Curiosità
Il cono gelato rende libere: i corsi per le ex detenute

E’ partito dall ICAM (Casa di Reclusione a Custodia Attenuata di San Vittore) di Milano il progetto nazionale “SI SOSTIENE in carcere” promosso da Soroptimist International d’Italia con la rinnovata partnership da parte di Fabbri 1905, per il reinserimento di detenute attraverso corsi professionali di gelateria artigianale. Successive prossime tappe del percorso formativo presso le sezioni femminili delle carceri di Genova, Vigevano, Milano Bollate, Mantova e Bologna. Per l’azienda Fabbri 1905 – storico marchio di sciroppi, marmellate, liquori e altri prodotti per gelatieri e pasticceri – si tratta di un nuovo tassello dell’impegno a favore delle pari opportunità e dell’imprenditorialità femminile.
Le potenzialità del settore
Pensare ad un futiro dopo il carcere grazie al gelato e poi costruirlo fattivamente, è il percorso offerto alle detenute di sei istituti penitenziari italiani grazie a questo progetto nato nel 2017, con l’obiettivo di favorire il loro reinserimento nella società attraverso competenze spendibili sul mercato del lavoro. Come appunto quelle in gelateria, particolarmente apprezzate non solo per le potenzialità in termini di occupazione ma anche per l’utilizzo del gelato all’interno dei menù quotidiani delle carceri.
Emanciparsi attraverso una professione
Chi esce dal carcere con un mestiere possiede molte più chance di “farcela”. In un rapporto curato dal Cnel, si legge che solamente il 2% dei detenuti che hanno avuto la possibilità di un inserimento professionale torna a commettere reati, contro una media che sfiora il 70%. Per le donne, poi, la conoscenza di una professione rappresenta un’ulteriore arma di emancipazione da condizioni di marginalità. Quelle che spesso finiscono per rappresentare una “gabbia” anche fuori dal carcere.
Alla fine del percorso un regolare attestato spendibile per lavorare
La prima tappa del percorso di formazione professionale in gelateria artigianale, tenuto da Rosa Pinasco, titolare di una gelateria di Genova e da 8 anni “ambassador” Fabbri 1905 e formatrice della scuola professionale internazionale Fabbri Masterclass, è partita lo scorso giugno da Milano. A Sa Vittore vivono detenute madri con i loro bambini (fino ai 6 anni), in cinque – tutte straniere – hanno partecipato al corso. Durante le tre giornate di formazione hanno appreso i fondamenti teorici e pratici del mestiere, con dimostrazioni per realizzare un gelato, dalle preparazioni delle basi bianche, basi frutta, vaniglia, variegato, nocciola, sorbetti, fino alla presentazione e porzionatura dei gelati con coni e coppette. Al termine del percorso le partecipanti hanno ricevuto un regolare attestato Fabbri Master Class, spendibile nel settore della ristorazione e della gelateria, aperto costantemente a nuove assunzioni, anche stagionali.
Il lavoro ti cambia
La docente Rosa Pinasco ha spiegato: “Si tratta di un’esperienza molto forte, che lascia il segno. All’inizio le ragazze sono partite in maniera piuttosto scettica, poi tutto è cambiato perché hanno capito che qualcuno stava investendo su di loro e si sono scoperte capaci di realizzare qualcosa di concreto. Un’allieva, in particolare, mi ha colpito: è partita apparentemente disinteressata, poi man a mano che le lezioni progredivano si è mostrata sempre più coinvolta. Alla fine del corso aveva imparato a memoria le ricette di 12 gusti, ma soprattutto era in grado di fare le proporzioni a mente meglio di me. Ha scoperto di avere un talento e questo ha cambiato radicalmente il suo modo di vedere le cose”.
Un sogno preciso: vendere il gelato a tutti i milanesi
Grazie alla macchina professionale donata dai due Club Soroptimist di Milano, le detenute d’ora in avanti prepareranno il gelato per i loro bambini, donando loro un momento di felicità e spensieratezza in un luogo così poco rassicurante. Ma il sogno è un altro: vendere il gelato fuori dal carcere, a tutti i milanesi, sfruttando la posizione centrale dell’ICAM e realizzando un piccolo punto vendita aperto al pubblico. Un preciso progetto di lavoro da attuare nei prossimi mesi.
I prossimi appuntamenti
Due gli appuntamenti per il prossimo mese di ottobre: dal 7 alla Casa di Reclusione di Milano Bollate e dal 28 alla Casa Circondariale di Mantova; si chiuderà infine l’anno scolastico dall’11 novembre alla Casa Circondariale di Bologna.
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Curiosità
Quel respiro profondo che svela chi siamo: lo studio che legge il carattere dal respiro
Gli schemi respiratori di ciascuno sono unici e possono rivelare ansia, depressione e perfino tratti della personalità.

Il modo in cui respiriamo potrebbe dire molto di più su di noi di quanto pensiamo. Secondo uno studio pubblicato su Current Biology, gli scienziati del Weizmann Institute of Science in Israele hanno scoperto che ogni individuo ha una sorta di “impronta digitale del respiro”, unica come le impronte digitali, e che può rivelare dettagli sulla salute fisica ed emotiva. Utilizzando un dispositivo indossabile leggero, i ricercatori hanno monitorato il flusso d’aria nasale di 100 volontari per 24 ore consecutive, raccogliendo dati sulle loro variazioni respiratorie durante le attività quotidiane e il sonno. Con una precisione del 96,8%, il team ha dimostrato che è possibile identificare una persona solo in base al suo schema respiratorio.
La mente rivela il respiro o il respiro modifica la mente?
Ma il dettaglio più intrigante della ricerca riguarda il legame tra respirazione e stato mentale. Gli studiosi hanno notato che i partecipanti con livelli più alti di ansia tendevano ad avere inspirazioni più brevi e una maggiore variabilità tra un respiro e l’altro, specialmente di notte. Inoltre, la respirazione sembra essere strettamente collegata al peso corporeo, al ritmo sonno-veglia e ai tratti comportamentali. Ciò che sorprende è l’inversione di prospettiva. Normalmente si pensa che stress, ansia o depressione influenzino il modo di respirare, ma il team israeliano suggerisce che potrebbe essere il contrario. E se il modo in cui respiriamo contribuisse a generare stati emotivi negativi? Se fosse così, imparare a regolare il proprio schema respiratorio potrebbe diventare un nuovo metodo per migliorare il benessere mentale, con implicazioni che potrebbero rivoluzionare la psicologia e la medicina.
Gli studiosi stanno già testando questa ipotesi. Modificando consapevolmente il proprio modo di respirare, potrebbe essere possibile ridurre ansia e depressione, aprendo nuove strade nella terapia del benessere psicologico.
Curiosità
Tu lo sai che cos’è la plant blindness? Un fenomeno sottovalutato
La plant blindness è un fenomeno sottovalutato ma significativo. Riconoscerlo e affrontarlo è essenziale per garantire la conservazione della biodiversità, la salute degli ecosistemi e il benessere delle generazioni future.

La plant blindness, o “cecità botanica”, è un termine coniato dai botanici James Wandersee ed Elisabeth Schussler nel 1998. Si riferisce all‘incapacità delle persone di vedere o riconoscere le piante nel loro ambiente quotidiano. Questo fenomeno non è legato a problemi di vista, ma piuttosto a una mancanza di consapevolezza e apprezzamento delle piante e del verde che ci circonda. Le persone affette da plant blindness tendono a ignorare le piante, considerando il mondo naturale principalmente attraverso l’interazione con gli animali e altri esseri umani.
Come si manifesta?
La plant blindness si manifesta in vari modi, tra cui: la mancanza di riconoscimento. Molte persone non sono in grado di identificare le piante comuni nella loro area, distinguendo a malapena tra diversi tipi di alberi, fiori o erbe. La sottovalutazione del ruolo delle piante. La gente tende a non comprendere l’importanza ecologica delle piante, ignorando il loro ruolo cruciale nella produzione di ossigeno, nel ciclo del carbonio e come habitat per numerose specie animali. La mancanza di educazione. Nei programmi scolastici, la botanica riceve spesso meno attenzione rispetto alla zoologia, portando a una generale mancanza di conoscenza delle piante tra i giovani. I media e le pubblicazioni scientifiche tendono a concentrarsi più sugli animali che sulle piante, alimentando questa tendenza a ignorare il mondo vegetale.
Quali sono gli effetti negativi della plant blindness
La plant blindness può avere una serie di conseguenze negative, sia per l’ambiente che per la società. L’incapacità di riconoscere e apprezzare le piante può portare a una diminuzione degli sforzi verso la conservazione delle stesse. Senza una consapevolezza diffusa dell’importanza delle piante, le politiche ambientali e le iniziative di conservazione potrebbero trascurare la protezione degli habitat vegetali. Esiste poi un problema legato al declino della salute degli ecosistemi. Le piante sono fondamentali per il funzionamento degli ecosistemi. Ignorarle può compromettere la salute degli ecosistemi stessi, influenzando negativamente il ciclo dei nutrienti, la qualità dell’aria e dell’acqua e la stabilità del suolo.
Si perdono le conoscenze tradizionali
In molte culture, la conoscenza delle piante è profondamente radicata nelle pratiche tradizionali di medicina, cucina e artigianato. La plant blindness può portare alla perdita di queste preziose conoscenze, che rischiano di scomparire con il passare delle generazioni. Inoltre la mancanza di interesse per la botanica può ridurre il numero di studenti e ricercatori che si dedicano a questa disciplina. Questo può rallentare i progressi scientifici in settori come l’agricoltura sostenibile, la biotecnologia vegetale e la conservazione delle specie vegetali.
Come contrastare la plant blindness
Per contrastare la plant blindness, è necessario un cambiamento culturale ed educativo partendo proprio dalla scuola. Sarebbe utile poter integrare la botanica nei programmi scolastici fin dalle prime fasi dell’istruzione, promuovendo attività pratiche che coinvolgano direttamente gli studenti con le piante. Inoltre, ma questo già avviene, sarebbe utile promuovere documentari, articoli e programmi televisivi che mettano in risalto l’importanza delle piante e la loro bellezza. Oppure organizzare eventi di comunità come passeggiate botaniche, workshop di giardinaggio e mostre di piante per stimolare l’interesse e la consapevolezza delle persone verso il mondo vegetale.
Curiosità
Il caffè del mattino: bisogno biologico o solo un’abitudine ben aromatica?
Una tazzina appena svegli è un rito per milioni di persone, ma siamo davvero dipendenti dalla caffeina o è solo un condizionamento?

Il caffè del mattino è una certezza assoluta per molti. Per alcuni è un bisogno imprescindibile, senza il quale la giornata sembra partire con il freno a mano tirato. Per altri, è semplicemente un gesto familiare, un rito sociale che segna il confine tra il sonno e la veglia. Ma quanto ci serve davvero?
Secondo gli esperti, la caffeina ha un effetto stimolante reale sul nostro corpo e sulla nostra mente. A livello biologico, una tazzina può migliorare la concentrazione, aumentare la prontezza mentale e dare quella spinta necessaria per affrontare impegni e responsabilità. Durante la notte, infatti, si accumula adenosina, un neurotrasmettitore che favorisce il rilassamento. La caffeina ne blocca i recettori, creando quella sensazione di energia e vigilanza che i più considerano essenziale per partire con il piede giusto.
Il cortisolo che non ci molla mai…
Detto questo, i ricercatori spiegano che la necessità del caffè appena svegli è spesso più psicologica che fisica. Il nostro organismo ha un picco naturale di cortisolo tra le 8 e le 9 del mattino, quindi l’effetto energizzante del caffè può essere più un’abitudine che un vero bisogno. Insomma, ci piace pensare di averne bisogno, ma molte volte potremmo farne a meno senza grandi conseguenze.
Toglietemi tutto ma non il mio caffè
C’è poi l’aspetto sensoriale e psicologico: l’aroma del caffè, il calore della tazza tra le mani, quel primo sorso che sa di giornata appena iniziata. Tutto questo stimola il rilascio di dopamina, rendendo il rituale ancora più piacevole. Anche il condizionamento sociale gioca un ruolo importante: il caffè è spesso associato a pause, incontri e piccoli momenti di relax, il che contribuisce a radicarlo nella nostra routine.
Attenzione, però: la caffeina può creare una certa dipendenza
Il corpo si abitua e, con il tempo, la stessa dose ha effetti meno intensi. Se si prova a eliminarla bruscamente, possono comparire sintomi da astinenza come mal di testa, irritabilità e sonnolenza. Niente di drammatico, ma sicuramente fastidioso. Quindi, il caffè è davvero necessario al mattino? Dipende. Se lo beviamo solo per il piacere di farlo, possiamo stare tranquilli. Se invece ci accorgiamo che senza di lui non riusciamo a carburare, forse siamo più dipendenti di quanto pensiamo. La verità è che il caffè, più che un bisogno, è diventato un rituale rassicurante, una pausa di benessere prima di tuffarsi nella giornata. E visto che la scienza dice che un consumo moderato fa bene, tanto vale goderselo senza troppi sensi di colpa. L’unico problema? Ricordarsi di non berlo troppo tardi, se si vuole dormire bene la notte!
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