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Società

Il gioco perduto: bambini chiusi in casa tra schermi e tecnologia

Tra smartphone, videogiochi e tv, i bambini stanno abbandonando il gioco all’aperto, perdendo occasioni di socializzazione e sviluppo. Il governo britannico corre ai ripari con una “strategia nazionale del gioco”, obbligando le scuole a garantire momenti di svago all’aperto. Riuscirà questa misura a contrastare l’isolamento digitale delle nuove generazioni?

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    Negli ultimi anni, il tempo che i bambini trascorrono all’aperto è diminuito drasticamente, sostituito da ore passate davanti agli schermi di smartphone, tablet, televisori e videogiochi. Questo fenomeno, che ha radici profonde nell’evoluzione tecnologica e sociale, ha portato molti governi a interrogarsi sul futuro delle nuove generazioni e sugli effetti di questa abitudine sulla loro crescita. Il Regno Unito ha deciso di intervenire con una proposta concreta: introdurre una strategia nazionale del gioco, affinché le scuole garantiscano attività all’aperto durante le pause e incoraggino i bambini a riscoprire il piacere del gioco fisico e della socializzazione diretta.

    In passato, il gioco per strada era una parte fondamentale dell’infanzia

    Le generazioni più anziane ricordano con nostalgia le giornate passate nei parchi, nei cortili e nelle piazze, esplorando il mondo e costruendo relazioni attraverso il movimento e l’interazione reale. Oggi, invece, solo uno su quattro dei bambini dice di giocare all’aperto con una certa regolarità. Il resto della loro quotidianità si svolge principalmente al chiuso, tra attività scolastiche e tempo libero gestito attraverso dispositivi elettronici. Questo cambiamento ha portato conseguenze significative. Una maggiore sedentarietà, una riduzione delle capacità motorie e un impatto negativo sulle abilità sociali, poiché la comunicazione attraverso uno schermo non sostituisce il valore dell’interazione diretta.

    Bambini troppo protetti mentre la società peggiora

    Uno dei fattori che ha contribuito a questa trasformazione è l’iper-protezione dei genitori, che rispetto al passato tendono a essere più apprensivi e meno disposti a lasciare i figli esplorare autonomamente. La paura di pericoli, incidenti o incontri indesiderati ha reso le famiglie più diffidenti verso il gioco libero all’aperto. Inoltre, l’aumento del traffico nelle città ha ridotto gli spazi sicuri dove i bambini possono giocare senza rischi.

    Quella tecnologia che chiude gli orizzonti invece che aprirli

    Ma il principale motore di questo cambiamento rimane la tecnologia. Smartphone e videogiochi offrono intrattenimento immediato e coinvolgente, creando dipendenza e sostituendo esperienze di gioco più fisiche e dinamiche. I social media e le piattaforme di streaming rendono ancora più allettante stare in casa, costruendo un ambiente in cui tutto è accessibile senza dover uscire. Per molti bambini, l’esplorazione del mondo avviene attraverso lo schermo e non attraverso l’esperienza diretta.

    Le conseguenze? Obesità, poco concentrazione e difficltà a esprimere emozioni

    Le conseguenze di questo fenomeno sono ormai visibili: l’aumento dell’obesità infantile, difficoltà nella gestione delle emozioni, minore capacità di concentrazione e problemi nel relazionarsi faccia a faccia con gli altri. Alcuni studi hanno evidenziato che il gioco all’aperto aiuta a sviluppare la creatività, la capacità di risolvere problemi e l’empatia, mentre l’isolamento digitale porta spesso a forme di ansia e insicurezza.

    Bambini: tutti fuori all’aria aperta…

    Per questo il governo britannico sta cercando di invertire la tendenza con un intervento legislativo che garantisca ai bambini il diritto alla ricreazione. In Scozia e in Galles questa disposizione è già in vigore, mentre in Inghilterra si punta a renderla obbligatoria, affinché tutte le scuole offrano opportunità di gioco all’aperto durante l’intervallo. Si tratta di una misura che potrebbe migliorare la salute fisica e mentale dei bambini, riportando nelle loro vite il valore dell’esplorazione e del gioco libero.

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      Società

      Solo sì è sì: via libera alla riforma sul consenso sessuale. Un voto storico in Commissione Giustizia

      Approvato all’unanimità il mandato al relatore per modificare l’articolo 609-bis del Codice penale: al centro, il principio del libero consenso. Maggioranza e opposizione unite per una svolta culturale attesa da anni.

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      consenso sessuale

        Una riforma che cambia prospettiva

        La Commissione Giustizia della Camera ha approvato all’unanimità il mandato al relatore per la proposta di legge che modifica l’articolo 609-bis del Codice penale, relativo alla violenza sessuale.
        La novità più significativa riguarda l’introduzione esplicita del principio del libero consenso: ogni atto sessuale privo di consenso verrà riconosciuto come stupro.

        Si tratta di una svolta attesa da anni nel dibattito giuridico e politico italiano, che allinea finalmente l’ordinamento nazionale agli standard internazionali fissati dalla Convenzione di Istanbul, ratificata dall’Italia nel 2013.

        “Solo sì è sì”: la svolta culturale

        L’approvazione ha suscitato consenso trasversale. La segretaria del Partito Democratico Elly Schlein ha espresso soddisfazione sui social, accompagnando il messaggio con una foto in cui stringe la mano alla premier Giorgia Meloni, simbolo di un raro momento di unità politica:

        “Senza consenso è sempre violenza. Solo sì è sì! In Commissione Giustizia abbiamo approvato una norma importantissima che introduce per la prima volta il principio del libero consenso. Finalmente si chiarisce che ogni atto sessuale senza consenso è stupro”.

        Schlein ha definito la riforma “una svolta culturale fondamentale nel contrasto alla violenza di genere” e un segnale di maturità politica: “Abbiamo dimostrato che su questo tema si può trovare un terreno comune tra maggioranza e opposizione per far fare un passo avanti al Paese”.

        Cosa cambia con la modifica dell’articolo 609-bis

        Il testo del nuovo articolo 609-bis non si limita a punire gli atti sessuali compiuti con violenza, minaccia o abuso, ma riconosce come reato ogni rapporto avvenuto senza un consenso esplicito e libero.
        In sostanza, non è più la presenza di forza fisica o coercizione a definire lo stupro, ma l’assenza di un “sì” chiaro e consapevole.

        Questo approccio recepisce il principio alla base delle riforme già adottate in diversi Paesi europei, come la Spagna, che nel 2022 ha introdotto la legge “Solo sí es sí”, e la Svezia, che dal 2018 riconosce la violenza sessuale anche in assenza di consenso espresso.

        Un principio riconosciuto anche dall’Europa

        Il principio del consenso libero e informato è al centro della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, nota come Convenzione di Istanbul.
        L’articolo 36 del testo stabilisce che gli Stati firmatari devono assicurare che ogni atto sessuale compiuto senza consenso costituisca reato.

        Con questa modifica, l’Italia si adegua pienamente a tali disposizioni, colmando un vuoto normativo che in passato aveva generato interpretazioni controverse nei tribunali.

        Le reazioni politiche e sociali

        Anche dalle file della maggioranza sono arrivati commenti positivi. Il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro ha parlato di “un passo di civiltà che unisce il Paese”, mentre diverse associazioni femministe e centri antiviolenza hanno accolto con favore la notizia, sottolineando come la legge “metta finalmente al centro la volontà della persona”.

        Organizzazioni come Non una di meno e D.i.Re – Donne in rete contro la violenza hanno ricordato che “il riconoscimento del consenso è la base per cambiare la cultura dello stupro, ancora troppo legata al concetto di coercizione fisica e non di libertà personale”.

        Un messaggio che supera le differenze

        Il voto unanime della Commissione è stato letto come un segnale forte di unità in un contesto politico spesso polarizzato.
        La stretta di mano tra Meloni e Schlein, diventata virale sui social, ha rappresentato non solo un gesto di cortesia istituzionale, ma un simbolo di collaborazione su un tema che tocca i diritti fondamentali delle donne e delle persone.

        La proposta di legge approderà ora in Aula per il voto definitivo, ma l’accordo bipartisan lascia presagire un iter parlamentare rapido.

        Una legge che guarda al futuro

        Se approvata, la riforma segnerà un cambio di paradigma nel diritto penale italiano e nella percezione sociale del consenso.
        Il messaggio è chiaro: la libertà sessuale si fonda sul consenso, non sulla resistenza.

        Come ha sintetizzato una delle promotrici della legge, “questa non è solo una modifica del codice penale, ma un passo avanti nella coscienza collettiva del Paese”.

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          Società

          “La Parola come strumento di Pace”: a Roma la presentazione del libro di Biagio Maimone

          Si terrà a Roma, nella Sala Guglielmo Marconi, la conferenza La Parola strumento di Pace, di Verità e di Giustizia, ispirata al pensiero di Papa Francesco. L’evento, in occasione del nuovo libro di Biagio Maimone La comunicazione creativa per lo sviluppo socio-umanitario, promuove un nuovo umanesimo della parola fondato su verità e solidarietà.

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            La parola come ponte e non come arma, come atto di ascolto e non di sopraffazione. È questo il filo conduttore della conferenza La Parola strumento di Pace, di Verità e di Giustizia, che si terrà giovedì 14 novembre dalle 15 alle 17 nella Sala Guglielmo Marconi di Piazza Pia 3, a Roma. L’ingresso sarà libero, ma il tema è di quelli che riguardano tutti: il potere della comunicazione nella costruzione di una società più umana.

            L’evento è organizzato in occasione della presentazione del volume La comunicazione creativa per lo sviluppo socio-umanitario (Tracceperlameta) di Biagio Maimone, giornalista, saggista e Coordinatore per l’Italia della Rete Mondiale del Turismo Religioso, nonché Direttore della Comunicazione dell’Associazione Bambino Gesù del Cairo, presieduta da Monsignor Yoannis Lahzi Gaid, già segretario personale di Papa Francesco.

            Un dialogo ispirato dal messaggio del Papa

            La conferenza trae ispirazione diretta dalla Benedizione Apostolica che Papa Francesco ha voluto concedere all’opera di Maimone. Un messaggio forte e limpido: “La società, così come la Chiesa, si avvalgano di una comunicazione le cui basi siano l’umiltà nell’ascoltare e la parresia nel parlare, che non separi mai la verità dalla carità.”

            Attorno a questa visione si muoveranno gli interventi dei relatori, introdotti dal conduttore televisivo Paky Arcella. Oltre all’autore, parteciperanno Gianni Todini (direttore di Askanews), Enea Angelo Trevisan (autore di saggi e fondatore di Ealixir Inc.), Gaia Simonetti, Valentina Faloni, Maria Maimone, Joseph Lu e Héctor Villanueva, CEO e fondatore dell’Expo dei Popoli. Voci diverse, unite da un obiettivo comune: restituire alla parola il suo valore generativo, etico e spirituale.

            La parresia come chiave del dialogo

            Nel cuore del messaggio pontificio emerge il concetto di parresia — la libertà e il coraggio di dire la verità — un termine che per Maimone rappresenta la via per rigenerare la comunicazione contemporanea. “La parola è vita, perché deve generare vita nelle sue espressioni più nobili e spirituali”, scrive l’autore. Una parola autentica, non manipolata, che non separa la verità dalla carità e si fa strumento di giustizia, riconciliazione e pace.

            Nel suo saggio, Maimone denuncia le derive del linguaggio mediatico e politico, oggi sempre più esposto a distorsioni, manipolazioni e violenza verbale. Cyberbullismo, odio online, propaganda e superficialità comunicativa diventano così sintomi di un impoverimento etico che mina le fondamenta del vivere civile.

            Il linguaggio come cura sociale

            Da qui nasce l’appello dell’autore per una “comunicazione solidale”, intesa come atto di responsabilità collettiva. La comunicazione creativa per lo sviluppo socio-umanitario propone infatti un nuovo paradigma comunicativo, fondato sulla relazione umana e sull’emancipazione morale e sociale. L’obiettivo: umanizzare il linguaggio per restituire alla parola il suo potere di costruire e non distruggere.

            “La violenza verbale e il turpiloquio – scrive Maimone – generano morte e conflitti. Contrastarle significa educare alla bellezza e alla verità.” Da qui l’invito a recuperare la dimensione spirituale e artistica della parola, come strumento di crescita e di rigenerazione dell’anima collettiva.

            Tra filosofia, musica e fede

            Nel corso della conferenza sarà proiettato il video del brano Kiev del pianista e compositore Joseph Lu, autentica invocazione musicale alla pace e alla fraternità tra i popoli. Un modo per ribadire che anche la musica è linguaggio universale, voce della parola che unisce e consola.

            L’opera di Maimone ha ricevuto, oltre alla Benedizione Apostolica di Papa Francesco, messaggi di apprezzamento dal Cardinale Pietro Parolin, da Monsignor Rino Fisichella, dal Cardinale Gianfranco Ravasi e dall’Imam Nader Akkad della Grande Moschea di Roma, a testimonianza di un dialogo interreligioso che si fonda sul rispetto reciproco e sulla forza del linguaggio.

            Verso un nuovo umanesimo della parola

            La conferenza di Roma si propone dunque come un momento di riflessione sul potere trasformativo della comunicazione. In un’epoca segnata da conflitti, povertà e isolamento, la parola può tornare a essere — come sostiene Maimone — strumento di bellezza e giustizia, fondamento di una civiltà più consapevole.

            “La bellezza – scrive l’autore – consente di scolpire nel cuore la legge morale, senza la quale la realtà è destinata alla barbarie.” Ed è proprio in questa prospettiva che La comunicazione creativa per lo sviluppo socio-umanitario si fa manifesto di un nuovo umanesimo della parola: una comunicazione che unisce, non divide; che costruisce, non distrugge; che restituisce alla verità il suo volto più umano.

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              Società

              Lo Zingarelli 2026 parla inglese: da “ghostare” a “skillato”, l’italiano è sempre più “social”

              Entrano “gaslighting”, “retrogaming” e “mansplaining”, ma anche ibridi come “whatsappare”, “flexare” e “culturalizzare”. Bartezzaghi: «Parole che sembrano mostriciattoli, ma ormai fanno parte del nostro modo di parlare».

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                Lo Zingarelli 2026 fotografa un’Italia sempre più anglofona e digitale. Nella nuova edizione del celebre dizionario, l’inglese dilaga come mai prima: “retrogaming”, “gaslighting”, “ghostare”, “mansplaining”, “skillato”, “tokenizzare”. Parole nate nei social e nei videogame che oggi entrano a pieno titolo nella lingua di Dante, trasformandola in un esperimento continuo di ibridazione.

                Secondo Stefano Bartezzaghi, i nuovi termini «sembrano mostriciattoli artificiali, invenzioni un po’ ridicole, ma reali». “Breccare”, “whatsappare” o “flexare” – adattamenti italiani di verbi inglesi – fanno ormai parte del linguaggio comune, specie tra i giovani. E anche se a leggerli su carta fanno storcere il naso, nessuno può negare che si siano imposti per forza d’uso.

                Il dizionario, del resto, non giudica: registra. Così “quadricottero”, sinonimo di drone, ottiene finalmente cittadinanza linguistica, mentre termini come “perculare” e “pezzotto” entrano dopo anni di uso popolare. “Perché l’italiano”, spiegano i lessicografi, “è una lingua viva, non un museo”.

                Non mancano le creazioni ibride, costruite con radici italiane ma spirito burocratico: “culturalizzare”, “turistificare”, “eventificio”, “rinazionalizzare”. Parole goffe, ma utili a descrivere un Paese che organizza eventi più che idee.

                Tra le curiosità, spunta “amichettismo”, la parola dell’anno: definisce con sottile veleno quel sistema di conoscenze e favori che in Italia funziona meglio di qualsiasi curriculum. E, come se non bastasse, il lessico del web si arricchisce di “bromance”, “omosociale” e “riciclone”.

                Lo Zingarelli 2026 racconta così un’Italia che non ha più paura dell’inglese, ma rischia di dimenticare il proprio lessico. È una lingua in perenne mutazione, dove si “flexa”, si “posta” e si “ghostano” le persone. E dove, per dirla con Bartezzaghi, «anche i mostriciattoli linguistici, a forza di essere usati, finiscono per diventare di famiglia».

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