Cucina
Giorgione lo chef strappato alla terra è diventato un influencer suo malgrado in tv, Facebook e Instagram
La sua visione della cucina come esperienza conviviale e gioiosa, e non solo come nutrimento fisico, è illuminante. Giorgione rifiuta l’idea che l’alimentazione debba essere noiosa o monotona e crede fermamente che il cibo debba essere gustoso e appagante.
Romano de Roma, sessantasette anni Giorgio Barchiesi, più conosciuto come Giorgione, deve il suo successo ai piatti che serve nel suo ristorante di Montefalco in provincia di Perugia, Ristorante alla Via di Mezzo da Giorgione. Ma anche alla sua rubrica televisiva “Giorgione. Orto e cucina” in onda su Gambero Rosso Channel e al suo approccio alla cucina e alla vita. Una persona genuina che riflette una profonda conoscenza e un profondo rispetto per il cibo e le tradizioni culinarie italiane. Prima di diventare ristoratore e anche chef televisivo faceva il veterinario. I suoi nemici? Il sovranismo alimentare che reputa una stupidaggine come tutti i sovranismi.
Star in tv e star sui social
Da Instagram a Facebook è seguito e noto dai 5 ai 90 anni, un successo di cui è consapevole che reputa carico di problemi e inquietudini. Quando ha iniziato a occuparsi della sua immagine e ha deciso di studiare l’uso dei social, circa sedici anni non avrebbe mai scommesso un centesimo “Sulla vita che sto facendo ora“, dice. Non era sua intenzione fare l’influencer. Il successo è arrivato in maniera fortuita, per caso. Sedici anni aveva fatto una festa in casa con amici e amici di amici. Alcuni di loro avevano un ristorantino nel borghetto a Montefalco, in Umbria.
“Fu allora“, dice, “che l’occasione della mia vita mi corse incontro. Gli amici dei miei amici volevano lasciar perdere e allora l’ho rilevato, e anche per pochi soldi, anzi pochissimi“. Giorgione allora non faceva il cuoco nel senso che non era uno chef con tanto di corsi e di scuola. No lui amava cucinare in casa per amici e tavolate intere ma solo per stare insieme e gustare i suoi piatti preferiti cercando di stare in buona compagnia e fare divertire.
Uno che si diverte e fa divertire
Uno di suoi motti è: l’alimentazione è sana quando non è noiosa. “A casa spesso le persone mangiano sempre le stesse cose. E’ triste“. La tavola non deve essere solo ingurgitare alimenti a caso nella giusta quantità che contengono gli elementi nutritivi, sali minerali, vitamine, amminoacidi, etc. “A chi va in farmacia a caccia di integratori io dico caro mio mangia di tutto e vedrai non ti serve niente”. Inoltre Giorgione reputa il pasto che sia serale o a pranzo un momento sacro. Che deve essere gestito e vissuto bene. In armonia con il giusto tempo. “Ci siamo ridotti che oggi a tavola non si parla più, si mangia e non si chiacchiera e magari si è distratti dalla tv che ci distoglie da quello che stiamo mangiando e non ci fa assaporare nel giusto modo il cibo“.
Ma come si è guadagnati a sua fama?
Suo padre voleva che facesse il liceo, ma lui scelse l’istituto agrario. Poi si iscrissi a veterinaria. Anche sua moglie ha studiato all’agrario. “Stiamo insieme dal 1975 e siamo sposati dal 1981“, dice. Per 20 anni ha fatto il veterinario agricolo in un’azienda. Proprio in quella lunga esperienza che ha avuto modo di conoscere la materia prima, gli ortaggi, la frutta, i grani. E la carne. “E’ stato fondamentale“. All’inizio degli anni Ottanta, per lo scandalo dei bovini allevati con antibiotici ed estrogeni che coinvolse la Plasmon e gli omogeneizzati per i bambini non si vendeva più carne.
“Lavoravo come veterinario in una azienda, che aveva tanti animali da vendere in un periodo di crisi“, ricorda. Per superare quel momento creò una cooperativa che iniziò a confezionare e vendere i primi pacchetti di carne “pronta da cuocere”. “Indossai il camice da macellaio e tolsi quello da veterinario e mi misi a vendere la carne che ci fece guadagnare una buona fama almeno nella zona d Roma“.
Prezzi contenuti e alta qualità
Nel ristorante di Giorgione il prezzo è sempre quello. Trentotto euro bevande escluse in un’epoca in cui i ristoranti hanno fatto salire i loro prezzi a cifre inavvicinabili. E in più le cucine super stellate propongono menu da capogiro. “Sono dell’idea che trentasei euro bevande escluse sia un prezzo ragionevole per la nostra qualità e quantità“. Nel menù a prezzo fisso di Giorgione si trovano trippa, lingua, nervetti, lampredotto, formaggi da spizzicare. E poi due primi, due secondi, due contorni e un tris di dolci.
Ma si mangia quello che vuole lui in maniera insindacabile. “Attenzione si mangia quello che diciamo noi: quello che arriva, arriva, non c’è alcuna trattativa. Non si può scegliere. Non facciamo porzioni ma portiamo vassoi e se non basta la quantità non è un problema, perché aumentiamo“. Sono questi i motivi per cui il conto da lui è ancora abbordabile. Naturalmente per chi soffre di intolleranze alimentari Giorgione ha predisposto una serie di alternative.
Pur essendo uno strenuo difensore della tradizione culinaria, è contro l’idea di sovranismo alimentare. “Certo perché il seme del sovranismo è inquietante e trova un terreno fertile per germogliare. Credo che in cucina bisogna provare con curiosità sempre. Come la carne non carne che comunque nasce e si sviluppa da una trasformazione in laboratorio da cellule animali per cui se buona perché non mangiarla per di più produrla non inquina. Così come essere a priori contro l’utilizzo degli insetti è sbagliato. Bisogna sempre provare. Ricordiamoci che c’è gente che muore di fame, che il cibo è cosa seria e che in tempi di guerra…“.
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Cucina
Brigadeiro, il dolce che conquistò il Brasile (anche senza vincere le elezioni)
Nato per sostenere un candidato alla presidenza, oggi il brigadeiro è la coccola dolce nazionale del Brasile. Facile da preparare e irresistibile, ecco come farlo a casa.
C’è un dolce in Brasile che mette tutti d’accordo. Lo si trova alle feste di compleanno, ai matrimoni, nei bar e persino nei momenti di malinconia: è il brigadeiro, un boccone di crema al cioccolato arrotolato in piccole sfere. Semplice? Sì. Innocente? Per niente. È un concentrato di dolcezza che seduce fin dal primo assaggio.
Un dolce nato in campagna elettorale
La sua origine non è antica ma… politica. È il 1945: il Brasile è in fermento e il Paese si prepara alle elezioni. A concorrere c’è anche Eduardo Gomes, ufficiale dell’aeronautica con il grado di brigadeiro (generale di brigata). I sostenitori del militare preparano un dolce nuovo, energetico e facile da distribuire durante gli eventi elettorali. La ricetta è povera ma geniale: latte condensato, cacao e burro. Il nome arriva da solo: brigadeiro, in onore del candidato.
Gomes non vinse le elezioni – anzi, perse clamorosamente – ma quella piccola sfera ricoperta di codette di cioccolato divenne ben presto più famosa di lui. In quegli anni, poi, lo zucchero e il latte fresco scarseggiavano a causa della guerra e il latte condensato, economico e facilmente reperibile, divenne protagonista delle cucine domestiche. Il dolce prese così il volo, trasformandosi in un simbolo nazionale.
Non una pralina, ma un rito
Oggi il brigadeiro è onnipresente. In Brasile è impensabile una festa dei bambini senza un piatto di queste palline lucide e golose. Il gesto di formarle a mano, una dopo l’altra, è diventato un rituale domestico, a cui spesso partecipano i più piccoli. A ogni morso, è un tuffo in un ricordo.
La consistenza è quella di una crema densa e scioglievole, con un gusto di cacao intenso e avvolgente. Al palato, prima arriva il croccante delle codette, poi la morbidezza del cuore.
La ricetta autentica del brigadeiro
Quella tradizionale è incredibilmente facile e richiede pochissimi ingredienti:
Ingredienti per circa 16 brigadeiro
- 400 g di latte condensato
- 100 g di latte intero
- 35 g di cacao amaro in polvere
- 15 g di burro
- Codette di cioccolato (per la copertura)
Procedimento
In una casseruola unite latte, latte condensato, burro e cacao. Mescolate con una frusta e portate a bollore.
Cuocete a fiamma media per circa 15 minuti, continuando a mescolare, finché passando la spatola sul fondo il composto non si stacca dalla pentola.
Trasferite in una ciotola, coprite con pellicola a contatto e fate raffreddare in frigorifero per almeno un’ora.
Una volta freddo, prelevate piccole porzioni (circa 25 g), formate palline con le mani leggermente imburrate e passatele nelle codette di cioccolato.
Sistematele nei pirottini… e provate a resistere alla tentazione di mangiarle tutte subito.
Una golosità che ha fatto il giro del mondo
Nonostante la sua semplicità casalinga, il brigadeiro ha superato i confini del Brasile. Oggi si trova in numerose pasticcerie internazionali e in versioni gourmet: con pistacchi, cocco, granella di nocciole o addirittura ricoperto d’oro alimentare.
Eppure, il fascino autentico resta quello della ricetta originaria: pochi ingredienti, tanto amore e un pizzico di storia curiosa. Perché, a volte, ciò che nasce per una campagna politica finisce per diventare un patrimonio di dolcezza universale.
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Sfincette dell’Immacolata: la dolce tradizione siciliana che apre le feste
L’8 dicembre, in Sicilia, il profumo di cannella invade le case: piccole frittelle soffici e dorate celebrano l’inizio del periodo natalizio.
In Sicilia, l’attesa del Natale si apre con un profumo: quello caldo e avvolgente delle sfincette dell’Immacolata, frittelle soffici passate nello zucchero e nella cannella. L’8 dicembre, quando si celebra la festa dell’Immacolata Concezione, questo dolce arriva sulle tavole di molte famiglie siciliane come segno di buon auspicio e inizio delle festività.
La tradizione delle sfincette — chiamate in alcuni luoghi anche “zeppole dell’Immacolata” — affonda le sue radici nella cucina popolare dell’isola. Il termine “sfincia” deriverebbe dal latino spongia (spugna), a sottolineare la consistenza morbida e ariosa dell’impasto. Un dolce povero, nato da ingredienti semplici: farina, acqua, lievito e un tocco ingegnoso della tradizione agricola siciliana, la patata lesse aggiunta per rendere l’impasto ancora più soffice.
Un rito domestico che profuma di famiglia
Prepararle è molto più di una semplice ricetta: è un momento condiviso, spesso affidato alle nonne, custodi di segreti tramandati di generazione in generazione. La pasta viene fatta lievitare e poi “gettata” nell’olio bollente in cucchiaiate che diventano morbide palline dorate. Ancora calde, vengono rotolate nello zucchero profumato alla cannella: una festa per occhi, naso e palato.
Le sfincette sono amate dai grandi e dai più piccoli, perfette per concludere il pranzo dell’Immacolata o per una merenda che sa di casa. E una tira l’altra: resistere è praticamente impossibile.
La ricetta autentica delle Sfincette dell’Immacolata
Ingredienti per l’impasto
- 300 g di farina 00
- 300 ml di acqua a temperatura ambiente
- 140 g di patate lesse e schiacciate
- 8 g di lievito di birra fresco
- 1 pizzico di sale
Per la finitura
- Zucchero semolato
- Cannella in polvere
Procedimento
- Sciogliere il lievito
In una ciotola o bicchiere, stemperate il lievito nell’acqua e mescolate fino a farlo dissolvere. - Preparare la pastella
In una ciotola capiente unite farina e patate ridotte in purea. Versate a filo l’acqua con il lievito e aggiungete il sale. Con una forchetta o una frusta lavorate fino a ottenere un composto morbido, liscio e senza grumi. - Lievitazione
Coprite la ciotola con pellicola alimentare e lasciate riposare circa un’ora in forno spento con luce accesa, finché l’impasto raddoppia. - Frittura
Scaldate abbondante olio di semi in un pentolino. Prelevate cucchiaiate di pastella e tuffatele nell’olio bollente. Le sfincette si gonfieranno immediatamente: rigiratele finché risulteranno dorate uniformemente. - Zucchero e cannella
Scolatele su carta assorbente, poi, ancora calde, rotolatele nel mix di zucchero e cannella. Procedete così fino a terminare l’impasto.
La festa che prepara alla festa
Nelle città e nei piccoli borghi siciliani, l’Immacolata non è solo un giorno di festa religiosa: è la scintilla che accende l’atmosfera natalizia. Tra presepi che iniziano a prendere vita e luminarie che si accendono, il dolce ruolo delle sfincette è proprio quello di inaugurare ufficialmente le celebrazioni.
Un gesto semplice, un sapore antico e un simbolo di comunità: basta un morso a una sfincetta per sentire che il Natale è davvero iniziato.
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Il profumo del Natale: la tradizione dei biscotti di pan di zenzero
Una ricetta semplice e speziata, accompagnata dalla storia di un dolce che attraversa secoli e Paesi, oggi simbolo irrinunciabile del Natale.
Croccanti, speziati e capaci di trasformare una cucina in un angolo di festa: i biscotti di pan di zenzero, o gingerbread, sono ormai un classico delle celebrazioni natalizie in tutto il mondo. La loro popolarità, però, affonda le radici molto più indietro nel tempo. Le prime preparazioni di pani dolci aromatizzati allo zenzero risalgono al Medioevo europeo, quando la spezia — preziosa e costosa — veniva utilizzata soprattutto in occasioni speciali. Secondo documenti storici, furono i monasteri tedeschi del XIII secolo a iniziare a produrre dolci speziati simili ai gingerbread attuali, spesso decorati con stampi di legno che raffiguravano santi, animali o scene quotidiane.
Fu però Elisabetta I d’Inghilterra, alla fine del Cinquecento, a contribuire alla loro consacrazione popolare: la regina pare amasse far preparare biscotti allo zenzero modellati a forma di piccoli omini, regalati a dignitari e visitatori illustri. Una tradizione che, secoli dopo, sopravvive nei celebri “gingerbread men”, oggi decorati con glassa colorata e diventati un simbolo iconico delle festività anglosassoni.
Oggi i biscotti di pan di zenzero sono diffusi in tutta Europa e Nord America, variando per forma e consistenza: più croccanti nella tradizione tedesca e nei Paesi del Nord, più morbidi in alcune versioni americane. Il loro aroma — un mix di zenzero, cannella, chiodi di garofano e noce moscata — li ha resi un pilastro della pasticceria natalizia domestica.
Ricetta dei biscotti di pan di zenzero
Ingredienti (per circa 25–30 biscotti)
- 350 g di farina 00
- 150 g di burro morbido
- 150 g di zucchero di canna
- 150 g di miele o melassa
- 1 uovo
- 2 cucchiaini di zenzero in polvere
- 1 cucchiaino di cannella
- 1/2 cucchiaino di noce moscata
- 1/2 cucchiaino di chiodi di garofano macinati
- 1 cucchiaino di bicarbonato
- Un pizzico di sale
Per la glassa decorativa
- 150 g di zucchero a velo
- 1 albume
- Qualche goccia di succo di limone
Procedimento
- Preparare l’impasto
In una ciotola mescola farina, spezie, bicarbonato e sale. In un’altra lavorare burro e zucchero fino a ottenere una crema morbida. Aggiungere l’uovo e il miele (o la melassa) continuando a mescolare. - Unire gli ingredienti
Incorporare gradualmente il mix di farina e spezie al composto di burro. Impastare fino a ottenere una massa uniforme. Formare un panetto, avvolgerlo nella pellicola e lasciarlo riposare in frigorifero almeno un’ora: il freddo renderà l’impasto più semplice da stendere. - Dare forma ai biscotti
Stendere l’impasto su un piano infarinato a uno spessore di circa mezzo centimetro. Con gli stampini creare omini, stelle, casette o le classiche forme natalizie. - Cottura
Disporre i biscotti su una teglia rivestita di carta forno e cuocerli a 180°C per 10–12 minuti. Devono dorare leggermente ai bordi. - Decorazione
Montare l’albume con lo zucchero a velo e il limone fino a ottenere una glassa densa. Con una sac à poche decorare i biscotti una volta completamente freddi.
Profumati e resistenti, i gingerbread sono perfetti da regalare, appendere all’albero o semplicemente gustare accanto a una tazza di tè caldo. Una tradizione semplice ma carica di storia, capace di far entrare il Natale in casa con un solo morso.
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