Lifestyle
Maschio d’estate e femmina d’inverno: l’ultima frontiera è il “genere di stagione”
Nel mondo dell’identità di genere, ogni giorno sembra portare una nuova sorpresa. Dall’onda del “gender season” alla recente tendenza dell’ecosessualità, le frontiere dell’espressione individuale si allargano sempre di più. Esaminiamo da vicino queste nuove tendenze, tra l’assurdo e l’innovazione, che stanno ridefinendo il concetto stesso di identità di genere.
La corsa verso l’assurdo non sembra avere mai fine quando si parla di identità di genere. Dopo il Royal Stoke Hospital e le sue venti identità sessuali personalizzate con tanto di bandiere, ci si chiedeva cosa potesse ancora sbucare fuori dal cilindro della religione woke. Ebbene, ecco a voi l’ultima chicca virale: il “gender season”, ovvero il “genere di stagione”.
Ma attendete, c’è di più! Secondo Dee Whitnell, autoproclamatosi non binario, l’identità di genere dovrebbe cambiare con le stagioni. Sì, avete capito bene. Puoi sentirti più maschile in inverno e più femminile in estate, o viceversa, come se fossi una playlist di Spotify con le tue stagioni preferite.
Dee ha precisato che non si tratta di essere determinati dalle stagioni, ma solo influenzati da esse. “Io, ad esempio, mi sento più maschile d’estate. Indosso abiti maschili e tengo i capelli corti. In inverno, invece, adoro i vestiti femminili e porto i capelli lunghi”. Insomma, un’autentica rivoluzione.
Naturalmente, i video sono diventati virali e le reazioni sono state altrettanto spettacolari. C’è chi ha sbottato con un semplice “è una sciocchezza”, mentre altri hanno sottolineato l’evidente banalità della cosa: “Chiamasi vestirsi secondo la stagione, una novità incredibile!”.
Questa “stagione di genere” si inserisce in un panorama già popolato da altre fantastiche categorie, come l’ecosessualità, che vede relazioni erotiche con alberi e piante. Insomma, il futuro dell’identità di genere è luminoso e pieno di sorprese, o forse solo un po’ folle. Chi può dirlo con certezza?
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Animali
Gatto e cane sotto lo stesso tetto: convivenza serena o missione impossibile?
Dalla scelta degli animali all’organizzazione degli spazi, passando per tempi di adattamento e segnali da interpretare: ecco cosa dicono veterinari ed esperti di comportamento sulla convivenza tra cane e gatto.
Cane e gatto, nemici per natura? L’immagine è radicata nell’immaginario collettivo, ma la realtà è più sfumata. Sempre più famiglie italiane condividono la casa con entrambe le specie e, nella maggior parte dei casi, la convivenza è possibile. Non sempre nasce l’amicizia, ma rispetto e tolleranza sì. La differenza la fanno preparazione, pazienza e conoscenza dei bisogni di ciascun animale.
Istinti diversi, linguaggi da tradurre
Il cane è un animale sociale, abituato a comunicare in modo diretto e spesso fisico. Il gatto, invece, è più territoriale, indipendente e sensibile agli stimoli. Questo contrasto può generare incomprensioni: un cane curioso può essere percepito come invadente, mentre un gatto che soffia o scappa può innescare l’istinto di inseguimento. Capire questi codici è il primo passo per evitare conflitti.
L’età conta (e non poco)
Secondo veterinari comportamentalisti, la convivenza risulta più semplice quando almeno uno dei due animali è giovane. Cuccioli e gattini hanno maggiore capacità di adattamento e apprendono più facilmente a interpretare l’altro. Anche gli adulti, però, possono convivere serenamente, a patto che l’introduzione sia graduale e rispettosa dei tempi.
Come presentare cane e gatto
L’incontro iniziale è decisivo. Gli esperti consigliano di evitare il contatto diretto immediato: meglio partire da stanze separate, consentendo agli animali di familiarizzare con gli odori. Le prime interazioni dovrebbero avvenire sotto controllo, con il cane al guinzaglio e il gatto libero di allontanarsi. Forzare il contatto è uno degli errori più comuni.
Spazi separati e risorse dedicate
Una convivenza equilibrata passa anche dall’organizzazione della casa. Il gatto deve poter contare su zone “sicure” e sopraelevate, irraggiungibili dal cane. Ciotole, lettiere e cucce vanno separate per evitare competizione e stress. Questo riduce drasticamente i conflitti, soprattutto nelle prime fasi.
Razza e temperamento: non solo stereotipi
Non esistono razze incompatibili per definizione, ma alcune predisposizioni contano. Cani da caccia o con forte istinto predatorio possono richiedere più lavoro educativo. Allo stesso modo, gatti molto timorosi o territoriali potrebbero impiegare più tempo ad accettare la presenza del cane. Il carattere individuale resta comunque l’elemento decisivo.
I segnali da non ignorare
Soffi, ringhi, posture rigide o marcature eccessive sono campanelli d’allarme. In questi casi è fondamentale intervenire subito, riducendo le occasioni di stress e, se necessario, chiedendo il supporto di un educatore cinofilo o di un veterinario comportamentalista.
Convivenza sì, ma senza forzature
Cane e gatto non devono diventare amici per forza. Una coabitazione serena, fatta di rispetto degli spazi e abitudini compatibili, è già un ottimo risultato. In molti casi, con il tempo, si arriva anche a una sorprendente complicità.
In conclusione, gatto e cane sotto lo stesso tetto non solo è possibile, ma sempre più frequente. Servono tempo, coerenza e attenzione ai segnali: ingredienti fondamentali per trasformare una convivenza potenzialmente difficile in un equilibrio stabile — e, talvolta, in un’insospettabile amicizia.
Animali
Panda ostaggio della crisi Cina-Giappone: Xiao Xiao e Lei Lei tornano a Pechino e Tokyo rischia di restare senza
La disputa tra Pechino e Tokyo finisce per travolgere anche la “diplomazia dei panda”. Xiao Xiao e Lei Lei, nati a Tokyo nel 2021, torneranno in Cina a fine gennaio e l’accordo non verrà rinnovato. Per la prima volta in oltre 50 anni il Giappone rischia di restare senza panda.
A Tokyo si fa la fila per salutare due animali, ma sotto la tenerezza c’è una crepa diplomatica. Code interminabili fin dal mattino, negozi di souvenir presi d’assalto per accaparrarsi magliette, spille e tazze: lo zoo di Ueno è diventato il luogo di un addio collettivo. Xiao Xiao e Lei Lei, i due panda giganti e ultimi presenti nel Paese, lasceranno il Giappone a fine gennaio e torneranno in Cina. Il rientro era previsto da tempo, ma viene anticipato: non più il 20 febbraio, bensì a fine mese.
Dietro la data c’è l’incognita più pesante: non verrà rinnovato l’accordo e, con le tensioni diplomatiche tra Cina e Giappone ormai in corso da circa un mese e mezzo, non si intravedono intese per sostituire la coppia con altri esemplari. Se non verrà siglato un nuovo prestito, per la prima volta in oltre 50 anni il Giappone rischia davvero di restare senza panda.
Ueno assediato: tre ore e mezzo di coda
Per vedere Xiao Xiao e Lei Lei, nati a Tokyo nel 2021, c’è chi ha aspettato tre ore e mezzo. Da lunedì prossimo la visita sarà possibile soltanto su prenotazione, mentre tra il 14 e il 25 gennaio, gli ultimi 12 giorni utili, le fasce orarie saranno assegnate con una sorta di lotteria. La scena è quella tipica delle grandi partenze: la gente arriva presto, si organizza, scatta foto, compra l’ultimo ricordo. Ma qui il ricordo ha la forma di due panda e il sapore amaro di una rottura.
La crisi che “morde” anche la diplomazia dei panda
Nelle ultime settimane Pechino ha messo in guardia i propri cittadini dal recarsi in Giappone, ha annullato concerti ed eventi e ha bloccato l’import di prodotti ittici. Tokyo, dal canto suo, ha denunciato manovre militari cinesi ritenute pericolose in acque e cieli. In questo clima, la disputa minaccia mezzo secolo di “diplomazia dei panda”, un indicatore non ufficiale delle relazioni tra la Cina e il resto del mondo. A innescare l’ultima crisi, nel racconto che circola, sono anche le parole della premier nipponica Sanae Takaichi, che il 7 novembre ha detto che un ipotetico attacco cinese a Taiwan potrebbe provocare una risposta militare di Tokyo. Oggi Takaichi ha provato a stemperare, dichiarando che il Giappone è “sempre aperto” al dialogo.
Dal regalo all’affitto: come funziona davvero il “prestito”
La Cina inviò la prima coppia di panda in Giappone nel 1972 per celebrare la normalizzazione delle relazioni diplomatiche. Da allora Tokyo non era mai rimasta senza, anche in fasi turbolente. Pechino presta gli animali in segno di amicizia ma mantiene la proprietà, e i cuccioli nati all’estero non fanno eccezione. I genitori di Xiao Xiao e Lei Lei, Shin Shin e Ri Ri, sono rientrati in Cina nel 2024 dopo un prestito durato 13 anni. Dalla metà degli anni ’80 i panda non si regalano più: si affittano, circa un milione di euro l’anno, fondi destinati alla conservazione della specie. Prestiti aumentati durante gli anni di Xi Jinping, che, secondo quanto si racconta, firmerebbe personalmente ogni autorizzazione.
La storia dei panda, qui, smette di essere solo zoologia: diventa un termometro politico. E mentre a Ueno si consumano gli ultimi scatti e le ultime code, la domanda resta sospesa come un cartello all’ingresso: dopo fine gennaio, chi riempirà quel recinto vuoto?
Cucina
Pandolce genovese: il dolce delle feste che racconta la Liguria
Dalle origini nella Repubblica di Genova ai due impasti — alto e basso — oggi simboli del Natale ligure. La ricetta tradizionale e le curiosità storiche di uno dei dolci più antichi d’Italia.
Profuma di anice, agrumi e frutta candita, ed è uno dei dolci più rappresentativi del Natale italiano. Il pandolce genovese (o “pan döçe”) affonda le sue radici nella storia della Repubblica marinara, quando Genova era un porto ricco di spezie e commerci. Ancora oggi è immancabile sulle tavole liguri e al centro di una tradizione che si rinnova ogni dicembre.
Le origini: un dono alla Repubblica
Il pandolce nasce tra il XVI e il XVII secolo, periodo in cui la città era un crocevia di scambi tra Mediterraneo, Oriente e Nord Europa. L’impasto ricco, con uvetta, pinoli e spezie, ricalcava i dolci “da viaggio” diffusi nelle repubbliche marinare.
Secondo alcune ricostruzioni storiche, fu il doge Andrea Doria a incoraggiare la creazione di un dolce simbolico che rappresentasse prosperità e buon auspicio. Per questo il pandolce veniva preparato soprattutto per Natale e consumato fino all’Epifania: doveva essere nutriente e ben conservabile, qualità indispensabili in un’epoca in cui gli ingredienti erano preziosi.
Le due versioni: alto e basso
Oggi il pandolce esiste in due varianti:
• Pandolce alto
È il più antico. Si prepara con lievito madre o lievitazione lunga; risulta più soffice, simile a un pane brioche. Richiede tecniche più impegnative e diverse ore di riposo.
• Pandolce basso
È l’evoluzione ottocentesca — più moderna — nata con l’introduzione del lievito chimico. È friabile, compatto e ricorda quasi una frolla morbida. È quello più diffuso nelle case, perché semplice da realizzare.
Entrambe le versioni prevedono ingredienti ricorrenti: uvetta, pinoli, cedro candito, zibibbo o acqua di fiori d’arancio.
La tradizione del “taglio del pandolce”
In molte famiglie liguri è ancora viva la consuetudine che il membro più giovane della casa porti il pandolce in tavola, mentre il capofamiglia ne taglia la prima fetta, riservandola a un ospite inatteso o ai più poveri. Una ritualità che celebra ospitalità e condivisione.
La ricetta del pandolce genovese (versione bassa tradizionale)
Ingredienti (per un pandolce da 1 kg circa)
- 500 g di farina 00
- 150 g di zucchero
- 150 g di burro morbido
- 2 uova
- 150 g di uvetta ammollata
- 80 g di pinoli
- 120 g di cedro candito o misto canditi
- 1 bustina di lievito per dolci
- 1 cucchiaio di acqua di fiori d’arancio o scorza grattugiata di arancia
- 1 cucchiaio di semi di finocchio o anice (facoltativo, tipico di alcune zone)
- 1 pizzico di sale
Procedimento
- Ammollare l’uvetta
Mettete l’uvetta in acqua tiepida per circa 15 minuti, poi strizzatela bene. - Preparare l’impasto
In una ciotola lavorate il burro con lo zucchero fino a ottenere una crema chiara. Unite le uova una alla volta, mescolando. - Aggiungere gli aromi
Incorporate l’acqua di fiori d’arancio (o la scorza), i semi di anice e un pizzico di sale. - Unire la farina
Aggiungete la farina setacciata insieme al lievito. Amalgamate fino a ottenere un impasto morbido ma modellabile. - Inserire frutta e pinoli
Incorporate uvetta, canditi e pinoli distribuendoli uniformemente. - Dare la forma
Create una pagnotta rotonda e incidete una croce superficiale sulla sommità: è il segno distintivo del pandolce tradizionale. - Cottura
Cuocete in forno statico a 170 °C per circa 45–50 minuti. Se la superficie scurisce troppo, coprite con carta forno. - Raffreddamento
Lasciate raffreddare completamente: il pandolce migliora dopo qualche ora, quando gli aromi si assestano.
Un patrimonio gastronomico che resiste al tempo
Il pandolce genovese continua a essere un ambasciatore della tradizione ligure, apprezzato anche fuori regione e spesso inserito nei prodotti tipici tutelati dalle associazioni locali. Tra i dolci natalizi italiani, è uno dei pochi ad avere una storia documentata che attraversa secoli, commerci e culture.
Prepararlo in casa significa portare in tavola un pezzo di storia, oltre che un profumo inconfondibile di festa. È il sapore del Natale ligure, immutabile e rassicurante, che ogni anno conquista nuove generazioni.
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