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Società

Il lutto diventa un diamante: le ceneri dei defunti trasformate in gemme.

Il carbonio delle ceneri viene convertito in pietre preziose attraverso un processo chimico ad alta pressione. Per i sostenitori è un modo moderno di custodire il ricordo, per i critici un gesto “immorale” che minaccia la sopravvivenza dei cimiteri tradizionali.

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    Un diamante per ricordare chi non c’è più. Non è una metafora, ma una possibilità concreta che in Germania sta diventando realtà. Due Länder – la Renania-Palatinato e la Sassonia-Anhalt – hanno infatti approvato una normativa che consente la trasformazione delle ceneri dei defunti in gemme commemorative. Una pratica che in Svizzera è già consolidata da anni, ma che in Germania rappresenta una piccola rivoluzione culturale.

    Il principio è tanto semplice quanto controverso: il carbonio contenuto nelle ceneri viene estratto e sottoposto a un processo chimico che replica, in laboratorio, le stesse condizioni che in natura creano i diamanti. Alte pressioni, temperature elevatissime e settimane di lavorazione. Alla fine, una pietra preziosa che – almeno simbolicamente – custodisce ciò che resta del corpo di una persona amata.

    Il primo Paese a sperimentare la “diamantificazione” del lutto è stata la Svizzera, dove dal 2004 la società Algordanza ha iniziato a offrire questo servizio. Un “business etico”, come lo definiscono i promotori, che nel tempo si è diffuso anche all’estero. Dal 2010, le richieste di “diamanti della memoria” arrivano persino dall’Italia, dove la legge non consente di portare a casa le ceneri se non in casi eccezionali.

    La Germania, però, è sempre stata più rigida in materia. Le nuove norme dei due Länder segnano un cambio di passo profondo in un Paese in cui il 75% dei defunti viene cremato, ma dove le urne devono essere custodite in luoghi autorizzati. Il nuovo via libera apre la possibilità di consegnare ai familiari le ceneri per farle trasformare in gioielli.

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      Società

      Contante, la BCE avverte: “Fondamentale nelle crisi, tenetene sempre in casa”

      Dal blackout ai conflitti internazionali, i momenti di emergenza mostrano come il contante resti il mezzo più sicuro per affrontare situazioni impreviste. La raccomandazione: tenere da parte una piccola somma per ogni membro della famiglia.

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        Nonostante il crescente uso dei pagamenti digitali, la Banca centrale europea ricorda che il contante non deve sparire. Anzi, in caso di crisi è una risorsa preziosa. Nel bollettino economico, in un articolo dal titolo eloquente “Keep calm and carry cash” (“Mantieni la calma e porta con te il contante”). La BCE sottolinea come le banconote siano «una componente essenziale della preparazione nazionale alle crisi». Utili non solo per le necessità quotidiane, ma anche per la stabilità del sistema economico.

        La raccomandazione è chiara: conservare in casa una piccola scorta di contanti sufficiente a coprire le spese essenziali per almeno 72 ore. La cifra indicata varia tra i 70 e i 100 euro a persona. Suggerimenti simili sono già stati diffusi da vari governi europei, tra cui Olanda, Finlandia e Austria.

        Lo studio della BCE prende in esame diversi momenti critici: la pandemia di Covid-19, la guerra in Ucraina, la crisi del debito greco e il blackout che ha colpito la penisola iberica nell’aprile 2025. In ognuno di questi casi, si è visto come la domanda di contante sia cresciuta rapidamente.

        Un esempio concreto arriva dal 2020: alla fine di quell’anno, l’emissione di banconote nell’area euro era aumentata di oltre 140 miliardi di euro. Un fenomeno simile si è ripetuto all’inizio della guerra in Ucraina. Nei Paesi confinanti, nel primo mese di conflitto l’emissione media giornaliera di banconote è salita del 36%, con un picco di 80 milioni di euro in un solo giorno a fine febbraio 2022.

        Secondo la Bce, il contante resta «l’unica passività della banca centrale accessibile direttamente a tutti». Ciò significa che, a differenza dei pagamenti elettronici, le banconote non dipendono da sistemi tecnologici o dalla connessione a internet e per questo rappresentano un punto fermo in situazioni di emergenza.

        Lo studio avverte: «In tutti i diversi episodi di crisi, l’utilità del contante cresce in modo significativo quando la stabilità viene minacciata. A prescindere dalla natura dell’emergenza o dal livello di digitalizzazione». In altre parole, quando la fiducia vacilla, i cittadini si affidano ancora alle banconote come mezzo sicuro di pagamento e come riserva di valore.

        Il messaggio è chiaro: pur in un mondo che corre verso la digitalizzazione, il contante resta un’ancora di sicurezza. Tenere qualche banconota in casa non è solo una precauzione personale, ma anche un contributo alla resilienza dell’intero sistema economico.

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          Società

          Il 4 ottobre diventa festa nazionale: San Francesco patrono d’Italia regala un giorno di stop, dal 2027 scatta anche il bonus in busta paga

          Il nuovo festivo cadrà dal 2027, perché il 4 ottobre 2026 è una domenica. Previsto un riconoscimento economico per chi dovrà garantire i servizi essenziali, dalla sanità alle forze dell’ordine.

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            Un giorno in più di riposo per gli italiani, una nuova data da segnare in rosso sul calendario. La Camera dei deputati ha dato il primo via libera alla proposta di legge che istituisce il 4 ottobre, festa di San Francesco d’Assisi, come festività nazionale. Un passaggio che ora dovrà essere confermato dal Senato, ma che già cambia la fisionomia del calendario civile del Paese.

            La nuova festività non scatterà subito: nel 2026 il 4 ottobre cadrà di domenica e sarà quindi già giorno festivo. Bisognerà attendere il 2027 per vivere davvero il “bonus San Francesco”: scuole chiuse, uffici pubblici serrati, e per chi lavora nei servizi essenziali, come medici, infermieri, poliziotti o vigili del fuoco, un riconoscimento economico extra garantito dallo Stato.

            Il provvedimento ha un valore simbolico, legato all’ottavo centenario della morte del santo, ma anche un impatto concreto. È infatti prevista una spesa di oltre dieci milioni di euro l’anno, di cui quasi nove destinati alla sanità. Una misura che consentirà di riconoscere il lavoro festivo a chi non potrà fermarsi.

            Non è la prima volta che il 4 ottobre entra nel calendario civile. Già nel 1958 era stato dichiarato giorno di solennità, con bandiere esposte sugli edifici pubblici e riduzione d’orario negli uffici. Una norma modificata nel 1977, quando furono abolite le riduzioni. E ampliata nel 2005, con il riconoscimento della giornata come momento di pace, dialogo e fraternità.

            Il Parlamento ha dunque scelto di ridare centralità a San Francesco, patrono d’Italia insieme a Santa Caterina da Siena. Non solo come figura spirituale, ma anche come simbolo laico di valori condivisi. Le cerimonie nelle scuole, già previste dalle norme precedenti, troveranno ora un’ulteriore cornice.

            Nel dibattito parlamentare non sono mancati tentativi di estendere il provvedimento ad altre ricorrenze: si era parlato del 19 marzo, festa di San Giuseppe, ma l’ipotesi è stata respinta per i costi troppo elevati. Alla fine l’Aula ha deciso di puntare solo su San Francesco, figura di unità nazionale e ponte tra culture e religioni.

            Dal 2027, dunque, milioni di italiani potranno ringraziare il Poverello di Assisi per un giorno di pausa in più. Per alcuni sarà occasione di riposo, per altri un riconoscimento economico. In entrambi i casi, una festa che lega tradizione e modernità, spiritualità e welfare.

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              La guerra non è mai una soluzione: il nostro impegno civile per dire no a violenza e indifferenza

              Non restare neutrali di fronte all’orrore: scuole distrutte, bambini sepolti dalle bombe, città ridotte in macerie. Papa Francesco e Papa Leone lo hanno detto: “La guerra è assurda, disarmiamo la Terra”. Il Network LaC sceglie di raccontare e resistere.

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                Non è uno slogan, è un grido. È la linea di confine che separa l’indifferenza dalla responsabilità, la complicità dal coraggio. Oggi quel confine passa attraverso le macerie di Gaza, attraverso i corpi di migliaia di bambini morti di fame, attraverso le strade sventrate di Kiev, Mariupol, Kharkiv, e attraverso le decine di conflitti che insanguinano il pianeta nell’indifferenza generale.

                Ogni giorno assistiamo alle immagini di città ridotte in cenere, scuole, chiese, mense, ospedali sventrati; ogni giorno vediamo piccoli sepolti vivi sotto le case distrutte dalle bombe, mamme disperate che piangono figli e ragazzi con le pentole vuote e senza più lacrime da piangere.

                 Il Novecento, secolo breve e tragico, è tornato  con la stessa ferocia, come se Auschwitz, Srebrenica, Ruanda non ci avessero insegnato nulla.

                Per questo il nostro gruppo editoriale ha scelto di non tacere. Non restiamo neutrali di fronte all’orrore, non voltiamo lo sguardo dall’altra parte. Con la campagna “Le nostre scelte di vita definiscono chi siamo” lanciamo un’offensiva civile contro la guerra e contro ogni violenza. Racconteremo, mostreremo, daremo voce a chi soffre. Perché raccontare è resistere. 

                Papa Francesco e Papa Leone  lo hanno ripetuto nettamente: “La guerra è assurda, disarmiamo la Terra.”

                La pace non è un’utopia, è un impegno solenne che parte da ciascuno di noi. Ogni parola, ogni gesto, ogni scelta può alimentare odio o generare speranza. È il momento della scelta.

                La guerra non è mai una soluzione: è sempre e solo la disfatta dell’uomo, il trionfo della disumanità. Ogni bomba non uccide soltanto vite innocenti, ma brucia il futuro stesso dell’umanità.

                Il Network LaC è in prima linea. Perché il silenzio non è neutralità: è complicità. È accettazione del massacro. Noi diciamo no. No alla guerra, no alla violenza, no all’indifferenza. E sì, con forza, alla vita. “Le nostre scelte di vita definiscono chi siamo”.

                La Redazione 

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