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Quante ore bisogna dormire in base alla nostra età?

Rispettare il proprio ritmo circadiano e assicurarsi una quantità adeguata di sonno è essenziale per la salute e il benessere quotidiano.

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    Una buona notte di riposo è fondamentale per il benessere generale e la salute. Tuttavia, il fabbisogno di sonno varia in base all’età e alle esigenze individuali. Dormire il giusto numero di ore è necessario per tante cose. Consente di mantenere alta l’energia, migliorare la concentrazione e rafforzare il sistema immunitario. Sì ma quanto è necessario dormire per stare davvero bene? A ogni età corrisponde un certo numero di ore di sonno. Vediamo di quante ore abbiamo bisogno di dormire da 0 a 99 anni!

    Neonati (0-3 mesi)

    Ore di sonno necessarie: 14-17 ogni 24 ore. Il ritmo di sonno è frammentato e non regolato. E’ sempre influenzato comunque dalle esigenze del bambino.

    Bambini (4-11 mesi)

    Le ore di sonno necessarie in questa fascia d’età sono comprese tra 14-17 ogni 24 ore. L’orario consigliato per andare a dormire la sera è compreso tra le 19 e le 20. Da notare che in questa fascia di età si inizia a creare una routine del sonno che negli anni succesivi regolerà molto la crescita.

    Bambini piccoli (1-2 anni)

    Le ore di sonno necessarie sono 11-14 al giorno. Anche in questo caso l’orario consigliato per andare a dormire è compreso tra le 19 e le 20. In questa fascia di età il sonno notturno è accompagnato da diverso sonnellini diurni.

    Bambini in età prescolare (3-5 anni)

    Le ore di sonno necessarie sono tra le 10 e le 13 per notte. Si deve andare a dormire presto anche in questi casi tra le 19 e le 20,30. Alcuni bambini a questa età possono ancora beneficiare di sonnellini diurni.

    Bambini in età scolare (6-13 anni)

    In questa fascia di età assai sensibile alle ore di sonno e di sveglia bisognerebbe poter disporre tra le 9 e le 11 ore di sonno per notte. La sera si può andare a dormire un po’ più tardi tra le 20 e le 21,30. L’orario di sonno inizia ad allinearsi con il ritmo scolastico.

    Il sonno degli adolescenti (14-17 anni)

    A questa età bisognerebbe dormire minimo tra le 8 e le 10 ore per notte, andando a letto tra le 21 e le 23 massimo. Una illusione? Forse. Gli adolescenti tendono ad andare a dormire più tardi, ma un sonno regolare è cruciale per il loro sviluppo.

    Adulti (18-64 anni)

    In questa forchetta di età così ampia le ore di sonno indispensabili per stare bene durante la giornata sono tra le 7 e le 9. Beato chi ci riesce, potremmo aggiungere soprattutto dai 60 anni in su. Per gli adolescenti non ci sono problemi. Se li lasci dormire, dormono! E a che ora si consiglia di andare a dormire? Tra le 22 e le 23 in base alle proprie esigenze ricordando ancora una volta che un buon sonno migliora le prestazioni cognitive e il benessere fisico e agisce in maniera diretta sulla memoria.

    Fate dormire gli anziani (oltre 65 anni)

    Qui iniziano le dolenti note. Le ore di sonno necessarie per i cosidetti anziani (per età) sarebbero 7-8 ore per notte. Alzi la mano chi ci riesce… E’ consigliabile andare a dormire tra le 22 e le 23. Sapendo che poche volte accade ci si accontenta di quello che si riesce a organizzare. Spesso a questa età il sonno può essere più leggero e frammentato, ma il riposo resta comunque essenziale.

    Il sonno? Due o tre cose che sappiamo di lui

    Il sonno non riguarda solo la quantità, ma anche la qualità. Un sonno regolare e riposante aiuta a certamente a migliorare la memoria e la concentrazione, e rafforza il sistema immunitario. Inoltre riduce il rischio di malattie croniche e mantiene un buon equilibrio emotivo e mentale.

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      Dilaga il fenomeno dei licenziamenti ad personam fatti via mail o via Quit-Tok

      Dilaga il fenomeno dei licenziamenti ad personam fatti va mail o via Quit Tok
      I licenziamenti sono sempre difficili da superare. Non vanno giù facilmente. Sembrano dei soprusi. Delle ingiustizie. Soprattutto per la Generazione Z.

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        I licenziamenti sono sempre difficili da superare. Non vanno giù facilmente. Sembrano dei soprusi. Delle ingiustizie. Soprattutto per la Generazione Z.

        La nuova moda per i ragazzi che vengono licenziati è di prendersi una rivincita attraverso i social. Ovvero pubblicare il momento in cui vengono cacciati per dimostrare il loro disappunto verso l’azienda. E soprattutto mettere in guardia i proprie coetanei sui modi utilizzati dalla stessa per darti il ben servizio. Ma i capi del personale si stanno facendo furbi. Ovvero hanno iniziato a licenziare via mail. La reputazione è salva.

        Mi licenzi? Lo racconto sui social

        Per i ragazzi della Generazione Z il licenziamento va visto non più come un evento di cui vergognarsi. Tutt’altro. Può diventare una bandiera. Un episodio importante da condividere a volte anche su uno dei social più diffusi come Tik Tok. Secondo una inchiesta effettuata dal quotidiano britannico Financial Times si tratterebbe di un vero e proprio fenomeno: Quit-Tok. Filmati, pubblicati con titoli come “lascia il mio lavoro con me” oppure con l’hashtag #layoffseason, fanno parte di questa tendenza che punta a condividere pubblicamente quella che in altri tempi sarebbe stata una comunicazione privata.

        Rendere pubbliche alcune fasi della propria vita lavorativa

        Le dimissioni pubbliche sono diventate un successo virale. Fa audience, crea follower. Inoltre molti giovani manifestano la loro insoddisfazione rispetto al proprio incarico e alcune incongruenze dell’organizzazione o dei settori a cui sono stati assegnati. Secondo l’indagine del FT tra i video postati nell’ultimo giorno di lavoro quelle che usano di più questo tipo di comunicazione sono le ragazze. Con le lacrime agli occhi si riprendono dopo aver appena letto una mail in cui il capo informa che si è stati licenziati oppure che ci si sta dimettendo dal proprio ruolo.

        Ma i manager si stanno facendo furbi

        I lavoratori che realizzano le clip si filmano durante le videochiamate e i manager dall’altra parte non sanno di essere registrati. Molti sono all’interno del luogo di lavoro. Una clip di nove secondi, riportato nell’inchiesta del FT, mostra un ristorante McDonald’s vuoto, presumibilmente dopo che tutti i dipendenti sono stati licenziati in massa. Naturalmente il rischio che i dipendenti possano essere contestati per riprese nascoste esiste. Ma la maggior parte degli utenti di TikTok non sembra preoccuparsene. Non teme azioni legali della propria azienda. Ribattono che è utile mostrare risposte personali, spesso emotive, per mostrare la loro “autenticità” e magari esorcizzare ansia e stress. E i primi effetti di questa nuova moda si stanno già facendo sentire soprattutto nelle aziende tecnologiche.

        E le Risorse Umane vanno al contrattacco

        Sia i responsabili delle risorse umane che i dirigenti aziendali, ma anche avvocati specializzati in diritto del lavoro e le società di ricollocamento non amano diventare il bersaglio di un TikTok virale. Per questo si stanno organizzando per evitare le brutte figure e cadere in tranelli che possono mettere in dubbio la propria reputazione. Per questo utilizzano sempre più spesso la mail o gli sms. Sarà corretto?

        Cosa dicono gli avvocati di Quit-Tok

        Secondo lo studio legale Toffoletto De Luca Tamajo la pratica di licenziare il dipendente utilizzando un sms, un social o via mail è legittimo. Per il licenziamento notificato via mail la Corte di Cassazione ha spiegato che il requisito della comunicazione per iscritto del licenziamento deve ritenersi assolto “con qualunque modalità che comporti la trasmissione al destinatario del documento scritto nella sua materialità”. Quindi anche mediante invio di una e-mail.

        Nel caso dell’uso di WhatsApp il Tribunale di Catania ha stabilito che il messaggio WhatsApp è un documento informatico imputato con certezza al datore di lavoro e dal quale “discende l’inequivoca volontà di licenziare comunicata efficacemente al dipendente.” Nel caso di un sms la Corte d’Appello di Firenze ha ritenuto lo strumento formalmente legittimo per la notifica del licenziamento. Naturalmente in tutti i casi il dipendente può impugnare il licenziamento e fare ricorso nelle sedi competenti.

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          Società

          Che c’entra il “sommo poeta” Pirandello con OnlyFans? Chiedi alla maestra

          Il caso di Elena Maranga, licenziata per il suo profilo hot, accende il dibattito: chi è più immorale, lei o chi ha divulgato le sue immagini?

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            C’era una volta una maestra che, oltre alla lavagna, aveva un profilo su OnlyFans. Sì, perché in Italia insegnare è una vocazione, ma il conto in banca non sembra condividere l’entusiasmo. E così Elena Maranga, dopo un periodo di stipendio da fame, ha deciso di mettere a frutto la sua immagine in un contesto decisamente lontano dai banchi di scuola. Tutto normale, o almeno così sembrava, fino a quando un genitore – non proprio mosso da nobili intenti – ha pagato l’abbonamento per accedere ai suoi contenuti. Invece di limitarsi alla curiosità personale, ha pensato bene di diffondere le immagini. Risultato? Bufera, indignazione, e licenziamento. E Pirandello…? Calma!

            Alla fine chi è immorale?

            E’ a questo punto che sorge il dilemma pirandelliano che la stessa Maranga ha sollevato: “Chi è immorale? Io che ho aperto un profilo su OnlyFans o il papà di un bambino della mia scuola che pagando è andato su OnlyFans e ha divulgato le immagini?”. La maestra non si arrende e ha denunciato il papà per diffamazione. Ma non solo. Ha fatto notare un dettaglio non di poco conto. Ha sostenuto che in questo Paese di poeti, santi e VIP, un’insegnante guadagna poco più di 20mila euro lordi l’anno, con cui si fatica ad arrivare a fine mese. A meno che non ci siano genitori e nonni generosi o, appunto, un profilo su OnlyFans. Se Pirandello fosse ancora tra noi, probabilmente tirerebbe fuori “Uno, nessuno e centomila” e chiederebbe a tutti di riflettere su questa doppia faccia della moralità. Da una parte, una donna che cerca un’alternativa per guadagnare, dall’altra chi grida allo scandalo mentre è lui stesso il primo a sbirciare.

            Il poeta e la maestra

            Alla fine, Maranga ha voltato pagina: eventi, serate in discoteca e forse un reality in arrivo. Perché, si sa, in Italia la via per il successo è fatta di polemiche e un buon uso del momento mediatico. Insomma un gran bel minestrone all’italiana fatto di moralità, ipocrisia, stipendi ridicoli e indignazione selettiva condito con un pizzico di OnlyFans. E Pirandello? Lui avrebbe osservato tutto con un sorriso enigmatico, chiedendosi chi sia davvero il piccolo uomo in questa storia.

            Pirandello e OnlyFans realtà e apparenza

            Premio Nobel per la Letteratura nel 1934, il “sommo”, nel corso della sua storia ha esplorato la frammentazione dell’identità e dell’ipocrisia sociale, mettendo in discussione il concetto di realtà e di apparenza. Il riferimento nasce proprio dalla sua riflessione sull’identità: “Io sono colei che mi si crede“, potrebbe dire oggi la Maranga, citando il suo pensiero. Pirandello ha sempre sottolineato come le persone vengano giudicate in base all’immagine che gli altri si fanno di loro, piuttosto che sulla loro reale essenza. La maestra, licenziata per la sua attività online, solleva infatti il tema della percezione sociale e del giudizio pubblico. Viene definita “immorale” per il suo profilo. Ma allo stesso tempo chi ha divulgato le sue immagini, violando la sua privacy, non viene considerato altrettanto discutibile.

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              Maturità? Anche i vip hanno sudato (e a volte anche fallito)

              Da Fiorello a Margherita Hack, passando per Alberto Angela e Giulio Andreotti: quando una bocciatura non ha fermato il successo.

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                L’esame di maturità è uno dei momenti più temuti dagli studenti italiani. L’ansia cresce, i ripassi si fanno frenetici e il timore di non farcela aleggia nell’aria. Ma se c’è una cosa che la storia dimostra è che una bocciatura alla maturità non è la fine del mondo. Anzi, può persino essere l’inizio di qualcosa di grande.

                Prendiamo come esempio l’indimenticabile Tullio De Mauro, uno dei più importanti linguisti, lessicografo e saggista italiano, ex ministro della pubblica istruzione. Da ragazzo De Mauro fu bocciato all’esame di licenza ginnasiale, proprio in Italiano, Latino e Greco. Un colpo duro, certo, ma che gli servì per capire quanto le interrogazioni orali potessero essere ingiuste e squilibrate. Da docente, decise di cambiare le regole, puntando sulle tesine scritte per dare agli studenti una possibilità più equa per dimostrare la propria preparazione.

                I bocciati diventati famosi

                Anche Umberto Veronesi, celebre oncologo e punto di riferimento per i malati di tumore, non fu esattamente uno studente modello. Ma come professore? Eh sì perchè Veronesi fu bocciato ben due volte alle superiori, ammise candidamente di non fare mai i compiti a casa. La scuola dell’epoca era dura e punitiva, ma lui trovò comunque la sua strada, diventando uno dei medici più rispettati al mondo. E vogliamo parlare della futura astrofisica Margherita Hack che fu respinta al ginnasio proprio in matematica? L’astrofisica fu rimandata non tanto per la sua preparazione, quanto per l’antipatia del professore verso il suo modo di fare. Eppure, quella bocciatura non le impedì di diventare una delle menti più brillanti della scienza italiana.

                Persino Alberto Angela, oggi re della divulgazione, ha avuto il suo momento difficile. Bocciato in quinta elementare per insufficienza in Italiano. Ma davvero? Un duro colpo per un bambino, ma che non gli impedì di migliorare e costruire una carriera straordinaria sotto gli occhi di tutti.

                E con i politici come andiamo con la maturità?

                Tra i politici, il caso più curioso da raccontare è quello di Giulio Andreotti, bocciato in terza media per un brutto voto in Latino. Ironia della sorte, anni dopo diventò un latinista di fama internazionale fondando il Centro di studi ciceroniani. Nel mondo dello spettacolo, le bocciature non sono mancate. Pierfrancesco Favino ha dovuto ripetere il secondo liceo, mentre Giovanna Mezzogiorno è stata bocciata due volte. E Fiorello? Ahh… lui ha collezionato ben tre bocciature al liceo scientifico prima di riuscire a diplomarsi. Ma non finisce qui. Nella Storia c’è l’esempio lasciato nientepopodimenoche da Albert Einstein che non a scuola non brillava. Tanto che il suo insegnante di matematica gli disse che non avrebbe mai combinato nulla. Bingo!! E Winston Churchill? Fu bocciato più volte e Steve Jobs abbandonò il college poi ce lo siamo ritrovati in casa…

                Insomma, la maturità è importante, ma non definisce il futuro dei candidati. Se anche i grandi hanno inciampato, forse vale la pena prendere tutto con un po’ più di leggerezza. E chissà, magari proprio un inciampo può diventare il primo passo verso un futuro di successo.

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