Libri
Claudio Amendola si racconta: dalla gioventù ribelle alla paternità
“Ma non dovevate anda’ a Londra” è il libro scritto da Claudio Amendola che ci permette di conoscere meglio l’uomo dietro l’attore.

Claudio Amendola, l’amato attore e regista italiano, ha pubblicato il libro “Ma non dovevate anda’ a Londra“, Sperling & Kupfer editore, 256 pagine, un’autobiografia che ripercorre i suoi primi 32 anni di vita. Nell’opera, l’attore romano si racconta con sincerità e ironia, rivelando aneddoti sulla sua infanzia, adolescenza e giovinezza, segnate da una grande libertà, ma anche da momenti di difficoltà.
Un’infanzia segnata dalla politica e dal cinema
Figlio d’arte, Amendola è cresciuto in un ambiente artistico e politico. Sua madre, la celebre doppiatrice Rita Savagnone, era una convinta comunista e lo ha coinvolto fin da piccolo nelle sue battaglie ideologiche. Un viaggio in Europa dell’Est, organizzato dalla madre, ha lasciato un segno indelebile nell’animo del giovane Claudio, che ha scoperto l’importanza della libertà e dell’uguaglianza. Ma è stato il padre, Ferruccio Amendola, anch’egli doppiatore di primissimo piano apprezzato da attori di tutto il mondo, a trasmettergli la passione per il cinema. Claudio ha trascorso l’infanzia e l’adolescenza tra set cinematografici e studi di doppiaggio, assorbendo l’atmosfera creativa e l’amore per la recitazione.
Un giovane ribelle e le sue passioni
Raccontandosi Amendola non ha nascosto le sue difficoltà scolastiche e la sua indole ribelle. Ha lasciato la scuola dopo la terza media e ha iniziato a lavorare presto, sperimentando diversi mestieri. Il calcio – e la squadra della Roma di cui è uno sfegatato tifoso – sono stati un’altra grande passione, ma anche una fonte di delusioni. Nel libro l’attore ha ammesso di aver avuto un periodo difficile con la droga, dalla quale è uscito grazie alla consapevolezza di essere padre. Amendola parla anche dei suoi rapporti familiari soprattutto quello con la madre che è stato molto intenso e conflittuale. Con il padre, invece, ha sempre avuto un legame profondo, nonostante le separazioni. L’attore ha raccontato anche dei suoi amori, compresa la relazione con Francesca Neri, di cui parla con grande rispetto e affetto.
La paternità e il successo
Amendola è padre di tre figli. Ha ammesso di non essere stato sempre presente come avrebbe voluto, ma di essere orgoglioso dei suoi ragazzi. L’attore ha sottolineato l’importanza della famiglia e del ruolo di padre nella sua vita. Il successo professionale è arrivato grazie a numerosi film e serie tv, tra cui “I Cesaroni“, che gli ha regalato una popolarità senza precedenti. Amendola ha ammesso di aver apprezzato la sicurezza economica che gli ha garantito questo successo, ma ha anche sottolineato l’importanza di mantenere la propria indipendenza e di non farsi condizionare dal successo.
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Libri
Cronaca di un fallimento: Kamala Harris racconta in “107 Days” la corsa più breve (e disastrosa) alla Casa Bianca
Kamala Harris ha annunciato l’uscita di 107 Days, il volume in cui ripercorre i tre mesi scarsi della sua avventura presidenziale democratica, naufragata tra sondaggi impietosi e fughe di sponsor. La decisione di non candidarsi come governatore della California nel 2026 sembra un passo indietro tattico, in vista di un possibile ritorno alla corsa presidenziale nel 2028

Una corsa lampo, un tonfo fragoroso e ora un libro che tenta di rimettere insieme i cocci. Kamala Harris ha annunciato la pubblicazione di 107 Days, il memoriale della campagna elettorale più breve della storia politica moderna americana: appena tre mesi di tour, comizi e interviste prima della resa, che ha di fatto consegnato la Casa Bianca di nuovo a Donald Trump.
Il volume sarà in libreria il 23 settembre per Simon & Schuster, con la promessa di svelare retroscena e riflessioni di un’esperienza che ha segnato un punto di non ritorno nella carriera politica dell’ex vicepresidente. Nel video di lancio Harris appare sorridente ma provata, e introduce così il libro: «Poco più di un anno fa ho lanciato la mia campagna per la presidenza degli Stati Uniti. Centosette giorni in viaggio per il Paese, lottando per il nostro futuro. È stata la campagna più breve della storia moderna. Dopo aver lasciato l’incarico, ho riflettuto molto su quei giorni e ho scritto un resoconto sincero di ciò che ho visto e imparato».
Dietro le parole, il peso di una sconfitta bruciante. La sua candidatura, nata tra grandi speranze e spinte mediatiche, si è sgonfiata sotto il fuoco incrociato di sondaggi impietosi, raccolte fondi al rallentatore e l’ombra ingombrante di Trump, tornato a dettare legge nel campo avversario.
La Harris, intanto, ha fatto un passo indietro anche a livello locale: ha annunciato che non correrà come governatore della California nel 2026, una mossa interpretata dagli analisti come una pausa strategica in vista di un possibile tentativo di rivincita presidenziale nel 2028.
107 Days si propone come un viaggio dentro errori e lezioni di una campagna-lampo: un racconto di incontri, paure e strategie mai decollate, in cui la politica americana si specchia in un caso emblematico di ascesa bruciata e caduta rapida. Resta da vedere se il libro riuscirà a restituire a Kamala Harris almeno la narrazione di un fallimento dignitoso, mentre Trump brinda al suo secondo mandato e i democratici si leccano le ferite.
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Agatha Christie, la crocerossina che sapeva uccidere: così la regina del giallo imparò l’arte dei veleni
Durante la Prima guerra mondiale la scrittrice si offrì volontaria come assistente farmacista a Torquay, sviluppando la competenza tossicologica che avrebbe reso immortali i suoi delitti letterari.

Tra zollettine di curaro in tasca, manuali di dispensazione e veleni mascherati nella marmellata, Agatha Christie costruì il suo arsenale narrativo durante gli anni in corsia. La sua conoscenza chimica e farmacologica trasformò il giallo in scienza, anticipando metodi e trame che ancora oggi affascinano lettori e studiosi.
Prima di diventare la regina del giallo, Agatha Christie indossò il grembiule bianco della crocerossina. Siamo nel 1914, a Torquay: la giovane Agatha, spinta dal desiderio di contribuire allo sforzo bellico, si offre volontaria in ospedale. È lì che, tra corsie e dispensari, incontra l’ingrediente segreto che renderà micidiale la sua narrativa: la chimica dei veleni.
Come racconta la chimica e saggista Kathryn Harkup nel libro V is for Venom (V come Veleno, Bloomsbury), fu proprio l’esperienza da assistente farmacista a fornirle l’arsenale letale per i suoi futuri romanzi. Nel 1917, Agatha supera l’esame da dispensatrice farmaceutica e comincia a maneggiare sostanze che, a seconda delle dosi, possono curare o uccidere. «Molte delle sostanze presenti nei suoi gialli avevano all’epoca un uso medico», ricorda Harkup. Non a caso, nel suo esordio Poirot a Styles Court, Christie cita direttamente il manuale The Art of Dispensing, che studiava in quegli anni.
A rafforzare la sua curiosità fu l’incontro con un farmacista locale, Mr. P, figura quasi da romanzo. Nella sua autobiografia, Christie lo descrive come un uomo dall’aspetto innocuo ma inquietante, che portava in tasca una zolletta di curaro «perché gli dava un senso di potenza». Da lui imparò dettagli pratici che poi si sarebbero trasformati in omicidi letterari: dalle proprietà della strofantina, veleno di frecce africane usato all’epoca come farmaco cardiaco, fino all’arte di sfruttare la sottile linea che separa la dose terapeutica da quella letale. Tre racconti pubblicati tra il 1937 e il 1958 si basano proprio su questa sostanza.
La Christie sapeva che un buon avvelenamento letterario non si gioca solo sulla sostanza, ma anche sui tempi di azione. Nel romanzo Polvere negli occhi, ad esempio, un uomo d’affari muore apparentemente dopo una tazza di tè. Ma l’indizio è depistante: il veleno non è nel tè, bensì nella marmellata della colazione, che ha mascherato il gusto amaro della tassina, alcaloide tossico del tasso. In Poirot e i quattro, invece, un indizio in punto di morte — “gelsomino giallo” — si rivela la chiave di un avvelenamento da gelsemina, principio attivo di varietà di Gelsemium mortali che in Inghilterra non sopravvivono, segno che la mano dell’uomo ha colpito.
Non solo veleni vegetali: la sua fantasia toccò anche batteri e armi biologiche. In Carte in tavola (1936), un pennello da barba contaminato con antrace richiama un incidente reale del 1915. Ma con la diffusione degli antibiotici negli anni ’40, le sue trame batteriologiche svaniscono: troppo facile salvare una vittima con un’iniezione.
Così, mentre nelle corsie di Torquay iniettava medicinali per salvare vite, nella sua mente Agatha imparava a uccidere persone di carta, trasformando ogni fiala, zolletta o barattolo di marmellata in un potenziale colpo di scena. E la sua penna, come una siringa, non sbagliò mai la dose.
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Woody Allen scrittore a novant’anni: in arrivo il suo primo romanzo, tra nevrosi e sarcasmo
Il regista newyorkese, a pochi mesi dai novant’anni, debutta nella narrativa lunga: protagonista un alter ego ansioso e tragicomico, in una storia che somiglia molto a tutte le sue

Se fosse un suo film, sarebbe l’inquadratura iniziale: un uomo di mezza età, ebreo, colto, nevrotico, seduto su una sedia di psicanalista che lo ascolta solo per finta. Ma non è un film: è il primo romanzo di Woody Allen, in uscita il 24 settembre in contemporanea mondiale. In Italia sarà La nave di Teseo a pubblicarlo, con il titolo Che succede a Baum?. Un esordio tardivo, certo – il regista compirà 90 anni il prossimo 30 novembre – ma anche la prova che Allen, a dispetto delle polemiche e dei declini annunciati, non ha mai smesso di raccontare.
Il protagonista del libro è Ascher Baum, scrittore e drammaturgo newyorkese, ovviamente ebreo, nevrotico, consumato dall’ansia e sull’orlo di perdere la testa. Una parodia dell’intellettuale urbano, tradizione in cui Allen ha sempre nuotato come un pesce: tra Freud, Philip Roth, Kafka, e lui stesso. Baum è, insomma, l’ennesimo doppio alleniano: goffo, insicuro, brillante, tenero, sarcastico fino all’autodistruzione. Un personaggio che – parola di Elisabetta Sgarbi – “entrerà nel pantheon dei suoi caratteri memorabili”.
L’annuncio arriva come una bomba (piccola, arguta, ma pur sempre bomba) nel mondo dell’editoria internazionale. Per anni si era favoleggiato su un romanzo di Allen. Lui ha sempre scritto, certo: raccolte come Rivincite, Senza piume, Effetti collaterali, Pura anarchia, l’autobiografia A proposito di niente, tutte ristampate da La nave di Teseo. Ma questa è la prima volta che si cimenta con la narrativa lunga, con un impianto romanzesco classico. E c’è da scommettere che, dietro la comicità, ci sia anche una riflessione sul fallimento, sull’identità, sull’arte che non consola. Proprio come accade nei suoi film migliori.
La casa editrice americana, Post Hill Press, presenta Che succede a Baum? come una satira brillante sul mondo letterario e sul declino della celebrità. Baum, infatti, vede il proprio editore abbandonarlo, le recensioni diventare tiepide, il prestigio sfumare. Una crisi creativa e personale che ricorda molto da vicino le atmosfere di Crimini e misfatti, Midnight in Paris o Hollywood Ending. Ma la cifra è sempre quella: pungente, ironica, intellettuale, con “una prosa elegante e distesa, con tratti comici”, come garantisce l’editore italiano.
A tradurlo in italiano sarà Alberto Pezzotta, già al lavoro su Zero Gravity e A proposito di niente, e uno dei massimi conoscitori del lessico e dello humour alleniano. “Questo romanzo – dice Sgarbi – non è il primo né l’ultimo, è semplicemente il suo romanzo. Che più suo non potrebbe essere.”
In tempi in cui i registi autobiografici sembrano farsi piccoli per sparire, Allen – il più autobiografico di tutti – raddoppia su carta, tra nevrosi e sarcasmo. Niente cinepresa, niente battute affidate a Diane Keaton o Mia Farrow: stavolta è solo Baum a parlarci. E siamo certi che avrà tanto, tantissimo da dire. Anche perché Woody, in fondo, non ha mai davvero smesso di scrivere.
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