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Anche a Shakespeare piacevano i maschietti: spunta il cuore nascosto dietro al ritratto del conte di Southampton

Il quadretto, datato intorno al 1590, sarebbe stato un dono al poeta e poi restituito. Sul retro, un cuore spezzato inciso forse dallo stesso aristocratico, a suggellare la fine di un amore negato. L’ipotesi divide gli studiosi ma rilancia un mistero vecchio di quattro secoli

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    Shakespeare “in love”, ma forse non con Giulietta o le muse femminili che hanno popolato le sue opere. L’ipotesi di un legame sentimentale tra il più grande drammaturgo inglese e Henry Wriothesley, terzo conte di Southampton, prende nuova forza dopo la scoperta di un simbolo nascosto dietro un suo ritratto: un cuore rosso, spezzato, trafitto da una freccia nera.

    Il ritrovamento è stato fatto dai discendenti del nobiluomo, che custodivano la miniatura dimenticata in un cassetto. Affidato alle studiose Elizabeth Goldring ed Emma Rutheford, il piccolo quadro è stato attribuito al celebre miniaturista Nicholas Hilliard. Ma la sorpresa vera è arrivata sul retro: sotto un doppio fondo, è emersa la figura di un cuore ferito, segno di un amore tormentato.

    Il conte di Southampton, all’epoca appena diciottenne, è ritratto con lunghi capelli ricci, braccialetti di perle ai polsi e un sorriso enigmatico. Un’immagine che, già allora, rompeva i canoni maschili: i bracciali e le chiome fluenti erano considerati effeminati e alimentavano un fascino androgino. Quel ritratto sarebbe stato donato a Shakespeare, che in quegli anni frequentava il giovane aristocratico e da lui riceveva protezione e sostegno economico.

    Gli indizi non finiscono qui. Shakespeare dedicò a Wriothesley due suoi poemi, Venere e Adone e Lo stupro di Lucrezia, con parole di devozione che oggi suonano come dichiarazioni d’amore: «L’amore che dedico al mio Signore è senza fine». Nei sonetti, poi, compaiono versi che molti critici hanno sempre collegato a un “fair youth”, un bel giovane dai capelli arricciati paragonati a una “maggiorana”. Il collegamento con il ritratto è quasi immediato.

    Secondo l’ipotesi delle studiose, la relazione tra i due uomini sarebbe finita nel 1598, quando Shakespeare si sposò. Il conte, sentendosi respinto, avrebbe inciso di proprio pugno la freccia – che ricorda lo stemma del drammaturgo – su quel cuore spezzato. Una sorta di addio personale, nascosto dietro al dono restituito. «Mi sono venuti i brividi quando ho visto la freccia», ha confessato Goldring. «Era chiaro che qualcuno aveva voluto lasciare un segno indelebile».

    Non è la prima volta che la sessualità di Shakespeare viene messa in discussione. L’assenza di testimonianze certe sulla sua vita privata ha lasciato spazio a ipotesi, interpretazioni e fantasie. Ma questo piccolo cuore nascosto apre una pista concreta, che lega il poeta a uno dei personaggi più influenti della corte elisabettiana. Henry Wriothesley non era solo un mecenate: era giovane, affascinante e appassionato di poesia. Troppo perfetto, forse, per non finire al centro dei sentimenti del Bardo.

    Gli storici sono divisi. Per alcuni si tratta di una suggestione affascinante ma non dimostrabile; per altri, è la chiave di lettura definitiva di quei sonetti che ancora oggi vibrano di un amore non convenzionale. Resta però un dato: dietro le maschere teatrali e le pagine immortali, Shakespeare era un uomo che amava. E forse, per un periodo della sua vita, quell’amore aveva il volto androgino di un conte.

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      Sonia Bruganelli: «L’aborto a 24 anni, il tradimento, Paolo e io. Vi racconto tutto quello che mi ha cambiato»

      Sonia Bruganelli si mette a nudo come non aveva mai fatto. Lo fa in un’intervista al Corriere della Sera e nel suo nuovo libro Solo quello che rimane – Autobiografia di una lettrice (Sperling & Kupfer), dove ripercorre la sua vita privata, le sue fragilità e il lungo legame con Paolo Bonolis, l’uomo che ha segnato gran parte della sua esistenza.

      Per la prima volta racconta un episodio che ha inciso profondamente nel suo percorso personale: «Avevo ventiquattro anni quando rimasi incinta. La gravidanza non era cercata, ma avrei voluto che Paolo mi dicesse: “Che bello, questo bimbo è frutto del nostro amore”. Invece, non era pronto. L’ho capito, non l’ho accusato e, fra diventare madre senza di lui o avere lui, ho scelto lui. Ma mi sbagliavo. Pensavo che, dopo l’intervento, tutto sarebbe finito lì. Invece, la rabbia per ciò che mi era stato tolto si è fatta sentire nel tempo».

      Quella scelta, confessa oggi, ha segnato il suo modo di vivere l’amore e la maternità: «Da allora ho cercato di riprendermi quello che non avevo avuto la maturità di scegliere. Ho accumulato errori su errori. Essere madre è sempre stato il mio sogno, ma per anni quella ferita ha condizionato tutto il nostro rapporto».

      Il dolore si è intrecciato alla gelosia e alla difficoltà di accettare le differenze: «Quando Paolo parlava dei suoi figli, mi sentivo lacerata. Pensavo che non mi considerasse abbastanza importante da volere un’altra paternità con me. Gli dicevo: “Zitto, mi ferisci”. Era una situazione tossica».

      Poi la confessione più intima: «Ci siamo sposati perché ci amavamo, ma anche per un intreccio di altre ragioni. Dentro quell’amore c’erano rancori, desideri, bisogno di conferme».

      Nel libro, Bruganelli non elude nemmeno il tema dei tradimenti e della fine del matrimonio: «A un certo punto ho capito che dovevamo lasciarci per restare interi. Non per mancanza d’amore, ma per rispetto. Abbiamo vissuto tanto insieme, e tanto ci sarà ancora, in forme diverse. Il perdono è la più alta forma d’amore».

      Una confessione lucida, adulta e senza orpelli, quella di Sonia Bruganelli, che chiude un cerchio ma non un legame: quello con l’uomo che, nel bene e nel male, continua a far parte della sua storia.

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        Sonia Bruganelli si mette a nudo come non aveva mai fatto. Lo fa in un’intervista al Corriere della Sera e nel suo nuovo libro Solo quello che rimane – Autobiografia di una lettrice (Sperling & Kupfer), dove ripercorre la sua vita privata, le sue fragilità e il lungo legame con Paolo Bonolis, l’uomo che ha segnato gran parte della sua esistenza.

        Per la prima volta racconta un episodio che ha inciso profondamente nel suo percorso personale: «Avevo ventiquattro anni quando rimasi incinta. La gravidanza non era cercata, ma avrei voluto che Paolo mi dicesse: “Che bello, questo bimbo è frutto del nostro amore”. Invece, non era pronto. L’ho capito, non l’ho accusato e, fra diventare madre senza di lui o avere lui, ho scelto lui. Ma mi sbagliavo. Pensavo che, dopo l’intervento, tutto sarebbe finito lì. Invece, la rabbia per ciò che mi era stato tolto si è fatta sentire nel tempo».

        Quella scelta, confessa oggi, ha segnato il suo modo di vivere l’amore e la maternità: «Da allora ho cercato di riprendermi quello che non avevo avuto la maturità di scegliere. Ho accumulato errori su errori. Essere madre è sempre stato il mio sogno, ma per anni quella ferita ha condizionato tutto il nostro rapporto».

        Il dolore si è intrecciato alla gelosia e alla difficoltà di accettare le differenze: «Quando Paolo parlava dei suoi figli, mi sentivo lacerata. Pensavo che non mi considerasse abbastanza importante da volere un’altra paternità con me. Gli dicevo: “Zitto, mi ferisci”. Era una situazione tossica».

        Poi la confessione più intima: «Ci siamo sposati perché ci amavamo, ma anche per un intreccio di altre ragioni. Dentro quell’amore c’erano rancori, desideri, bisogno di conferme».

        Nel libro, Bruganelli non elude nemmeno il tema dei tradimenti e della fine del matrimonio: «A un certo punto ho capito che dovevamo lasciarci per restare interi. Non per mancanza d’amore, ma per rispetto. Abbiamo vissuto tanto insieme, e tanto ci sarà ancora, in forme diverse. Il perdono è la più alta forma d’amore».

        Una confessione lucida, adulta e senza orpelli, quella di Sonia Bruganelli, che chiude un cerchio ma non un legame: quello con l’uomo che, nel bene e nel male, continua a far parte della sua storia.

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          Michele Bravi trasforma la memoria dei nonni in un libro: “Lo ricordo io per te”

          Dopo la canzone e un cortometraggio in arrivo, il volume diventa il terzo tassello del suo percorso creativo dedicato a Graziella e Luigi, con un impegno concreto nella ricerca sull’Alzheimer.

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          Michele Bravi

            Ci sono storie che rimangono ancorate all’anima e che, col tempo, trovano la forza di fiorire. Per Michele Bravi, 29 anni, cantautore e attore originario di Città di Castello, quel seme è la vicenda d’amore dei suoi nonni Graziella e Luigi. Una storia semplice, tenera e allo stesso tempo straordinaria, che l’artista ha deciso di restituire al pubblico con la sensibilità che da sempre caratterizza i suoi progetti artistici.

            Dopo il brano musicale Lo ricordo io per te, uscito il 4 aprile, e in attesa di un cortometraggio con la partecipazione speciale di Lino Banfi, Bravi ha scelto di raccogliere quell’universo familiare in un libro pubblicato lo scorso 30 settembre per Rizzoli, intitolato anch’esso Lo ricordo io per te. Non un’autobiografia, ma una raccolta di fiabe moderne in cui il dolore dell’Alzheimer diventa materia poetica, tradotta in immagini delicate e accessibili anche ai più piccoli.

            Il ricordo come promessa

            Graziella e Luigi non ci sono più, ma per Michele la loro presenza continua a vivere nei dettagli della casa in cui è cresciuto: fotografie, utensili, l’odore della cucina. È da lì che nasce la promessa che dà titolo al progetto: “Lo ricordo io per te”. Un impegno a custodire la memoria anche quando la malattia l’ha erosa.

            “Quando mia nonna si è ammalata di Alzheimer – racconta il cantautore – i ricordi hanno iniziato a giocare a nascondino. Più lei li perdeva, più mio nonno li raccoglieva, come fossero briciole sul sentiero che riporta a casa”.

            Tre linguaggi per un’eredità affettiva

            Il progetto creativo si articola in tre forme: la canzone, il film breve e il libro. Quest’ultimo raccoglie tre racconti: Storia della nebbia, Storia della pioggia e Storia della luna. Nelle pagine si incontrano nonni che continuano a giocare a nascondino nonostante la distanza, due tazzine innamorate che ascoltano la pioggia e un bambino che guarda la Luna per ritrovare le cose perdute.

            “È un libro per nonni e bambini – spiega Bravi – da leggere insieme o da custodire in solitudine. Ho provato a dare una forma creativa a un dolore grande, usando la stessa immaginazione che mio nonno aveva quando mi spiegava cosa stava accadendo a mia nonna”.

            L’impegno contro l’Alzheimer

            Il valore dell’opera non è solo simbolico. Una parte dei proventi del libro sarà infatti destinata ad Airalzh, l’Associazione Italiana Ricerca Alzheimer Onlus. Il volume verrà presentato ufficialmente anche all’Alzheimer Fest di Roma il 4 ottobre, un’occasione in cui l’artista ribadirà il messaggio che porta avanti da tempo: l’Alzheimer non riguarda solo chi ne è colpito, ma investe l’intera rete affettiva e familiare.

            Una memoria che diventa collettiva

            Con questo lavoro Michele Bravi aggiunge un nuovo tassello alla sua carriera già segnata da musica, televisione e cinema. Ma soprattutto dà un esempio di come un’esperienza personale possa trasformarsi in memoria collettiva. “Ho 29 anni – dice – e so che il tempo va usato per creare. Questo libro è la mia promessa: rendere fertili i ricordi che ho ricevuto, piantarli nei cuori degli altri”.

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              Libri

              Sonia Bruganelli si racconta senza filtri: “Nel mio libro metto a nudo i miei errori, il dolore e la rinascita”

              In uscita il 21 ottobre Solo quello che rimane (Sperling & Kupfer), l’autobiografia di Sonia Bruganelli. Un viaggio nella fragilità e nella forza di una donna che ha imparato ad accettarsi dopo anni di sensi di colpa, dolori e rinascite.

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              Sonia Bruganelli

                Sonia Bruganelli torna a far parlare di sé, ma questa volta non come produttrice televisiva o opinionista, bensì come autrice di un libro autobiografico. Solo quello che rimane, in uscita il 21 ottobre per Sperling & Kupfer, è un racconto intimo e coraggioso che attraversa luci e ombre della sua vita privata e professionale.
                Un testo che intreccia memoria, letteratura e introspezione: sette romanzi fanno da filo conduttore alla narrazione, ciascuno legato a una tappa del suo percorso personale.

                Tra questi, L’evento di Annie Ernaux — il libro che l’ha spinta a parlare per la prima volta pubblicamente di un episodio doloroso: un aborto deciso a 24 anni, quando stava con Paolo Bonolis da poco più di un anno. “Quella scelta – scrive Sonia – ha condizionato tutto il nostro rapporto. Da allora ho commesso errori su errori, nel tentativo di riprendermi ciò che non avevo avuto il coraggio di scegliere”.

                Il peso di una decisione e le ferite del passato

                All’epoca, racconta Bruganelli, era una studentessa di Scienze della Comunicazione, indipendente e orgogliosa di mantenersi da sola. La gravidanza non era stata cercata, ma lei avrebbe voluto che Bonolis, già padre di due figli, le dicesse: “Che bello, questo bambino è frutto del nostro amore”. Invece, lui non si sentiva pronto.
                “Fra diventare madre da sola o avere lui, ho scelto lui”, confessa. “Pensavo che, fatto l’intervento, tutto sarebbe finito. Invece, no”.

                Col tempo, il dolore represso si è trasformato in rabbia e senso di colpa, sentimenti che hanno segnato profondamente la loro relazione. Se parlava dei suoi figli, mi sentivo ferita. Era una ferita che non guariva”.

                La maternità e il senso di colpa

                La nascita della loro prima figlia, Silvia, avrebbe dovuto rappresentare un nuovo inizio. Ma la bambina nacque con una cardiopatia e dovette affrontare un intervento urgente. “È stato uno shock – ricorda Sonia –. Pensavo di essere stata punita per aver rinunciato al mio primo bambino”.
                I primi mesi furono un vortice di dolore e senso di fallimento: “Mi vergognavo, mi sentivo inadeguata. Ho inseguito per anni un ideale di maternità perfetta che non esiste”.

                Da quel momento arrivarono altri due figli, Davide e Adele, ma la serenità non fu immediata. Solo con il tempo, racconta, ha imparato ad accettare la realtà e a guardare Silvia con occhi nuovi: “Un giorno mi ha visto piangere e mi ha chiesto ‘perché piangi?’. Lì ho capito che il problema non era lei, ma il mio modo di non accogliere la sua diversità”.

                L’immagine pubblica e la donna privata

                Bruganelli affronta anche il tema dell’immagine pubblica e delle etichette: Mi sono costruita la maschera della stronza per non mostrare la mia fragilità”.
                Essere “la moglie di Bonolis”, ammette, è stato un peso e una sfida: “Non volevo essere solo la moglie del conduttore, ma una professionista autonoma. Ho lavorato dietro le quinte, iniziando dalle fotocopie fino a diventare produttrice”.

                Il successo, però, non ha cancellato le sue insicurezze: “Dicevano che fossi un obolo per avere lui, ma in realtà ho costruito una mia azienda, creato lavoro, sostenuto famiglie”.

                Il crollo e la rinascita

                Nel libro, Sonia racconta anche momenti di crisi profonda: attacchi di panico, disturbi alimentari e la sensazione di non essere mai “abbastanza”.
                “Durante una vacanza a New York ho creduto di avere un infarto. Era solo ansia, ma il corpo mi stava dicendo che non potevo più fingere di essere una famiglia normale”.

                Poi la depressione, la perdita di peso estrema e infine la rinascita, grazie anche al figlio Davide: “Mi ha chiesto: ‘Mamma, ma tu muori?’. Quella frase mi ha salvata. Ho capito che dovevo farmi aiutare”.

                Con l’aiuto di uno psichiatra e un lungo percorso terapeutico, Bruganelli racconta di essere riuscita a fare pace con sé stessa: “Solo quando ho accettato la realtà, la mia vita è cambiata”.

                Oggi e il futuro

                Oggi Sonia Bruganelli e Paolo Bonolis, separati dal 2022, mantengono un rapporto sereno: “Viviamo vicini, ceniamo insieme, ci vogliamo bene”. Accanto a lei, ora, c’è Angelo Madonia, ballerino e coreografo: “È più giovane di me, ma ha vissuto tanto. Con lui ho trovato equilibrio, comprensione e rispetto”.

                Un racconto di verità e resilienza

                Con Solo quello che rimane, Sonia Bruganelli firma un racconto autentico, capace di mescolare introspezione e catarsi. Non un semplice memoir, ma un atto di sincerità che parla di errori, fragilità, femminilità e rinascita.
                “Scrivere questo libro – conclude – è stato come guardarmi allo specchio senza filtri. Per la prima volta non mi giudico: mi abbraccio.”

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