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Numeri da record per Dengue e West Nile in Europa

L’Europa si trova di fronte a una sfida sanitaria significativa con la diffusione delle malattie trasmesse dalle zanzare. La combinazione di cambiamento climatico, viaggi internazionali e urbanizzazione rende cruciale l’adozione di misure preventive e di controllo per proteggere la popolazione da queste minacce emergenti.

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In arrivo nelle prossime settimane alcune malattie tropicali trasmesse dalle zanzare

    Per le prossime settimane e fino alla fine dell’estate in Europa è prevista una emergenza zanzare e di diffusione di malattie tropicali.

    Finora sono sempre state considerate malattie tropicali, tranne qualche raro caso lontane migliaia di chilometri dal continente europeo. E invece… Invece l’imminente stagione estiva ci riserva l’arrivo in grande stile di Dengue, Chikungunya, West Nile e Zika. L’Europa potrebbe ritrovarsi di fronte a un’epidemia senza precedenti.

    Dengue, Chikungunya e Zika: le nuove minacce

    La febbre Dengue, nota per i suoi sintomi debilitanti e le febbri emorragiche, sta diventando sempre più comune. Nel 2023, l’UE ha registrato 130 casi autoctoni, quasi il doppio rispetto ai 71 casi del 2022. Con l’aumento dei viaggi internazionali, il rischio di casi importati ed epidemie locali è in costante crescita. L’Ecdc prevede che nel 2024 i casi di Dengue potrebbero raggiungere i 10-15 mila. La malattia è trasmessa dalle zanzare Aedes (in particolare Aedes aegypti a livello globale e Aedes albopictus in Europa), che si riproducono all’interno o intorno agli habitat umani. Endemica in più di 100 paesi in Africa, nelle Americhe, nel sud e nel sud-est asiatico e nella regione del Pacifico occidentale.

    Dalle Piramidi con furore

    Il virus del Nilo occidentale ha già causato 713 casi umani nel 2023, con 67 decessi. La diffusione geografica del virus sta aumentando, con nuove regioni colpite ogni anno. L’Europa sta già assistendo a condizioni climatiche favorevoli alla diffusione delle zanzare, che possono portare a un’ulteriore espansione di questa malattia. Il virus del Nilo occidentale viene trasmesso tra gli uccelli attraverso la puntura di zanzare Culex infette e, incidentalmente, gli esseri umani e altri mammiferi (ad esempio i cavalli) possono essere infettati. Circa l’80% delle infezioni da virus del Nilo occidentale nell’uomo sono asintomatiche.

    Non esiste alcuna profilassi o trattamento specifico

    La febbre del Nilo occidentale è la manifestazione clinica più comune ed è caratterizzata da un’insorgenza improvvisa di sintomi che possono includere mal di testa, malessere, febbre, mialgia, vomito, eruzione cutanea, affaticamento e dolore oculare. Le persone anziane e immunocompromesse sono a maggior rischio di sviluppare la malattia neuroinvasiva che può essere fatale.

    Il ruolo del cambiamento climatico e dei viaggi internazionali

    La proliferazione delle zanzare è causato soprattutto dal cambiamento climatico che sta creando ambienti ideali perché questi insetti possano colonizzare nuove aree geografiche. Andrea Ammon, direttore dell’Ecdc, avverte che queste condizioni aumenteranno il rischio di epidemie locali.

    Aedes albopictus e Aedes aegypti sono i principali vettori

    La zanzara tigre (Aedes albopictus) e l’Aedes aegypti sono i principali vettori di queste malattie. L’Aedes albopictus ormai è presente in 13 paesi dell’UE/SEE – tra cui l’Italia – e continua a diffondersi. L’Aedes aegypti, vettore di febbre gialla, Dengue, Chikungunya e Zika, per ora si è stabilita a Cipro ma entro fine giugno si prevede possa emigrare sulle coste greche e italiane.

    Prevenzione e misure di controllo

    Per combattere questa crescente minaccia l’Ecdc sottolinea l’importanza di misure di protezione personale, controllo dei vettori, sorveglianza tempestiva e attività di sensibilizzazione. La rimozione dell’acqua stagnante, l’uso di indumenti protettivi e repellenti per zanzare sono fondamentali per ridurre il rischio di infezioni.

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      Quando il cane diventa adulto: segnali, tempi e consigli per affrontare l’adolescenza canina

      Capire quando termina davvero l’adolescenza del cane aiuta a gestire meglio questa fase cruciale e a costruire un rapporto sereno e duraturo con il proprio compagno a quattro zampe.

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      Quando il cane diventa adulto

        L’adolescenza canina è un periodo complesso, una sorta di “terra di mezzo” in cui il cucciolo non è più tale, ma non è ancora un adulto stabile ed equilibrato. Come accade negli esseri umani, anche nei cani questa fase è scandita da cambiamenti fisici, ormonali e comportamentali che influenzano profondamente il loro modo di reagire al mondo. Riconoscere i segnali della crescita e capire quando il cane ha raggiunto la maturità può aiutare a prevenire incomprensioni e a impostare un’educazione più efficace.

        Il corpo che cambia: i segnali fisici della maturità

        Uno dei primi indicatori dell’ingresso nell’età adulta è il completamento della crescita corporea. Le tempistiche variano sensibilmente in base alla taglia: le razze piccole tendono a raggiungere la maturità fisica già intorno ai 10-12 mesi, mentre quelle medie e grandi possono impiegare dai 18 ai 24 mesi, con alcune razze giganti che maturano anche più tardi.

        Quando l’aumento di peso e altezza si stabilizza, significa che il cane ha completato la fase di sviluppo più intenso.

        Un altro segnale evidente è la dentatura definitiva. I denti da latte lasciano progressivamente il posto a quelli permanenti già intorno ai 5-7 mesi, ma la struttura mascellare continua a completarsi nel corso dell’adolescenza. Una bocca completa e stabile indica che il cane ha superato una tappa essenziale della crescita.

        Dal caos alla calma: i comportamenti che segnano la fine dell’adolescenza

        Molti proprietari conoscono bene il carattere “ribelle” dei cani adolescenti: improvvisi picchi di energia, disobbedienza selettiva, difficoltà di concentrazione. Questo accade perché il cervello è ancora in formazione, soprattutto le aree legate al controllo degli impulsi.

        Quando il cane si avvicina alla maturità, questi comportamenti iniziano a ridursi. Il cane appare più sereno, reattivo ai comandi e capace di mantenere l’attenzione durante l’addestramento. Anche episodi legati allo stress — come marcature eccessive o eliminazioni in casa — diventano più rari.

        Non si tratta solo di “buona educazione”, ma di un vero cambiamento neurobiologico che permette al cane di gestire meglio emozioni e stimoli esterni.

        Come accompagnare il cane attraverso l’adolescenza

        Affrontare questa fase richiede un mix di pazienza, costanza e strategie mirate. Gli esperti concordano su alcuni punti chiave:

        • Routine di addestramento coerente: anche quando sembra che il cane ignori i comandi, la continuità aiuta a consolidare le buone abitudini.
        • Stimoli mentali adeguati: giochi di problem solving, attività olfattive, esercizi cognitivi migliorano autocontrollo e concentrazione.
        • Movimento quotidiano: le uscite regolari e l’attività fisica aiutano a sfogare l’energia in eccesso, prevenendo comportamenti distruttivi.
        • Socializzazione controllata: interazioni positive con altri cani e ambienti nuovi contribuiscono a sviluppare sicurezza e stabilità emotiva.

        Un percorso individuale

        Non esiste un’età universale in cui il cane diventa adulto: ogni animale segue il proprio ritmo, influenzato da genetica, ambiente, esperienze e relazione con il proprietario. Alcuni cani raggiungono la stabilità già prima dei 12 mesi, altri impiegano due anni o più.

        Ciò che conta davvero è osservare il cane, riconoscere i segnali del cambiamento e accompagnarlo con rispetto e consapevolezza. Con un supporto adeguato, anche il cucciolo più irruento può trasformarsi in un adulto equilibrato, collaborativo e felice — il compagno di vita che tutti desideriamo.

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          Il gatto annusa il cibo ma non mangia: cosa ci sta comunicando?

          Tra gusti difficili, abitudini ferree e possibili disturbi fisici o emotivi, il rifiuto del cibo è un segnale da non sottovalutare. Ecco come interpretarlo e quando rivolgersi al veterinario.

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          Il gatto annusa il cibo

            Per chi convive con un gatto, il momento del pasto può trasformarsi in un piccolo enigma quotidiano: ci si avvicina alla ciotola, annusa con attenzione… e poi niente. Nessun boccone. Un comportamento apparentemente inspiegabile, che però ha motivazioni precise. Il gatto è un carnivoro obbligato: la sua dieta naturale richiede proteine animali di qualità, fondamentali per il funzionamento di muscoli, cervello e persino dell’apparato visivo. Questo lo rende un animale molto selettivo e sensibile a odore, consistenza e freschezza del cibo.

            Il senso dell’olfatto nei felini è altamente sviluppato: per loro, il profumo del cibo è il primo criterio per decidere se è adatto o meno. Un alimento poco appetitoso, troppo freddo o di bassa qualità può bastare per far scattare il rifiuto, anche quando lo stomaco brontola. Inoltre, i gatti sono animali abitudinari al limite del capriccio: spesso si affezionano a una marca, un aroma o una consistenza e possono ignorare tutto il resto.

            Quando il problema non è la “pignoleria”

            Non sempre però è una questione di gusti. Un gatto che annusa il cibo e non mangia potrebbe essere alle prese con dolore o malessere. Tra le possibili cause:

            • malattie gastrointestinali (gastrite, infiammazioni intestinali)
            • problemi dentali o gengivali che rendono dolorosa la masticazione
            • insufficienza renale o epatica, disturbi metabolici come il diabete
            • nausea legata a infezioni, parassiti o terapie farmacologiche

            Il rifiuto del cibo può essere anche un campanello d’allarme di stress e ansia: un trasloco, lavori in casa, l’arrivo di un nuovo animale o anche solo una ciotola spostata in un punto troppo rumoroso possono alterare l’appetito. Per i gatti, un ambiente sereno è essenziale quanto il cibo stesso.

            Come possiamo aiutarlo?

            La prima regola è osservare. Il gatto cambia comportamento? È più apatico? Ha nausea, diarrea, difficoltà a deglutire? Se l’inappetenza dura oltre 24–48 ore, è necessario contattare il veterinario: nei felini un digiuno prolungato può portare a lipidosi epatica, una condizione molto pericolosa.

            Nel frattempo, si possono mettere in pratica alcuni accorgimenti:

            • proporre cibo umido o più profumato
            • riscaldare leggermente l’alimento per intensificarne l’aroma
            • offrire pasti piccoli ma più frequenti
            • garantire un luogo tranquillo per mangiare, lontano da rumori o competizione

            La ciotola deve essere pulita, posizionata lontano dalla lettiera e dall’acqua, e i cambi nella dieta vanno introdotti gradualmente, per non generare diffidenza.

            Ascoltare i segnali del nostro felino

            Il gatto non è un animale da “ricatto alimentare”: se rifiuta il cibo, ci sta comunicando qualcosa. A volte è solo un gusto difficile, altre è un disturbo nascosto che va identificato e curato. Comprendere il suo linguaggio, prevenire lo stress e scegliere un’alimentazione adeguata sono i passi giusti per garantire a Micio una vita lunga e serena.

            Prendersi cura del suo appetito significa prendersi cura della sua salute. E questo, per chi lo ama, non è mai un dettaglio.

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              Quando lanciare la palla non basta più: i cani “dipendenti da gioco” esistono davvero

              Studio su oltre 100 cani mostra che alcuni sviluppano un attaccamento patologico a giocattoli o palline, ignorando cibo e contatti sociali. Cosa significa per chi ha un cane e come intervenire per non sbagliare.

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              Quando lanciare la palla non basta più

                Un gesto ormai familiare per tantissimi proprietari: lanciare una palla, vederla rincorsa con gioia e ricevere in cambio un coraggioso riporto. È una scena che definisce l’amicizia tra cane e padrone. Ma secondo una ricerca pubblicata di recente, in alcuni casi quell’entusiasmo può trasformarsi in qualcosa di molto diverso: un attaccamento esasperato al gioco, addirittura paragonabile a una forma di dipendenza.

                Lo studio, condotto da ricercatori della Vetmeduni Vienna e dell’Università di Berna, e pubblicato su Scientific Reports, ha coinvolto 105 cani — di varie razze, età e sesso — considerati fortemente motivati al gioco.

                Cosa hanno scoperto i ricercatori

                Attraverso una serie di prove — chiamata “Addictive-like Behaviour Test” (AB-Test) — gli scienziati hanno osservato come i cani reagivano quando il loro giocattolo preferito veniva reso inaccessibile (posto su uno scaffale, dentro una scatola, tolto momentaneamente). Risultato: 33 su 105 hanno mostrato comportamenti riconducibili a una “dipendenza da gioco”, con caratteristiche simili a quelle delle dipendenze comportamentali negli esseri umani.

                Tra questi segnali:

                • ossessione per il giocattolo: fissazione sull’oggetto anche se indisponibile;
                • ignorare altri stimoli: cibo, coccole o distrazioni non intervenivano come alternative;
                • tentativi persistenti di recupero: abbai, piagnucolii, agitazione, anche a fronte della privazione;
                • difficoltà a calmarsi dopo la rimozione del giocattolo, con ansia o agitazione protratta.

                Non si tratta però di una condanna universale: molti cani amano giocare senza sviluppare queste tendenze “compulsive”. Secondo gli autori, la casistica indica che solo una minoranza — ma significativa — può essere definita “a rischio”.

                Le razze più rappresentate nel gruppo con comportamenti “addict-like” sono state quelle selezionate per lavoro, resistenza e “drive” elevato: pastori (soprattutto) e terrier.

                Da dove nasce il fenomeno

                Secondo i ricercatori, alla base ci sarebbe una combinazione di fattori genetici e ambientali. Alcune razze — per istinto selezionato nei secoli — sono predisposte a un forte impulso a inseguire, catturare e riportare: caratteristiche utili per la caccia, la guardia o il lavoro agricolo. In una famiglia moderna, senza pecore da rincorrere né prede da stanare, quella spinta può concentrarsi su una palla o un giocattolo, trasformando un’attività sana in un’ossessione.

                Inoltre, la natura stessa del gioco per il cane — attivazione, rincorsa, stimolo motorio — può innescare una reazione neurochimica che stimola un circolo di ricerca continua di piacere, simile al meccanismo delle dipendenze comportamentali.

                Quando “gioco” diventa un problema

                Non tutti i cani che adorano giocare hanno un disturbo, ma chi lo sviluppa rischia conseguenze concrete:

                • stress cronico, agitazione, incapacità di rilassarsi;
                • trascurare bisogni fondamentali come cibo, riposo o interazione sociale;
                • difficoltà nell’obbedienza e nell’apprendimento, perché la fissazione sul giocattolo prevale su ogni cosa;
                • potenziale aumento di comportamenti distruttivi se l’oggetto è inaccessibile.

                Gli esperti avvertono: è sbagliato demonizzare il gioco, ma è importante riconoscere quando il gioco non è più un piacere, ma una compulsione.

                Cosa può fare un proprietario responsabile

                La buona notizia è che il comportamento può essere gestito o mitigato. Alcuni consigli pratici suggeriti dagli stessi autori dello studio:

                • alternare il gioco con altri tipi di attività: passeggiate, esercizi di obbedienza, giochi di ricerca o masticazione;
                • evitare di usare la palla in modo esclusivo come “ricompensa” continua: giochi cooperativi e variegati aiutano a diversificare gli stimoli.
                • stabilire un rituale chiaro di “inizio–fine gioco”: quando il giocattolo torna in borsa o in armadio, il cane capisce che è terminato.
                • in caso di stress, ansia o difficoltà evidenti (rifiuto del cibo, agitazione, distruttività), consultare un educatore cinofilo o un comportamentalista: potrebbe essere necessario un percorso personalizzato.

                Una scoperta che apre interrogativi

                Lo studio rappresenta il primo passo verso la comprensione scientifica di un fenomeno lungo tempo solo aneddotico. I ricercatori sottolineano però che non è ancora corretto parlare di “dipendenza patologica” nel senso clinico del termine. Serve ulteriore lavoro per capire quanto questi comportamenti incidano a lungo termine sul benessere psicofisico dei cani, e per verificare se certe razze o condizioni particolari siano più vulnerabili.

                Ciononostante, la scoperta offre nuovi strumenti e consapevolezza ai proprietari: un invito a guardare con attenzione non solo al comportamento felice e affettuoso del cane, ma anche ai suoi momenti di fissazione, stress o ansia. Perché l’amore per il proprio compagno a quattro zampe significa anche saper riconoscere quando un gioco non è più sano.

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