia, sebbene ancora teorico, offre una nuova speranza per i pazienti affetti da condizioni incurabili come il cancro allo stadio 4, la paralisi e le malattie neurodegenerative come l’Alzheimer e il Parkinson.

        Robotica e intelligenza artificiale al servizio della medicina

        BrainBridge rappresenta un’innovazione straordinaria nel campo della medicina. La tecnologia avanzata utilizzata nel concetto di BrainBridge include robot chirurgici ad alta precisione e algoritmi di intelligenza artificiale che analizzano dati in tempo reale per supportare i chirurghi. Questo sistema mira a realizzare operazioni con una precisione ineguagliabile, riducendo al minimo il rischio di errori umani.

        Reazioni del pubblico

        Il video ha suscitato reazioni contrastanti tra gli spettatori. Mentre alcuni sono affascinati dalle possibilità offerte dalla tecnologia medica avanzata, altri sono preoccupati per le implicazioni etiche e morali di un trapianto di testa. La visione di una procedura così radicale, anche se solo concettuale, ha scatenato un dibattito acceso sui limiti della scienza e della medicina.

        Il futuro della chirurgia?

        Sebbene il video su YouTube mostri un trapianto di testa come se fosse una realtà imminente, è fondamentale ricordare che al momento si tratta solo di un’idea teorica. BrainBridge è ancora in fase di sviluppo e potrebbe passare molto tempo prima che una procedura del genere possa essere realmente eseguita. Tuttavia, la sua esistenza come concetto stimola la discussione su ciò che potrebbe essere possibile in futuro grazie alla continua evoluzione della tecnologia medica.

        Il video scioccante di un trapianto di testa su YouTube ha sicuramente catturato l’attenzione del pubblico globale. Sebbene attualmente si tratti solo di un concetto avanzato rappresentato da BrainBridge, esso apre le porte a un futuro in cui la robotica e l’intelligenza artificiale potrebbero rivoluzionare la chirurgia e la medicina rigenerativa. Fino ad allora, continueremo a esplorare i limiti della scienza e a discutere le sue potenziali applicazioni.

        Ricordiamo che poco fa, Elon Musk ha annunciato che Tesla, negli sviluppi futuri dell’azienda rientrerebbe la realizzazione di robot umanoidi oltre che di veicoli.

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          “Dolcetto o scherzetto?” – La vera storia dietro la tradizione di Halloween

          Da rito celtico a festa globale, il viaggio secolare di una delle usanze più amate (e fraintese) del 31 ottobre

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          Halloween

            “Dolcetto o scherzetto?” È la frase che ogni anno, la notte del 31 ottobre, risuona nei quartieri di mezzo mondo. Bambini travestiti da streghe, fantasmi e supereroi vanno di casa in casa alla ricerca di caramelle, in una delle tradizioni più riconoscibili di Halloween. Ma da dove nasce davvero questa usanza? E come si è trasformata da rito pagano a fenomeno globale di costume?

            Le origini: Samhain, la notte in cui il velo si assottiglia

            Tutto inizia molto prima della comparsa di zucche e costumi, nell’antica Irlanda celtica, oltre duemila anni fa. I druidi celebravano Samhain, il capodanno celtico che segnava la fine dell’estate e l’inizio della stagione oscura. Si credeva che, in quella notte, il confine tra il mondo dei vivi e quello dei morti si assottigliasse, permettendo agli spiriti di tornare sulla terra.
            Per tenere lontane le anime maligne, le persone accendevano fuochi sacri, lasciavano offerte di cibo davanti alle porte e indossavano maschere spaventose per confondere gli spiriti.

            Dalla superstizione alla religione

            Con l’avvento del cristianesimo, la Chiesa cercò di sostituire le antiche feste pagane con ricorrenze religiose: così, nel IX secolo, il 1° novembre divenne la festa di Ognissanti (All Hallows’ Day) e la notte precedente “All Hallows’ Eve”, da cui deriva il nome Halloween.
            La pratica di lasciare offerte ai defunti sopravvisse, ma si trasformò gradualmente: i poveri andavano di casa in casa chiedendo “soul cakes”, piccoli dolci in cambio di preghiere per le anime dei defunti. Era una sorta di “proto-trick or treat”, diffusa soprattutto in Inghilterra e Irlanda.

            L’approdo in America e la nascita del “trick or treat”

            Furono gli immigrati irlandesi e scozzesi, nell’Ottocento, a portare la tradizione di Halloween negli Stati Uniti. Qui, le usanze europee si fusero con la cultura americana, trasformandosi in un’occasione festosa più che spirituale.
            Nel primo Novecento, il “trick or treat” (letteralmente “scherzetto o dolcetto”) cominciò a comparire nei giornali e nelle scuole come modo per tenere i giovani lontani dai vandalismi tipici di quella notte. La frase minacciava scherzi in caso di rifiuto, ma divenne presto un gioco innocente e comunitario, consolidandosi dopo la Seconda guerra mondiale, quando lo zucchero tornò disponibile e i dolci divennero parte integrante della festa.

            Dalla zucca alle vetrine globali

            La Jack O’ Lantern, la zucca intagliata con un volto e illuminata da una candela, arriva sempre dall’Irlanda, dove si usavano inizialmente rape o barbabietole. La leggenda di Jack, l’avaro che ingannò il diavolo e fu condannato a vagare con una lanterna fatta di ortaggio, divenne il simbolo della notte più spettrale dell’anno. Negli Stati Uniti, le zucche arancioni, più grandi e facili da scavare, presero il suo posto e contribuirono a definire l’immaginario di Halloween.

            Halloween oggi: tra folklore e consumismo

            Oggi Halloween è una festa globale, celebrata in oltre 30 Paesi e con un impatto economico miliardario. Solo negli Stati Uniti, nel 2024, si sono spesi più di 12 miliardi di dollari in costumi, decorazioni e dolciumi, secondo la National Retail Federation.
            Anche in Italia la tradizione ha preso piede, soprattutto tra i più giovani, diventando un mix di folklore anglosassone e creatività locale. Nonostante alcune critiche legate alla commercializzazione, resta un’occasione per condividere divertimento, fantasia e — perché no — un pizzico di paura.

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              Fotografato nudo da Google Street View: poliziotto argentino vince la causa e ottiene un risarcimento

              Secondo i giudici argentini, la privacy dell’uomo è stata violata in modo palese: Google dovrà risarcirlo con 12.500 dollari. Decisivo il fatto che fosse all’interno della sua proprietà, protetta da un alto muro.

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              Google Street View

                Era un giorno come tanti nel 2017, quando un poliziotto argentino, in un momento di relax nel giardino di casa sua, fu immortalato nudo dalle telecamere mobili di Google Street View. L’immagine, sfuggita alle consuete procedure di oscuramento automatico, mostrava l’uomo completamente nudo dietro un muro di oltre due metri, nel cortile privato della sua abitazione. Il caso, inizialmente trascurato, si è trasformato in un lungo iter giudiziario che ha ora trovato la sua conclusione: Google dovrà risarcire l’uomo con 12.500 dollari.

                La vicenda è emersa quando la foto ha iniziato a circolare online, accompagnata dal nome della via e dal numero civico, elementi ben visibili nell’inquadratura. La combinazione di questi dati ha reso l’uomo facilmente identificabile, esponendolo al ridicolo tra colleghi e residenti del piccolo centro in cui vive.

                In un primo momento, un tribunale aveva respinto il ricorso del poliziotto, ritenendo che fosse stato lui a comportarsi in modo inappropriato nel proprio giardino. Ma la Corte d’Appello ha ribaltato la sentenza, stabilendo che non si trattava di uno spazio pubblico. Bensì privato e protetto da una barriera “più alta della media umana”. L’inquadratura è stata quindi definita come una “palese invasione della privacy”.

                La corte ha evidenziato anche una falla nei protocolli di Google, che solitamente sfoca i volti e le targhe. “In questo caso non si trattava di un volto, ma dell’intero corpo nudo di una persona, un’immagine che avrebbe dovuto essere evitata con ogni mezzo”, si legge nella sentenza.

                Assolte invece da ogni responsabilità la compagnia telefonica Cablevision SA e il sito di notizie El Censor, che avevano rilanciato la foto.

                Il caso solleva nuove domande sull’equilibrio tra tecnologia e tutela della privacy, dimostrando che, anche nell’era del digitale, il diritto alla riservatezza rimane fondamentale.

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