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Lifestyle

Fast food wedding: in Cina oggi va di moda il ricevimento da McDonald’s

Cheeseburger, Coca media e pollo fritto al posto dei fiori d’arancio: in Cina il matrimonio si festeggia al McDonald’s, un modo per i giovani di protestare contro la tradizione che non viene più percepita come identitaria.

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    I tempi cambiano, facciamocene una ragione il prima possibile e meglio vivremo. Niente è per sempre e le tradizioni che un tempo parevano inviolabili, vengono sostituite da altre, più aggiornate ed attuali. Anche se non è detto che sia sempre un bene. I giovani della generazione Z cinese, per esempio, sembrano sempre meno interessati alle cerimonie nuziali tradizionali: noiose, troppo formali e – cosa di non poco conto, visti i tempi – costosissime.

    La promessa sotto l’iconico logo

    Tra hamburger, Happy Meal e bicchieroni di Coca-Cola, gli invitati si abboffano mangiando con le mani. Una musica diffusa dagli speakers in sala, le fedi nuziali contenute nelle iconiche scatoline rosse che solitamente presentani i nuggets che, adesso, formano un quantomeno stravagante bouquet. E su tutto, l’eterna promessa e il bacio scambiato sotto la grande M gialla.

    E’ la nuova protesta dei giovani cinesi

    Complice la recessione galoppante, si tratta di una moda raccontata dal sito Sixth Tone, che si va diffondendo, motivata dai costi proibitivi delle cerimonie tradizionali. Ma non solo: si tratta anche di una modalità concreta per manifestare le distanza rispetto a forme e tradizioni che i giovani non sentono più come proprie.

    Il minimale è di moda

    Noiose, troppo formali e costosissime. Così un numero crescente di coppie oggi a Pechino e dintorni scelgono di sposarsi nei saloni di karaoke, nei ristoranti di hotpot o persino in fast food come McDonald’s, una volta considerati emblemi del nemico americano. Secondo un servizio pubblicato in questi giorni la moda dei matrimoni non convenzionali si starebbe diffondendo rapidamente in Cina, corroborata anche da un sondaggio che ha marzo ha rilevato che l’80% dei cinesi di età compresa tra i 15 e i 24 anni è favorevole alle cerimonie “minimaliste”.

    Costi alle stelle, insostenibili per una giovane coppia

    A pesare è sicuramente anche la crisi economica: un rapporto datato 2020 stimava che un matrimonio medio in Cina costa 174mila yuan (24.600 dollari), pari a 8,8 volte il reddito mensile medio di una coppia di lavoratori. Nel 2023 questo costo sarebbe salito a 330.000 yuan.

    Promozioni veloci

    Con le persone comuni che cercano sempre più di stringere i cordoni della borsa, le più famose catene di fast-food, tra cui McDonald’s, Haidilao e Heytea, propongono pacchetti speciali per i matrimoni: a Hong Kong, i punti vendita McDonald’s offrono un’opzione matrimoniale da 385 dollari, che include un bouquet da sposa fatto di McNuggets.

    Una cerimonia fatta di rinunce simboliche

    Sui social media cinesi, molti utenti hanno iniziato a esprimersi a favore dei “tre no matrimoniali”, ovvero cerimonie che non prevedano un convoglio di limousine, né damigelle e testimoni, neanche il particolare rituale col quale lo sposo deve ottenere l’ingresso a casa della sposa completando una serie di sfide.

    Il rito classico è considerato roba d’altri tempi

    Non è un caso che sulla piattaforma Weibo questa settimana un post sui “tre no matrimoniali” ha ottenuto oltre 40 milioni di visualizzazioni, caratterizzato da svariati commenti che hanno affermato di ritenere che i rituali nuziali tradizionali non solo fossero eccessivamente costosi, ma anche dispendiosi in termini di tempo ed estenuanti per la coppia.

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      Libri

      Emilio Salgari, il genio sfruttato che inventò Sandokan: la vera storia dello scrittore visionario che ha cambiato l’immaginario italiano

      Capostipite dell’avventura italiana, anticipatore della fantascienza e schiacciato da contratti-capestro, Salgari trasformò mappe, enciclopedie e tigri allo zoo in universi epici. La sua vita, segnata da genialità e sofferenza, resta una delle più affascinanti e tragiche della nostra letteratura

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        La nuova febbre da Sandokan riporta al centro il nome di Emilio Salgari, lo scrittore che più di ogni altro ha nutrito l’immaginario italiano con avventure, mari in tempesta e giungle brulicanti. Ma la sua vera storia è lontana anni luce dal mito romantico dello scrittore-navigatore. Salgari era un viaggiatore immobile: costruiva mondi perfetti senza lasciare Torino, tra biblioteche, mappe nautiche, diari di bordo e un’ossessione quasi fisica per il dettaglio.

        Nato a Verona nel 1862, non solcò mai gli oceani che avrebbe poi raccontato con stupefacente realismo. Studiava le tigri allo zoo per descrivere le “tigri di Mompracem”, passava ore al Museo di Scienze Naturali, si nutriva di enciclopedie e atlanti. La sua immaginazione era così potente che, quando un giornalista lo definì “mozzo”, lo sfidò a duello: vinse, ferì l’avversario e finì in cella per qualche giorno. Un gesto d’altri tempi che racconta la sua furiosa fierezza.

        La sua produzione fu titanica: oltre ottanta romanzi e più di cento racconti. Salgari anticipò persino la fantascienza con Le meraviglie del Duemila (1907), dove immaginò televisori, guerra aerea e una società talmente rapida da mandare i protagonisti in manicomio. Una visione sorprendente per un uomo che non aveva mai lasciato l’Italia.

        Ma dietro il mito c’era lo sfruttamento. Gli editori gli imponevano ritmi disumani: tre pagine al giorno, tutti i giorni, per anni. Nel frattempo doveva mantenere la famiglia e curare la moglie malata. Scriveva immerso nel fumo di decine di sigarette e litri di Marsala. Era l’autore più letto d’Italia, ma viveva in una miseria feroce mentre gli editori si arricchivano.

        I suoi capolavori – Le Tigri di Mompracem, Il Corsaro Nero, Jolanda, Cartagine in fiamme – non sono solo romanzi d’avventura: sono pietre miliari della narrativa popolare, capaci di ispirare cinema, fumetti, serie tv e generazioni di lettori.

        Il finale della sua vita, tragico e quasi rituale, è noto: il 25 aprile 1911 Salgari si tolse la vita nei boschi di Torino, lasciando lettere incendiarie agli editori, accusati di averlo ridotto alla rovina. «Vi saluto spezzando la penna», scrisse. Quella penna, però, non si è mai spezzata davvero. Oggi Salgari continua a vivere in ogni avventura che amiamo, in ogni eroe romantico che sfida il destino, in ogni pagina che chiede di essere letta per fuggire altrove.

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          Lifestyle

          Filofobia: quando l’amore fa paura

          Chi ne soffre desidera amare ma teme di soffrire.
          Capire le origini di questa paura e imparare a gestirla è il primo passo per costruire relazioni più sane e autentiche.

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          Filofobia

            C’è chi fugge appena una storia diventa seria, chi si sente soffocare al primo segnale di intimità, chi sabota ogni nuova possibilità di legame. Tutti, in qualche misura, conoscono la paura di lasciarsi andare. Ma quando questa paura diventa un ostacolo costante, capace di impedire qualsiasi coinvolgimento affettivo, si parla di filofobia, la paura di amare.

            Secondo gli psicologi, la filofobia non è un semplice “non volere una relazione”: è una reazione emotiva complessa che si attiva davanti alla prospettiva di un legame profondo. Chi ne soffre può provare ansia, tachicardia o panico quando la relazione prende una piega più seria, e tende a interrompere i rapporti per paura di soffrire o di perdere il controllo.

            Le radici della paura

            Le cause della filofobia possono essere molteplici. Spesso derivano da esperienze affettive dolorose: un tradimento, una separazione improvvisa, o una relazione tossica che ha lasciato segni profondi. In altri casi, la radice risale all’infanzia, quando il bambino non ha sperimentato un attaccamento sicuro con i genitori.

            Secondo la teoria dell’attaccamento elaborata dallo psicologo John Bowlby, chi da piccolo ha vissuto instabilità o rifiuto tende da adulto a temere l’intimità, perché la associa a perdita o vulnerabilità. A volte, la paura di amare è anche una forma di autoprotezione: meglio non rischiare, pur di non rivivere la sofferenza del passato.

            Come si manifesta

            I segnali della filofobia possono essere sottili. Alcune persone idealizzano l’amore ma, di fronte a una relazione reale, si tirano indietro. Altri preferiscono relazioni impossibili o a distanza, dove l’impegno è minimo e il rischio emotivo contenuto.

            Tra i comportamenti più frequenti ci sono la tendenza ad autosabotarsi, la paura di mostrarsi vulnerabili, la difficoltà a fidarsi o a condividere i propri sentimenti. Spesso queste persone si descrivono come “indipendenti” o “non portate per l’amore”, ma dietro questa apparente sicurezza si nasconde una grande paura del rifiuto o dell’abbandono.

            A livello fisico, la filofobia può manifestarsi con sintomi simili all’ansia: palpitazioni, sudorazione, tensione muscolare. Nei casi più intensi, il solo pensiero di un legame stabile può generare una vera e propria crisi di panico.

            Come superarla

            La buona notizia è che la filofobia si può affrontare e superare. Il primo passo è riconoscerla, senza colpevolizzarsi. “La paura di amare non è un difetto, ma una risposta appresa che può essere disinnescata”, spiega la psicoterapeuta Maria Beatrice Toro, specialista in psicologia clinica.

            Il percorso terapeutico più indicato è la psicoterapia cognitivo-comportamentale, che aiuta a identificare i pensieri distorti legati all’amore e a sostituirli con convinzioni più realistiche e rassicuranti. Anche la mindfulness e le tecniche di gestione dell’ansia possono essere strumenti utili per tornare a fidarsi.

            È importante, inoltre, procedere per piccoli passi: concedersi esperienze affettive graduali, imparare a comunicare i propri limiti e coltivare relazioni basate sulla sincerità e sull’ascolto reciproco.

            Amare senza paura

            Superare la filofobia non significa eliminare del tutto la paura, ma imparare a conviverci senza esserne dominati. L’amore, come ogni esperienza umana profonda, comporta inevitabilmente una quota di rischio. Ma è proprio in questa vulnerabilità che si nasconde la sua forza.

            Chi riesce ad accettare l’imperfezione dei rapporti e a fidarsi poco a poco scopre che amare non è perdere se stessi, ma condividere ciò che si è, con coraggio e autenticità.

            Come ricorda la psicologa statunitense Brené Brown, studiosa del coraggio emotivo: “La vulnerabilità non è debolezza, è la misura del nostro coraggio”. E forse è proprio da qui che comincia la guarigione: dal concedersi di essere umani, anche quando si ha paura.

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              Animali

              Quando il cane “dà la zampa” senza essere stato richiesto: cosa vuole davvero comunicarci

              Secondo veterinari e comportamentalisti, l’atto non è un semplice automatismo: è un comportamento appreso che il cane usa per attirare l’attenzione, chiedere qualcosa o esprimere uno stato emotivo. E capire il contesto è fondamentale.

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              cane “dà la zampa”

                Una zampa sollevata e poggiata sulla gamba del proprietario è uno dei comportamenti più frequenti – e spesso fraintesi – dei cani domestici. Per molti è solo una richiesta di coccole, per altri un gesto affettuoso. In realtà la sua interpretazione è più complessa e, come spiegano i veterinari, varia molto a seconda del contesto e della personalità dell’animale.

                Il veterinario romano Federico Coccìa, intervistato da Adnkronos Salute, chiarisce un punto fondamentale: si tratta di un comportamento appreso, non di un gesto istintivo. «Il cane imita alcuni movimenti che osserva nell’uomo e scopre che alzare la zampa genera quasi sempre una risposta: attenzione, carezze, o addirittura un premio. Così il gesto diventa uno strumento di comunicazione».

                Ma perché il cane sceglie proprio la zampa? Gli esperti di comportamento animale, tra cui l’American Veterinary Society of Animal Behavior, evidenziano che i cani usano il contatto fisico per modulare la comunicazione con i membri del gruppo sociale. Posare la zampa su qualcuno può essere un modo per “marcare” una presenza, richiamare lo sguardo o creare un contatto rassicurante. Proprio per questo il significato cambia in base al linguaggio del corpo che lo accompagna.

                Secondo Coccìa, per interpretare correttamente il segnale è utile osservare il viso del cane: «Occhi morbidi, orecchie rilassate e postura distesa indicano che il gesto è un invito al contatto, una sorta di pacca amichevole. Se invece lo sguardo è basso, il muso appare teso o l’animale sembra irrequieto, è probabile che la zampa serva a chiedere qualcosa: uscire, mangiare, giocare o essere rassicurato».

                I comportamentalisti sottolineano anche che la zampa può essere un segno di stress lieve. Alcuni cani la sollevano quando si trovano in situazioni ambigue o non sanno come comportarsi: un comportamento definito “segnale calmante”. In questi casi la richiesta non è di attenzione, ma di riduzione della tensione.

                Per comprendere cosa voglia dire davvero il cane, gli esperti consigliano di analizzare ciò che succede prima del gesto. Porsi alcune domande aiuta a chiarire il messaggio:
                – Perché si avvicina e mi fissa?
                – Perché cammina verso la porta?
                – Perché ha mostrato un giocattolo o si è diretto verso la ciotola?
                – Perché sembra agitarsi senza motivo?

                Spesso la risposta si trova nella sequenza comportamentale: la zampa è semplicemente l’ultimo tassello di un messaggio iniziato qualche secondo prima.

                Comprendere questo linguaggio non verbale favorisce una convivenza più serena e riduce i malintesi. «Chi vive con un cane impara in fretta che ogni animale comunica in modo diverso», ricorda Coccìa. «L’importante è non ignorare il gesto, ma interpretarlo: dietro una semplice zampa può esserci una richiesta d’affetto, un bisogno concreto o un segnale di disagio».

                In un rapporto basato sulla fiducia reciproca, anche un piccolo gesto diventa una conversazione. Sta a noi imparare ad ascoltarla.

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