Lifestyle
La Supernonna Sparatutto batte tutti a Fortnite!
La sua storia è un esempio di come l’età non sia mai un limite per seguire la propria passione e dimostra che anche una nonna settantenne può diventare una vera e propria stella nel mondo del gaming.
Cath Bowie, una nonna scozzese settantacinquenne, è diventata una vera e propria sensazione nel mondo dei videogiochi dopo aver fatto squadra con uno dei più famosi giocatori di Fortnite al mondo. Conosciuta online con il nome Grumpygran1948, Cath è stata introdotta al gioco dal suo nipote e da allora è diventata una presenza fissa nell’arena di Fortnite, passando fino a sei ore al giorno a giocare online.
Abilità straordinarie
Le sue abilità straordinarie e il suo commento divertente non sono sfuggiti all’occhio attento del noto YouTuber statunitense SypherPK, che ha riconosciuto il suo talento e ha deciso di collaborare con lei in diversi duelli. Il primo “duo” tra SypherPK e Grumpygran1948 ha attirato l’attenzione di oltre mezzo milione di spettatori, facendo esplodere la popolarità di Cath nel mondo del gaming.
Ora, Grumpygran1948 può vantare una squadra di migliaia di fan devoti sparsi in tutto il mondo, tutti affascinati dalle sue straordinarie abilità di gioco e dal suo carattere divertente e genuino.
Attratta dal mondo di Fortnite
Cath, originaria di Moray, ha raccontato di come tutto sia iniziato quando ha notato suo nipote giocare a Fortnite nel 2017, poco dopo il rilascio del gioco. Da quel momento, è stata attratta dal mondo di Fortnite e ha iniziato a perfezionare le sue abilità giocando da sola e, successivamente, unendosi a squadre online.
Tuttavia, Cath non ha apprezzato alcuni degli atteggiamenti “tossici” dei giocatori più giovani e ha deciso di creare squadre composte da giocatori più anziani, con i quali condivideva un linguaggio e un approccio più rispettoso.
La sua decisione di fare streaming delle sue partite è stata motivata dalla ricerca di compagni di gioco con cui condividere un ambiente più positivo e inclusivo.
Fa squadra con i ragazzini
La sua audacia è stata premiata quando è stata notata da SypherPK, che ha proposto di fare squadra con lei per delle partite. Il loro incontro è stato un successo immediato, con migliaia di spettatori che hanno seguito con entusiasmo le loro avventure virtuali.
Nonostante la sua crescente fama nel mondo del gaming, Cath rimane umile e non permette che la sua nuova notorietà influenzi la sua vita familiare. Suo marito sostiene il suo hobby serale e lei stessa continua a considerarsi una persona normale, anche se ora è conosciuta da migliaia di persone in tutto il mondo.
INSTAGRAM.COM/LACITYMAG
Lifestyle
“Sembrano tutti più felici di me”: perché nasce la sensazione di disagio davanti alla felicità altrui
Secondo gli psicologi, la sensazione che “gli altri stiano meglio di noi” è un meccanismo umano radicato nell’evoluzione e amplificato dai social media. Riconoscerlo e trasformarlo in consapevolezza può diventare un passo verso una felicità più autentica e personale.
L’illusione della felicità degli altri
Quante volte, scorrendo i social, ci è capitato di pensare: “Sono tutti più felici di me”? È una frase che riecheggia nella mente di molti, spesso accompagnata da una fitta di disagio o da un senso di inadeguatezza. La realtà, però, è molto più complessa di ciò che appare in superficie.
Come spiega la psicoterapeuta e docente di psicologia sociale Maria Rita Parsi, “ci confrontiamo costantemente con gli altri perché il cervello umano è programmato per misurare il proprio valore in relazione al gruppo”. Si tratta di un meccanismo evolutivo: nelle prime comunità umane, osservare e imitare gli altri era essenziale per sopravvivere. Oggi, però, questo confronto si è spostato su un piano emotivo e identitario, diventando fonte di insoddisfazione.
Quando il confronto diventa una trappola
Il fenomeno ha un nome preciso: confronto sociale ascendente, cioè il paragone con chi sembra stare meglio di noi. È una dinamica naturale, ma può trasformarsi in una trappola psicologica. “Il problema nasce quando il confronto non serve più come stimolo a migliorarsi, ma come metro di giudizio della propria felicità”, spiega la psicologa clinica Valentina Bassi.
A rendere il tutto più insidioso ci pensano i social media, dove le immagini mostrano versioni filtrate e selezionate delle vite altrui. Secondo una ricerca pubblicata sul Journal of Social and Clinical Psychology, l’uso intensivo di piattaforme come Instagram o TikTok è correlato a un aumento del senso di solitudine e insoddisfazione personale. “Il cervello non distingue tra realtà e rappresentazione – sottolinea Bassi –: quando vediamo persone sorridenti, lo interpretiamo come prova di una felicità reale, anche se non lo è”.
Dietro la sensazione di disagio
La percezione che “gli altri siano più felici” non dipende solo dai social, ma anche da fattori personali come l’autostima, il livello di soddisfazione nella propria vita e il momento emotivo che si sta attraversando.
“Quando ci sentiamo fragili o stanchi, il confronto diventa più doloroso perché ci colpisce nei punti dove ci sentiamo carenti”, afferma Parsi. “Non è l’altro a renderci infelici, ma la distanza tra ciò che desideriamo essere e ciò che pensiamo di essere davvero”.
Questa dinamica è accentuata da un bias cognitivo noto come “effetto erba del vicino”, per cui tendiamo a sovrastimare la felicità altrui e a sottovalutare la nostra. In realtà, tutti – anche chi appare sereno – affrontano difficoltà invisibili.
Come liberarsi dal confronto costante
Gli esperti concordano su un punto: non si tratta di eliminare il confronto, ma di imparare a riconoscerlo e trasformarlo. “Il primo passo è sviluppare una maggiore consapevolezza emotiva: chiedersi cosa scatena il disagio e perché”, suggerisce Bassi.
Pratiche come la gratitudine quotidiana o la mindfulness aiutano a spostare l’attenzione da ciò che manca a ciò che c’è, riducendo l’effetto negativo del paragone. Anche limitare l’esposizione ai social media può avere un impatto concreto: studi recenti dimostrano che una pausa di due settimane può migliorare l’umore e la percezione di sé.
Infine, è utile ricordare che la felicità non è una gara, ma un percorso personale. “Ognuno ha tempi, obiettivi e definizioni di felicità differenti – conclude Parsi –. Guardare gli altri con curiosità anziché con invidia è il primo passo per tornare a guardare anche sé stessi con maggiore gentilezza”.
L’arte di sentirsi “abbastanza”
Forse la vera sfida della contemporaneità è proprio questa: imparare a sentirsi “abbastanza” in un mondo che spinge costantemente al confronto. Non esiste una felicità universale, ma un equilibrio unico per ciascuno, costruito giorno per giorno tra piccoli gesti, relazioni autentiche e la capacità di accettare anche i momenti di vulnerabilità.
Perché, in fondo, la felicità reale non è quella che si mostra. È quella che si vive, spesso in silenzio, lontano dagli schermi.
Arte e mostre
I presepi più belli d’Italia: viaggio tra le meraviglie della tradizione
Dal Presepe di Manarola al celebre San Gregorio Armeno, dalla Natività dei Frati Cappuccini di Genova ai borghi che si trasformano in palcoscenici a cielo aperto: una guida per scoprire le tappe imperdibili.
Ogni anno, con l’arrivo di dicembre, l’Italia riscopre una delle sue tradizioni più radicate: il presepe. Nato in area mediterranea e codificato nel Medioevo, il presepio si è evoluto in forme diversissime a seconda delle regioni, dando vita a opere artistiche, allestimenti monumentali e vere e proprie scenografie urbane. Ecco una selezione dei presepi più suggestivi che vale la pena visitare.
San Gregorio Armeno, Napoli: la capitale del presepe
Nel cuore di Napoli, la strada dei presepi per eccellenza è un simbolo internazionale dell’artigianato partenopeo. A San Gregorio Armeno si producono pastori e miniature tutto l’anno, con botteghe che tramandano tecniche secolari. Qui convivono statuine della Natività, figure popolari e personaggi contemporanei: un incontro unico tra devozione e creatività.
Il Presepe di Manarola, Liguria: la Natività più grande del mondo
Sulle colline delle Cinque Terre, Manarola ospita un presepe luminoso di dimensioni record. Ideato negli anni Settanta da Mario Andreoli, l’allestimento utilizza migliaia di lampadine e sagome ricavate da materiali riciclati. Ogni dicembre la collina soprastante il borgo si trasforma in un’immensa scenografia visibile anche dal mare, oggi completamente alimentata da energia rinnovabile.
Greccio, Lazio: dove tutto ebbe inizio
Secondo la tradizione francescana, fu a Greccio che nel 1223 San Francesco realizzò il primo presepe vivente della storia. Il santuario che domina il paese offre un percorso museale dedicato alla Natività e ogni anno vengono proposte rievocazioni che riportano l’atmosfera del Medioevo. Una tappa fondamentale per chi vuole riscoprire le origini del presepe.
Il Presepe dei Cappuccini, Genova: un capolavoro di scuola ligure
Nel Museo dei Beni Culturali Cappuccini si trova una delle collezioni presepiali più raffinate d’Italia. Le statue lignee policrome del Settecento, opera di maestri come Anton Maria Maragliano, sono esposte in scenografie che ricostruiscono ambienti quotidiani e paesaggi pastorali. Un esempio magistrale della tradizione artistica ligure.
Città dei Presepi: le mostre e i borghi che si trasformano
Molti centri italiani dedicano interi quartieri alla Natività. A Verona, ad esempio, la grande mostra internazionale nella suggestiva cornice dell’Arena raccoglie presepi provenienti da tutto il mondo. In Umbria, Gubbio propone un presepe meccanico ospitato all’interno della chiesa di San Francesco della Pace, mentre a Matera le rappresentazioni viventi sfruttano l’unicità dei Sassi per creare ambientazioni naturali di grande impatto visivo.
Ceramica e tradizione: il presepe di Deruta
Nel borgo umbro celebre per le sue ceramiche artistiche, ogni anno viene allestito un presepe monumentale con figure in terracotta dipinte a mano secondo la tradizione locale. Un esempio di come l’artigianato regionale possa dare nuova vita alla narrazione sacra.
In Italia il presepe non è soltanto un simbolo religioso: è un linguaggio culturale che varia di regione in regione, un racconto condiviso che ogni anno si arricchisce di nuove interpretazioni. Che si tratti di un borgo intero trasformato in palcoscenico o di un’opera custodita in un museo, visitare questi luoghi significa entrare nel cuore della tradizione natalizia.
Cucina
Castagne, il frutto d’autunno che non ingrassa (se mangiato bene): come sceglierle, cucinarle e usarle perfino per dimagrire
Secche, arrostite o bollite: le castagne possono sostituire il pane, saziano di più e non fanno ingrassare se consumate durante i pasti. Gli esperti spiegano perché alcune cotture le rendono pesanti, quali dolci scegliere e come orientarsi tra castagne italiane e importate, spesso trattate con fitofarmaci. Una guida completa per gustarle senza sensi di colpa.
Le castagne tornano protagoniste dell’autunno e, sorpresa, non sono affatto il nemico della linea. Se consumate nel modo giusto possono addirittura aiutare chi vuole perdere peso, purché inserite all’interno dei pasti e non come merenda o dolcetto d’emergenza. Eppure, tra cotture poco digeribili, varietà nostrane e importazioni massicce, è facile fare confusione.
Il primo mito da sfatare riguarda proprio la dieta: «Ottanta grammi di castagne fresche – circa dieci frutti – equivalgono a 40-50 grammi di pane», spiegano i nutrizionisti. A parità di calorie saziano molto di più, e questo basta a renderle un’arma segreta contro gli attacchi di fame. L’errore comune è mangiarle dopo il pasto, trasformandole in un dolce che appesantisce inutilmente.
La verità sulla digeribilità
Il problema non è la castagna, ma la cottura. Le meno digeribili? Le caldarroste: spesso ben cotte fuori e ancora crude dentro, con amido non idrolizzato difficile da assimilare. Le più caloriche sono quelle secche, mentre la tecnica migliore resta la bollitura in acqua salata, che le rende morbide, omogenee e perfette anche come ingrediente in minestre o risotti.
I dolci sì e quelli no
Con le castagne si possono preparare dessert irresistibili. Il più promosso è il castagnaccio con pinoli e uvetta: semplice, nutriente, perfetto anche per i bambini. Un piccolo strappo concesso anche a chi segue una dieta rigorosa. Diverso il discorso per marron glacé e Mont Blanc, entrambi realizzati con i marroni: buoni, bellissimi, ma da evitare se l’obiettivo è dimagrire.
Come sceglierle davvero
Alla vista sembrano tutte uguali, ma non lo sono. «È difficile riconoscere la provenienza soltanto guardandole», ammette Leonardo Mareschi del nucleo di Polizia ambientale, agroalimentare e forestale. L’unica sicurezza è leggere l’etichetta oppure rivolgersi direttamente ai coltivatori locali. E un motivo c’è: le castagne importate da Paesi come Portogallo, Spagna, Turchia e Albania sono spesso trattate con fitofarmaci, mentre quelle italiane no.
E in Italia il castagno gode di ottima salute: 750mila ettari, di cui 150mila coltivati a marroni, soprattutto in Piemonte, Toscana, Lombardia, Lazio, Campania e Calabria. «Questa è un’ottima annata – spiega Mareschi – grazie alla lotta integrata biologica che ha sconfitto il cinipide galligeno, l’insetto che aveva decimato le produzioni». Il risultato? +25% di raccolto e una resa tra 25 e 30 milioni di chili.
Peccato che, nonostante questo boom, continuino ad arrivare dall’estero oltre 36 milioni di chili l’anno, spesso venduti come italiani. Una ragione in più per leggere le etichette e scegliere consapevolmente.
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