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Lifestyle

Cresce il numero dei giovani infetti da malattie veneree. Serve una campagna di sensibilizzazione rivolta a ragazzi e famiglie

L’aumento delle infezioni sessualmente trasmesse tra i giovani richiede un intervento urgente in termini di informazione, educazione e accesso ai servizi di salute. Solo attraverso una maggiore consapevolezza e prevenzione si potrà arginare questa preoccupante tendenza.

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    Per le malattie trasmesse sessualmente tra i giovani sotto i 25 anni si potrebbe parlare di una vera e propria epidemia. Crescono infatti del +50% i casi di gonorrea e del +20% quelli di sifilide. Si è abbassata la guardia e a farne le spese sono i meno esperti e informati. Lo dicono i dati dell’Italian Conference on AIDS and Antiviral Research (ICAR) sulle infezioni sessualmente trasmesse (IST), in particolare HIV, epatiti virali, papilloma virus, clamidia, gonorrea e sifilide. ICAR mette in evidenza un inaspettato e repentino aumento di queste infezioni, specialmente tra i giovani.

    Incremento preoccupante delle infezioni

    Secondo i sistemi di sorveglianza sentinella delle IST coordinati dal Centro Operativo AIDS (COA) dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), si assiste a un significativo incremento dei casi. Ben 1.200 casi di Gonorrea rispetto agli 820 del 2021 (+50%) a cui si aggiungono 580 di sifilide (+20%). In parte si addebitano questi aumenti alla maggiore socializzazione avuta in questi ultimi due anni post-pandemia che aveva avuto effetti nefasti sulle relazioni, e non solo tra i giovani. Anche la clamidia mostra una crescita significativa: dai 800 casi del 2019 ai 993 del 2022 (+25%). Ci si interroga sul ruolo dell’informazione rivolta a giovani e famiglie con campagne mirate sulle malattie sessualmente trasmettibili.

    I giovani denotano una mancanza di consapevolezza

    Barbara Suligoi, direttore del COA dell’ISS, sottolinea l’alto tasso di infezioni tra i giovani, in particolare tra le ragazze under 25. La prevalenza della clamidia in questa fascia d’età è del 7%, mentre sopra i 40 anni è solo dell’1%. Spesso l’infezione è asintomatica, con tre casi su quattro non rilevati per lungo tempo.

    Caranza di informazione e scarsi controlli

    Una delle principali cause di questo aumento è la scarsa informazione sulle IST. I giovani spesso non sanno dove reperire informazioni affidabili o dove effettuare i controlli necessari. La consultazione regolare di specialisti come ginecologi e andrologi è meno frequente rispetto agli adulti. Molti si affidano al web per informazioni, spesso trovando fonti imprecise o fuorvianti. Questo porta a una mancanza di consapevolezza e a comportamenti a rischio, specialmente durante momenti di socializzazione intensa.

    Uso di droghe e sesso occasionale

    Un altro fattore di rischio è l’uso di droghe o la pratica del chemsex, attività occasionali, che i giovani non considerano situazioni di rischio. Il direttore del COA evidenzia la necessità di una maggiore educazione all’affettività nelle scuole e percorsi chiari sul territorio per fornire consulenza tempestiva in caso di sospetto di infezione.

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      Società

      Quando una madre uccide: l’emergenza del figlicidio materno tra solitudine, stigma e fragilità

      È un gesto rarissimo ma devastante, che richiede una riflessione profonda sulle cause psicologiche, sul ruolo della solitudine materna e sulle misure di prevenzione necessarie.

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      Quando una madre uccide

        La cronaca recente ha riportato all’attenzione della società un tema doloroso e difficile: il figlicidio commesso da madri. Tali episodi, in apparenza inspiegabili, spingono a interrogarsi non solo sul ruolo delle patologie psichiche, ma anche sulle condizioni sociali che possono contribuire a generare tragiche tragedie familiari. Se, da un lato, emerge il bisogno di giustizia, dall’altro non si può ignorare la dimensione collettiva: quanto pesa la solitudine di una neomamma? Qual è la responsabilità della comunità?

        Il peso della solitudine materna
        Come osserva il pedagogista Daniele Novara, l’isolamento dopo il parto rappresenta un rischio significativo. Studi psicoanalitici, tra cui quelli di Franco Fornari, hanno descritto forme di “paranoia primaria”: un timore inconscio legato alla morte, percepita come potenziale minaccia rappresentata dal neonato. In passato, in società più tradizionali, le madri non venivano lasciate sole: la rete familiare e comunitaria aiutava a prevenire situazioni di estremo disagio. Oggi, invece, nella struttura familiare nucleare moderna, molte madri non dispongono di un supporto adeguato, rendendo molto vulnerabile la fascia post-natale.

        Il fenomeno in Italia
        Secondo dati Eures citati anche da CronacaComune, dal 2010 al 2022 in Italia si sono registrati 268 figlicidi, con una media di quasi un episodio ogni due settimane. Di questi, una quota significativa — oltre il 50% — riguarda bambini sotto i 12 anni, e in più di un terzo dei casi la madre è l’autrice dell’omicidio. Da una prospettiva storica, la Psicologia in Tribunale evidenzia che tra il 2006 e il 2017 sono stati identificati 34 omicidi di neonati ad opera delle madri. Cifre che, pur restando rare, segnalano l’urgenza di comprendere e affrontare un rischio che spesso rimane nell’ombra.

        Aspetti giuridici: l’infanticidio nella legge italiana
        Il diritto italiano prevede una norma specifica per l’infanticidio: l’articolo 578 del codice penale punisce la madre che uccide il neonato immediatamente dopo il parto, o il feto durante il travaglio, se l’atto è collegato a condizioni di abbandono materiale o morale legate alla maternità. Questa previsione legislativa riflette la consapevolezza della fragilità psicologica materna, ma allo stesso tempo pone limiti stringenti per il riconoscimento delle attenuanti che derivano da un forte disagio emotivo.

        Cause psicologiche e sociali
        Le motivazioni dietro il figlicidio materno sono quasi sempre multifattoriali. Non sempre si tratta di gravi malattie psichiatriche: secondo alcuni studi, in molti casi emergono disturbi meno evidenti ma reali, come depressione, personalità fragile oppure isolamento emotivo. La cosiddetta “sindrome di Medea”, proposta da Jacobs nel 1988, descrive situazioni in cui la madre – spesso dopo relazioni travagliate – può arrivare a compiere azioni estreme come forma di rivalsa o distruzione del legame, ma non necessariamente da uno stato di insanità mentale totale. Il sentimento di vergogna, la pressione sociale sull’ideale di maternità perfetta e l’assenza di reti di sostegno rappresentano fattori che aggravano la fragilità emotiva, come rilevato da numerosi psicologi.

        Prevenzione: quale responsabilità ha la società?
        Per evitare che episodi simili si ripetano, è fondamentale un cambio culturale e un investimento concreto nel sostegno alle neomamme. Secondo Novara, servono strutture di supporto, figure come assistenti all’allattamento, forme di accompagnamento finanziario per le famiglie nei primi mesi dopo la nascita. Non basta criminalizzare: occorre prevenire. Un welfare che dia alle madri la possibilità di essere seguite, ascoltate, aiutate può fare la differenza.
        Il figlicidio materno è un fenomeno drammatico e complesso, che va oltre il semplice gesto criminale. Richiede un’analisi attenta delle sue radici psicologiche, sociali e culturali. Non è sufficiente punire: la comunità ha il dovere di offrire ascolto, prevenzione e presenza. Solo così si può sperare di proteggere davvero le famiglie più fragili e prevenire tragedie intime che scuotono il cuore della società.

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          Cucina

          Lenticchie, il super alimento che fa bene a noi e al pianeta

          Ricche di proteine, fibre e minerali, povere di grassi e con un basso impatto ecologico: ecco perché questo antico legume merita un posto fisso nella dieta quotidiana di tutti, non solo a Capodanno.

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          Lenticchie

            C’è chi le mangia solo all’ultimo dell’anno, convinto che portino soldi e prosperità. Ma le lenticchie non sono soltanto un portafortuna culinario: sono uno degli alimenti più completi e versatili che possiamo portare in tavola. Dalla zuppa contadina ai moderni burger vegetali, questo legume antico — tra i primi coltivati nella storia dell’uomo — è oggi al centro di una nuova attenzione da parte di chi cerca un’alimentazione sana, leggera e sostenibile.

            Un piccolo seme carico di proteine

            Secondo i dati del CREA (Consiglio per la Ricerca in Agricoltura), 100 grammi di lenticchie secche contengono circa 25 grammi di proteine vegetali, un valore che le rende una delle migliori alternative alle fonti animali. Se abbinate a un cereale come riso, farro o pane integrale, forniscono tutti gli amminoacidi essenziali necessari all’organismo, creando un pasto completo e bilanciato.

            Ma i loro pregi non finiscono qui: le lenticchie sono poco caloriche (circa 115 kcal per 100 g cotte) e altamente sazianti, grazie all’elevato contenuto di fibre solubili e insolubili. Le prime rallentano la digestione e stabilizzano la glicemia; le seconde favoriscono il transito intestinale e contrastano la stitichezza. Un vero toccasana per chi cerca di controllare il peso o migliorare la salute metabolica.

            Un alleato per cuore e circolazione

            Le lenticchie contengono potassio, magnesio e ferro, minerali fondamentali per il benessere del sistema cardiovascolare. Diversi studi, tra cui una revisione pubblicata sul British Journal of Nutrition, hanno evidenziato che il consumo regolare di legumi è associato a una riduzione del colesterolo LDL (“cattivo”) e della pressione arteriosa. Merito non solo delle fibre, ma anche dei polifenoli, che svolgono un’azione antinfiammatoria e antiossidante.

            Inoltre, la presenza di folati e ferro le rende particolarmente indicate per le donne in età fertile e per chi soffre di stanchezza cronica o anemia lieve. Se abbinate a cibi ricchi di vitamina C (come agrumi, kiwi o pomodori), migliorano l’assorbimento del ferro vegetale, spesso meno biodisponibile rispetto a quello della carne.

            Buone per noi, ottime per il pianeta

            Oltre che nutrienti, le lenticchie sono anche ecologiche. Secondo la FAO, la loro coltivazione richiede fino a 10 volte meno acqua rispetto alla carne bovina e arricchisce naturalmente il suolo di azoto, riducendo la necessità di fertilizzanti chimici. Non hanno bisogno della catena del freddo per essere conservate e possono durare mesi in dispensa, riducendo gli sprechi. In tempi di inflazione e attenzione ambientale, sono un alimento economico e sostenibile come pochi altri.

            Dalla tradizione alla cucina moderna

            Chi pensa alle lenticchie solo nella classica minestra può ricredersi. Oggi questo legume è protagonista di ricette contemporanee e creative: hummus di lenticchie rosse, polpette vegetali, curry speziati, ragù senza carne o insalate fredde con verdure croccanti. Le varietà decorticate, più veloci da cuocere e più digeribili, sono perfette anche per chi ha poco tempo o è alle prime armi.

            Per valorizzarne il gusto e le proprietà, è meglio limitare il sale e i condimenti pesanti, preferendo un filo d’olio extravergine a crudo e spezie come curcuma, cumino o rosmarino.

            Energia per chi fa sport

            Grazie alla combinazione di carboidrati complessi e proteine vegetali, le lenticchie rappresentano un ottimo pasto pre o post allenamento. Offrono energia a rilascio graduale, sostengono il recupero muscolare e, grazie a ferro e magnesio, aiutano a combattere l’affaticamento.

            In sintesi, le lenticchie non sono solo un simbolo di prosperità: sono un investimento reale in salute, sostenibilità e gusto. Un alimento antico che guarda al futuro, capace di unire tradizione e scienza in un piatto semplice e completo.

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              Cucina

              Croccante fuori, filante dentro: la tradizione irresistibile della mozzarella in carrozza

              Nata per recuperare pane e mozzarella avanzati, la mozzarella in carrozza conquista ancora oggi con pochi ingredienti e qualche accorgimento. Ecco come realizzarla al meglio e quali varianti scegliere per una versione più contemporanea.

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              mozzarella in carrozza

                È uno dei comfort food più iconici del Sud Italia, capace di mettere d’accordo bambini e adulti: la mozzarella in carrozza è un piatto povero nella sua origine ma ricco nei sapori. Diffusa soprattutto in Campania e nel Lazio, nasce come ricetta di recupero per evitare sprechi: pane raffermo e mozzarella del giorno prima diventano un boccone dorato e filante, perfetto come antipasto o street food.

                Secondo gli esperti di cucina tradizionale, la scelta della mozzarella fa davvero la differenza. Quella di bufala, più saporita e morbida, va lasciata asciugare perché il liquido in eccesso rischia di compromettere la frittura. Non a caso, la preparazione originaria prevedeva l’uso di mozzarella leggermente “vecchia”, proprio per ottenere una consistenza più asciutta e compatta.

                Oggi la ricetta resta fedele alla tradizione, ma non mancano interpretazioni moderne: pane in cassetta o casereccio, panatura doppia per una croccantezza più uniforme, oppure l’uso del panko, il pangrattato giapponese che regala una texture più leggera e friabile. Alcuni chef suggeriscono anche ripieni creativi con acciughe, pomodori secchi, basilico o prosciutto, senza però tradire l’essenza originaria del piatto.

                Di seguito gli ingredienti e il procedimento per realizzarla in modo semplice e sicuro, seguendo i passaggi consigliati da cuochi professionisti e linee guida culinarie consolidate.

                INGREDIENTI (per circa 12 pezzi)

                • 12 fette di pane bianco in cassetta (o pane casereccio senza crosta)
                • 500 g di mozzarella di bufala, preferibilmente del giorno precedente
                • 5 uova grandi
                • 100 g di farina 00
                • 300 g di pangrattato (o panko per una panatura più croccante)
                • Sale fino q.b.
                • 1 litro di olio di semi di girasole per friggere

                Nota: utilizzare mozzarella ben scolata riduce il rischio che fuoriesca durante la cottura.

                PREPARAZIONE

                1. Taglio e asciugatura
                  Affettare la mozzarella a fette di circa 1 cm. Disporle su carta assorbente e tamponare delicatamente fino a eliminare il siero in eccesso.
                2. Assemblaggio
                  Sistemare metà delle fette di pane su un tagliere, coprirle con la mozzarella senza farla uscire dai bordi, salare leggermente e chiudere con le restanti fette. Pressare con le mani per compattare.
                3. Rifinitura e taglio
                  Eliminare la crosta del pane e dividere i sandwich in quadrati o triangoli, a seconda della preferenza.
                4. Prima panatura
                  Passare ogni pezzo prima nella farina, poi nell’uovo sbattuto e infine nel pangrattato. Pressare i bordi con un coltello per sigillare la chiusura. Riporre in frigorifero 30 minuti.
                5. Seconda panatura (consigliata)
                  Ripetere il passaggio in uovo e pangrattato per una copertura più solida. Far riposare altri 30 minuti in frigo.
                6. Frittura
                  Scaldare l’olio a 170–180°C. Friggere pochi pezzi alla volta per 1–2 minuti, girando con delicatezza finché risultano dorati. Scolare su carta assorbente.
                7. Servizio
                  Gustare immediatamente, quando il cuore è ancora filante.

                La mozzarella in carrozza va consumata appena preparata per apprezzarne la consistenza ideale, ma può essere assemblata in anticipo e conservata in frigorifero fino alla frittura. Un piatto semplice, nato dall’ingegno domestico, che oggi ritrova nuova vita tra tradizione e reinterpretazione gourmet — perché a volte la perfezione sta proprio nelle cose più essenziali.

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