Lifestyle
Il topless assolutamente out: da disobbedienza civile a fenomeno démodé
E’ risaputo che il progresso modifica i costumi: come il gavettone d’acqua è stato bandito per paura di bagnare i cellulari, così è tramontata l’era del topless. Vediamo per quali motivi…
 
																								
												
												
											Il fenomeno del topless rappresenta un particolare intreccio fra estetica, femminismo, costume e disobbedienza civile. A cavallo fra gli anni ’70 e ’80 presentarsi a seno nudo in spiaggia significaca esibire, con coraggio e sfrontatezza, un’arma di autodeterminazione. Ma col passare del tempo tutto è cambiato.



Alessia Marcuzzi, Brigitte Bardot e Belen Rodriguez
Un’affermazione di libertà
Quegli erano gli anni d’oro del topless, a ridosso dell’entrata l’entrata in vigore del divorzio e della legge 194 in Italia, che permetteva alle ragazze pià coraggiose di affermare la proprio personalità slacciando il reggiseno del due pezzi, con gli uomini che vagavano per le dune a coppie di due – manco fossero carabinieri – alla ricerca di qualche visione proibita, magari stilando pure pagelle e classifiche.



Alba Parietti, Cristina Parodi e Kate Moss
Nel 1978 il caso che fece epoca
A scatenare il fenomeno era stata una sentenza della Corte di Cassazione: il 18 novembre del 1978, infatti, un processo per atti osceni contro una donna che si era sbarazzata del reggiseno al mare si era concluso per la prima volta con una precisa distinzione fra “nudo integrale” e “prendere il sole a seno scoperto”. In quell’occasione la Corte aveva stabilito che il secondo, in spiaggia, non arreca offesa alla pubblica decenza. Apriti cielo: da quel momento in ogni spiaggia sbocciavano seni ovunque, anche se i cori benpensanti del “dove andremo a finire” non si placavano.
E’ sempre una questione di disparità di genere
Anche se i tempi erano ancora all’oscuro dei social, l’argomento topic del momento era la legalizzazione del topless. Al cinema coi filmetti pecorecci e alla tv di stato con seriosi dibattiti, l’argomento veniva affrontato nei modi più diversi. Un fenomeno che cercava di appianare un’anomala disparità di genere… anche se ancora oggi se un uomo si toglie la maglietta in strada per il caldo non succede molto, se lo fa una donna commette un reato.
L’ondata di nuovo puritanesimo
Le spiagge diventarono ben presto un pop-up di seni al vento di ogni età, che i maschi si sforzavano di non fissare mentre parlavano con le proprietarie. Una direzione che, un po’ alla volta, si è invertita. Complice una nuova ondata di puritanesimo, negli ultimi dieci anni il numero di donne disposte a farlo è diminuito di un terzo, alemo qui da noi (ma non solo). Oggi è difficile trovare sulle spiagge italiane una donna (di ogni età) senza il top del costume, persino tra le bambine. O almeno non quante se ne possono ancora vedere in Spagna, per quanto il numero sia calato anche lì.
Nei secoli precedenti si nascondevano le gambe… non il seno
la cosa singolare è che, fino al 1700, mostrare il seno nudo non era considerata cosa disdicevole. Semmai erano le gambe da tenere nascoste: le nobildonne a corte lasciavano spesso spuntare dal décolleté i capezzoli truccati di carminio. Basta guardare i quadri dell’epoca: qualche seno nudo… mai una caviglia. Per i primi topless in spiaggia bisogna arrivare all’inizio del XX secolo, quando tutti hanno cominciato a capire che predicare il pallore come canone di bellezza non era particolarmente salutare. Negli anni 20 inizia la pratica dei bagni di sole, sottraendo progressivamente lembi di stoffa.
Il reggipetto diventa un capo di moda
Il lancio nei primi anni 90 dei reggiseni push-up, Wonderbra e simili, ha fatto dei reggiseno un accessorio-gioiello, da esibire attraverso trasparenze e scollature, un capo su cui spendere un po’ anche se rimaneva occultato. Da lì il passo è breve: perché smettere di divertirsi a questo gioco quando si era in spiaggia? Non c’era gusto a comprare un due pezzi con un top molto carino, magari imbottito, per poi lasciarlo piegato in borsa. A questo va aggiunto il fenomeno della chirurgia plastica, diventata più alla portata di tutti ma con cicatrici sempre visibili. Meglio coprire. A tutto questo la mezza fake news del topless che favoriva il cancro al seno ha fatto il resto: qualsiasi parte del corpo delicata, se non si utilizza la protezione adeguata, può essere a rischio di melanoma e altri tumori della pelle. Un equivoco che ha contribuito alla situazione attuale, dove le donne sono più contrarie al topless rispetto agli uomini. Chi ci avrebbe creduto 40 anni fa?!?
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Cucina
Il budino viola che profuma d’autunno: il budino di uva nera, due ingredienti e tanta poesia per un dessert leggero e irresistibile
Dalla tradizione contadina arriva un dessert scenografico e leggero. Il budino di uva nera Solarelli conquista per il suo colore intenso, la texture vellutata e il gusto pulito. Una ricetta essenziale che trasforma la frutta di stagione in una dolcezza viola brillante, perfetta dopo cena e impossibile da dimenticare.
 
														Il dolce che nasce dalla terra
In un panorama di dessert elaborati, creme ricche e glassature lucide, il budino di uva nera è una carezza. È la prova che a volte bastano due ingredienti e un po’ di pazienza per ottenere qualcosa di unico. Il segreto è tutto nella frutta: uva nera senza semi Solarelli, raccolta al giusto grado di maturazione, succosa, profumata e naturalmente dolce. È un dolce della tradizione rurale, nato quando in cucina si lavorava con ciò che la natura offriva, senza sprechi e con lentezza. Il risultato è un budino che non chiede zucchero, panna o gelatine: solo il succo dell’uva e una piccola quantità di farina per addensare. Novembre lo accoglie alla perfezione: è viola profondo, ricorda il vino novello e profuma di vendemmia.
L’arte della semplicità: la cottura lenta dell’uva
La prima fase è quasi meditativa. I grappoli si lavano, si sgrana l’uva e si raccolgono gli acini in un tegame capiente. La fiamma è bassa, il tempo è lento: due ore circa perché gli acini rilascino lentamente tutto il loro succo. Durante la cottura si schiacciano con cura, così ogni goccia diventa parte del dolce. Il passaggio successivo è il più importante: filtrare il succo con un colino per eliminare bucce e residui, lasciando soltanto un liquido liscio e intenso, che ritorna in casseruola per la trasformazione finale. Il profumo che invade la cucina è già dessert: dolce, vinoso, leggermente floreale.
Dal fuoco allo stampo: nasce il budino
Quando il succo è pronto, si aggiunge gradualmente la farina, mescolando fino a ottenere una consistenza densa ma ancora scorrevole. La miscela torna sul fuoco, dove ribolle appena per due o tre minuti, mescolata senza sosta con una frusta. È una danza breve ma essenziale: il liquido prende corpo, si addensa, brilla. Poi arriva la parte più bella, quella domestica e affettiva: versarlo in uno stampo e lasciarlo raffreddare, prima a temperatura ambiente e poi in frigorifero per circa tre ore. Quando si sforma, il budino appare lucido, morbido, con una tonalità viola che sembra rubata a un cielo d’autunno al tramonto. Fresco, leggero, naturalmente dolce. Perfetto da solo, magnifico con una cucchiaiata di yogurt bianco o un filo di miele di castagno per chi vuole una nota più golosa.
È un dolce che parla piano. E proprio per questo conquista.
Libri
“Vlad, il figlio del Drago – Le cronache di Dracula”: Mursia porta in libreria l’origine oscura del mito, dove storia, sangue e destino forgiano l’uomo prima del mostro
Non il vampiro della letteratura ottocentesca, ma il principe guerriero, l’ostaggio del Sultano, il ragazzo cresciuto tra intrighi ottomani e tradimenti valacchi. Con Vlad, il figlio del Drago, Mursia inaugura una saga che riscrive Dracula partendo dalla sua dolorosa umanità, tra battaglie, psicologia e un amore impossibile destinato a segnare il suo fato.
 
														L’uomo dietro il mito
Dimenticate il mantello, i canini e la notte eterna. Vlad, il figlio del Drago – Le cronache di Dracula non insegue il vampiro della fantasia, ma l’uomo che venne prima: Vlad III, principe di Valacchia, condottiero spietato e simbolo di un’epoca in cui potere e sopravvivenza erano sinonimi. Luca Arnaù sceglie la via più ambiziosa: restituire Dracula alla Storia. Il risultato è un romanzo ruvido, immersivo, scolpito nel ferro e nel fuoco delle campagne balcaniche del Quattrocento.
Ostaggi del Sultano, figli della guerra
Il racconto si apre nel 1442. Vlad e il fratello Radu vengono consegnati alla corte del sultano Murad II. È l’inizio della prigionia, ma anche della metamorfosi. Nel serraglio ottomano non c’è spazio per l’infanzia: ci sono disciplina, umiliazione, paura, desiderio di riscatto. Arnaù descrive questo crogiolo emotivo con un realismo che brucia, mescolando formazione militare, raffinata crudeltà politica e l’ombra lunga della vendetta. In queste pagine nasce l’Impalatore, temprato dalla ferocia ma guidato da una volontà assoluta: riconquistare il trono e difendere la sua terra, a qualunque costo.
Sangue, potere e una crepa nel cuore
Le battaglie sono feroci, mai compiaciute ma densissime: acciaio, fango, disciplina, e la lucidità strategica di un uomo che conosce il nemico perché un tempo ne ha condiviso la tavola. Quando Vlad torna in Valacchia, trova tradimenti, boiardi pronti a venderlo e un regno in bilico tra due imperi. È qui che la narrazione si apre a una dimensione più intima: l’incontro con Leila. Non romanticismo gratuito, ma un’interferenza umana nel destino di un uomo votato alla guerra. Lei non lo addolcisce: lo rivela. Mostra la crepa dove entrano luce e tormento, ricorda che dietro l’acciaio della leggenda c’è ancora carne.
Arnaù firma un romanzo storico che non cerca redenzione né condanna: racconta. E nel racconto, Vlad torna vivo, inquieto, irriducibile — prima di diventare mito, era un uomo. E proprio per questo fa paura di più.
Animali
Gatti e pulci: il nemico invisibile che si nasconde tra i peli del nostro felino
Anche i mici più puliti possono esserne vittime. Le pulci si annidano nel pelo, tra coperte e tappeti, e si riproducono in tempi rapidissimi. Prevenirle non significa solo proteggere il gatto, ma tutta la casa.
 
														C’è un nemico minuscolo che tormenta i gatti di ogni età, razza e ambiente. Non si vede, ma si sente: le pulci. Quelle piccole creature scure che saltano tra i peli, mordono la pelle e rendono impossibile la pace di un felino. Per molti proprietari sono solo un fastidio stagionale, ma in realtà le pulci rappresentano una minaccia concreta per la salute del gatto e, indirettamente, anche per chi vive con lui.
Basta una sola pulce per scatenare un’invasione. Ogni femmina può deporre fino a cinquanta uova al giorno, che cadono dal mantello e si insinuano ovunque: tra le fibre di un tappeto, sotto i cuscini del divano o nella cuccia preferita. È così che la casa si trasforma in un terreno fertile per centinaia di nuovi parassiti pronti a risalire sul gatto alla prima occasione.
Il primo segnale d’allarme è quasi sempre lo stesso: il gatto si gratta con insistenza, morde la base della coda o si lecca nervosamente. In alcuni casi compaiono piccole crosticine, perdita di pelo o arrossamenti. Ma il vero problema non è solo il prurito. Le pulci si nutrono di sangue e, se l’infestazione è estesa, possono causare anemia, allergie e persino trasmettere parassiti intestinali.
Sfatato anche il mito secondo cui i gatti di casa sarebbero al sicuro. Le pulci possono arrivare con le scarpe, con altri animali o semplicemente attraversando le finestre. E quando entrano, difficilmente escono da sole. Per questo la prevenzione è la prima forma di difesa: trattamenti antiparassitari regolari, ambienti puliti e tessuti lavati di frequente.
Un gatto infestato non è solo un animale che soffre: è un campanello d’allarme per tutto ciò che lo circonda. Il ciclo vitale delle pulci è silenzioso e implacabile, ma può essere interrotto con costanza e attenzione. Ogni carezza tra il pelo, ogni spazzolata, ogni bagno diventa così un gesto d’amore e di cura.
E quando finalmente il micio torna a dormire sereno, magari arrotolato sul divano, è il segno che la battaglia invisibile è stata vinta. Almeno fino alla prossima stagione.
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