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Altro che tormentone da spiaggia: quest’estate il pezzo lo scrive l’intelligenza artificiale (e magari anche tu)

Dalle app che generano beat virali in pochi secondi ai software che ti fanno cantare come se fossi Elodie o Blanco, l’era dei tormentoni estivi creati dall’intelligenza artificiale è ufficialmente cominciata. E no, non servono studi, tastiere o microfoni costosi: bastano uno smartphone e un po’ di fantasia.

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    Dimenticatevi produttori discografici, studi da mezzo milione di euro e autori in cerca dell’inciso perfetto: il tormentone dell’estate 2025 potresti scriverlo tu, nel tragitto casa-lavoro, mentre aspetti l’autobus o tra una birra e l’altra al lido. Con chi? Con l’intelligenza artificiale, naturalmente. L’IA generativa sta rivoluzionando anche la musica pop, e il fenomeno non si limita più ai deepfake vocali su TikTok. È una questione seria, anzi serissima: oggi le piattaforme più usate per creare canzoni con l’IA sono già milioni. E la cosa impressiona non è solo la quantità, ma la qualità.

    Vuoi un beat reggaeton con contaminazioni trap e testo bilingue italiano-spagnolo? Puoi farlo. Cerchi una base house con voce femminile vagamente sensuale? Fatto. Ti serve un pezzo demenziale per l’addio al celibato con testo in rima su misura? Facile. E c’è chi si è già fatto da solo l’inno del proprio matrimonio. Il tormentone dell’estate? Si scrive in un pomeriggio — con tre app gratuite, un microfono da smartphone e tanta voglia di divertirsi. O di diventare virali.

    Le app da provare per creare il tuo tormentone

    1. Suno.ai
    È tra le più usate in assoluto: digiti un prompt tipo “canzone dance in stile anni ’90 con voce maschile” e in pochi secondi ti restituisce due tracce complete, strofa-ritornello inclusi. Puoi scegliere lo stile vocale, il mood, l’arrangiamento. E il bello è che puoi riscriverla all’infinito finché non trovi la hit perfetta.

    2. Udio
    La nuova star del momento. Interfaccia semplice, altissima qualità audio, una libreria vocale ampissima e la possibilità di generare pezzi in inglese, italiano, spagnolo. Bastano pochi input testuali e voilà, il tuo tormentone urban-pop è pronto per Spotify. I più smanettoni usano Udio anche per remixare canzoni famose in versioni “alternative”.

    3. Boomy
    Pensata per chi non sa nulla di musica. Ti guida passo dopo passo: scegli il genere, il ritmo, il tipo di voce e ti propone subito una base. Puoi cantare tu sopra, oppure lasciare che la voce venga generata artificialmente. E puoi caricare il brano su piattaforme come Apple Music e YouTube direttamente dall’app.

    4. Soundraw.io
    Qui siamo su un livello più tecnico: serve per costruire colonne sonore personalizzate, ma se vuoi fare un tormentone cinematografico stile Summer Sadness o Bailando con le lacrime, è perfetta. Ottima per chi vuole un suono più maturo.

    5. Splash
    Amatissima dai creator su TikTok, è l’app “giocattolo” che fa hit da ballare in 30 secondi netti. Perfetta per meme, balletti, reel. Non ci farai Sanremo, ma qualche migliaio di like sì.

    E se la cantassimo noi?

    Il bello dell’IA musicale è che puoi anche metterci la voce. O meglio: una voce. Che non deve essere tua. Puoi far cantare il tuo pezzo a un clone vocale di un artista famoso (non sempre legalissimo) oppure usare generatori vocali neutrali con diverse opzioni di genere, accento e intensità. E c’è chi sta già creando duetti con se stesso, oppure si fa fare i cori. Una specie di band personale sempre disponibile, che non litiga mai.

    Il problema del copyright

    Naturalmente non è tutto rose e fiori: se usi la voce di un cantante vero o prendi ispirazione da una canzone esistente, potresti ricevere una bella diffida. Per questo molte app hanno creato le cosiddette “voci proprietarie”, cioè generi vocali originali che non imitano nessuno. Ma la zona grigia esiste, eccome, e i tribunali del futuro avranno parecchio lavoro.

    E se diventasse davvero un successo?

    C’è già chi lo ha fatto. Alcuni brani generati con IA sono entrati nelle classifiche Spotify. Altri sono diventati virali su TikTok e Instagram, con milioni di visualizzazioni. Certo, non è detto che basti un click per fare una hit. Ma se un tempo servivano i Blue Jeans, il falsetto, il tormento d’amore e lo scoglio su cui gridare “sei nell’anima”, oggi basta un prompt e una buona idea. E magari, chissà, un ritornello tipo: “Dimmi che mi ami o ti cancello il WiFi”.

    E allora vai: questa estate, invece di ballare il solito tormentone altrui, fanne uno tuo. Anche brutto, anche surreale. Ma tuo. Con l’IA che accompagna. E la voce che ti pare. Anche quella di tua zia. Tanto poi ci pensa l’autotune.

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      Tech

      I robot con muscoli umani: la frontiera della bioingegneria prende vita ad Harvard

      Nel laboratorio del Wyss Institute, un team di ricercatori guidato da Sun Ryun Shin ha sviluppato microrobot capaci di muoversi grazie a tessuti muscolari umani coltivati in laboratorio. Un passo decisivo verso la “biohybrid robotics”, dove tecnologia e biologia si fondono.

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        La nascita dei robot bioibridi

        Sembra fantascienza, ma è realtà. In un laboratorio dell’Università di Harvard, nel cuore del Wyss Institute for Biologically Inspired Engineering, piccoli automi di silicone si contraggono e si muovono come fossero vivi. A dar loro energia non sono batterie o circuiti, ma muscoli umani coltivati in provetta.

        A coordinare la ricerca è Sun Ryun Shin, professore di bioingegneria, che insieme al suo team ha descritto l’esperimento sull’International Journal of Extreme Manufacturing. Gli scienziati hanno isolato cellule muscolari scheletriche umane e le hanno fatte crescere fino a formare sottili fasci di tessuto. Parallelamente, grazie alla stampa 3D, hanno costruito piccoli telai biocompatibili in idrogel, un materiale morbido e flessibile che imita la consistenza del muscolo naturale.

        Sulla superficie di queste strutture sono stati incisi micro-solchi orientati: guide che aiutano le cellule ad allinearsi, proprio come accade nel corpo umano. Una volta ancorate, le cellule hanno iniziato a organizzarsi, creando veri e propri mini-muscoli funzionanti.

        Per attivarli, i ricercatori hanno utilizzato impulsi elettrici e luminosi, stimolando le cellule a contrarsi in sincronia. Il risultato? Minuscole strutture capaci di piegarsi, spostarsi o trascinare oggetti. Un passo concreto verso la creazione di robot “vivi”, in parte biologici e in parte artificiali.

        Le applicazioni in medicina

        I risultati aprono prospettive straordinarie nel campo biomedico.
        Secondo Shin, “queste strutture rappresentano una piattaforma ideale per studiare il comportamento del tessuto muscolare e sviluppare nuovi trattamenti per la rigenerazione dei muscoli danneggiati”.

        Le applicazioni principali sono tre:

        1. Medicina rigenerativa – I mini-muscoli potranno essere impiegati per analizzare come il tessuto umano si ripara dopo lesioni, immobilizzazione o invecchiamento. Le scoperte potranno contribuire a terapie contro atrofie muscolari e distrofie.
        2. Test farmacologici – Sperimentare nuovi farmaci su tessuti umani coltivati in laboratorio permette di valutarne efficacia e tossicità riducendo la necessità di test sugli animali. In particolare, sarà possibile osservare in tempo reale la risposta dei muscoli ai medicinali che influenzano la contrazione o la trasmissione elettrica.
        3. Microchirurgia di precisione – Dispositivi bioibridi miniaturizzati potrebbero un giorno essere usati come pinze o strumenti autonomi, capaci di operare in aree del corpo oggi inaccessibili con la chirurgia tradizionale.

        Le sfide ancora da affrontare

        Nonostante i progressi, la biohybrid robotics deve superare ostacoli significativi. Il primo riguarda la sopravvivenza del tessuto muscolare: se la struttura di supporto è troppo spessa, le cellule interne non ricevono abbastanza nutrienti. Per questo si stanno sviluppando microcanali simili a capillari, che consentano un flusso costante di ossigeno e sostanze vitali.

        Un’altra sfida è la trasmissione uniforme del segnale elettrico. Oggi, gli impulsi non si propagano in modo omogeneo lungo il tessuto. La soluzione potrebbe arrivare da idrogel conduttivi di nuova generazione, dotati di minuscoli elettrodi integrati.

        C’è poi il problema della resistenza meccanica: materiali troppo rigidi ostacolano il movimento, ma quelli troppo morbidi si deteriorano in fretta. I ricercatori stanno quindi studiando matrici rinforzate, in grado di mantenere flessibilità e durata.

        Infine, la tecnologia di stampa 3D dovrà diventare più rapida e precisa per creare strutture più grandi senza compromettere la vitalità cellulare.

        Oltre Harvard: la corsa ai robot “vivi”

        Il lavoro del team di Shin non è isolato. Al Massachusetts Institute of Technology (MIT), nel marzo 2025, un gruppo di bioingegneri ha sviluppato un tessuto artificiale in grado di contrarsi in diverse direzioni, imitando il movimento dell’iride umana.

        E al Ren Lab della Carnegie Mellon University, i ricercatori hanno presentato gli AggreBots, microscopici automi composti da cellule polmonari umane che si muovono grazie a minuscole ciglia biologiche.

        Questi progetti segnano l’inizio di una nuova era in cui la distinzione tra organismo e macchina si fa sempre più sottile. La prospettiva, ancora lontana ma sempre più concreta, è quella di robot che non solo si muovono, ma crescono, si riparano e reagiscono all’ambiente come esseri viventi.

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          Tech

          X precipita in Italia: il social di Elon Musk perde milioni di utenti, crolla il tempo di utilizzo e scivola fuori dal podio dei social più amati

          Secondo l’analisi di Audicom-Audiweb, X perde il 12,8% degli utenti nel 2024 e un ulteriore 27,6% nel 2025: oltre 4,4 milioni di persone in meno. Crolla anche il tempo speso sulla piattaforma, mentre YouTube resta in vetta e Instagram mostra segnali di affaticamento.

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            In Italia c’è un social che sta vivendo la sua stagione più buia, e non è una sorpresa che porti la X di Elon Musk. La piattaforma, che avrebbe dovuto segnare la rinascita di Twitter, sta invece scivolando verso un declino evidente, certificato dai numeri più impietosi degli ultimi anni. A dirlo è l’analisi di Vincenzo Cosenza, uno degli osservatori più autorevoli del digitale italiano, che incrocia i dati Audicom-Audiweb e fotografa un mercato ormai saturo, dove i giganti resistono e chi non regge viene travolto.

            Il quadro è drasticamente chiaro: tra il 2023 e il 2024 X ha perso il 12,8% degli utenti italiani. Una discesa già significativa, ma diventata un vero crollo negli ultimi mesi del 2025, quando la piattaforma ha registrato un -27,6%. Tradotto: oltre 4,4 milioni di utenti evaporati. E non finisce qui, perché anche il tempo trascorso dagli italiani sulla piattaforma è diminuito del 30%. Siamo davanti a un’emorragia strutturale, non a un semplice calo fisiologico.

            Mentre X perde colpi, il resto del mercato non se la passa meglio, ma almeno non cede terreno con la stessa violenza. YouTube resta il social più utilizzato in Italia, con 37,1 milioni di utenti, in leggerissima crescita su base annua. Subito dietro Facebook, che pure perde un milione di utenti nei primi nove mesi del 2025, continua però a essere il luogo digitale dove gli italiani trascorrono più tempo: oltre tredici ore al mese, una fedeltà impossibile da ignorare.

            Instagram, che negli ultimi anni aveva dominato le nuove generazioni, mostra per la prima volta i segni di una stanchezza reale: quasi 32,9 milioni di utenti, ma in calo di quasi due punti nel 2025. Tiene invece TikTok, stabile a 22,4 milioni di utenti e unica piattaforma a mostrare una crescita anno su anno, nonostante un lieve arretramento negli ultimi mesi.

            Nel frattempo spuntano nuovi outsider che iniziano a rosicchiare spazio: Threads, il social lanciato da Meta per sfidare X frontalmente, e Reddit, che sta vivendo un’improvvisa popolarità italiana grazie alla sua struttura comunitaria. Nessuno dei due è ancora un colosso, ma entrambi crescono mentre X arretra.

            Secondo Cosenza, il mercato italiano ha ormai raggiunto il limite della saturazione e i movimenti dei prossimi anni saranno determinati dall’intelligenza artificiale: dalla capacità delle piattaforme di introdurre funzioni davvero utili, non semplici gadget. Ma una certezza già esiste: la fuga da X non è un incidente di percorso. È una tendenza chiara, netta, difficilmente reversibile. E mette in discussione l’idea stessa che Musk possa ricostruire ciò che Twitter rappresentava per l’informazione, la politica e il dibattito pubblico del Paese.

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              Air SNES: quando la sneaker diventa una console retrò

              Gustavo Bonzanini firma una sneaker-mod unica nel suo genere: dentro una Air Max battito e memoria degli anni ’90, un mini-computer, ingressi HDMI nascosti e un controller Bluetooth. Un progetto artigianale, virale ma non in vendita.

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              Air SNES

                Se negli ultimi anni le sneaker sono diventate accessori da collezione, tele bianche per artisti e provocazioni per influencer, qualcuno ha deciso di spingersi oltre, mescolando streetwear e nostalgia videoludica. Il designer brasiliano Gustavo Bonzanini ha infatti trasformato una Nike Air Max 90 in una vera – seppur miniaturizzata – console retrò perfettamente funzionante, ribattezzata Air SNES, in omaggio ai 35 anni del Super Nintendo Entertainment System, la console che negli anni ’90 ha segnato un’epoca nel gaming domestico.

                L’idea nasce come progetto personale e non come prodotto commerciale. Bonzanini, appassionato di modding e cultura pop, ha immaginato come sarebbe stato “indossare” un pezzo di storia videoludica. Installare un Super Nintendo originale sarebbe stato impossibile a causa di peso e dimensioni, ma non per questo il designer ha rinunciato alla sfida. La soluzione è arrivata grazie a un Raspberry Pi Zero W, un micro-computer economico e compatto, configurato con RetroPie, una piattaforma open source in grado di emulare diverse console storiche, SNES incluso.

                L’interno della sneaker è stato così modificato per ospitare tutto il necessario: oltre al Raspberry, una batteria ricaricabile che garantisce circa mezz’ora di autonomia – sufficiente per una dimostrazione o una partita nostalgica – e un controller Bluetooth, una versione personalizzata di un pad retro prodotto da 8BitDo, azienda conosciuta per i suoi dispositivi dedicati al retrogaming.

                La connessione allo schermo è possibile sia tramite HDMI, sia attraverso un cavo RGB, soluzione particolarmente apprezzata dagli appassionati che preferiscono la resa visiva dei televisori analogici. Le porte sono abilmente integrate all’interno delle linguette della scarpa, invisibili a un primo sguardo. Il risultato è una sneaker che sembra una normale Air Max 90 con livrea ispirata ai colori del Super Nintendo – grigi chiari, tocchi di viola e forme geometriche – ma che, una volta collegata alla TV, diventa una console giocabile a tutti gli effetti.

                Pubblicata da Bonzanini sui social, la Air SNES ha immediatamente scatenato entusiasmo e richieste da parte di collezionisti, gamer nostalgici e semplici curiosi. L’oggetto è rapidamente diventato virale, complice l’incrocio tra due mondi – moda e gaming – che negli ultimi anni dialogano sempre più. In molti hanno chiesto al designer di produrre altre versioni dedicate ad altre console, da Sega Mega Drive a PlayStation, ma lui è stato chiaro: si tratta di un pezzo unico, non realizzato per essere venduto né facilmente replicabile, sia per complessità tecnica sia per una questione di diritti e licenze.

                Al di là della giocabilità – certamente più simbolica che pratica – la Air SNES rappresenta un esercizio creativo che parla di cultura pop, di nostalgia e di innovazione fai-da-te. Una fusione riuscita tra oggetto iconico, sneaker culture e memoria videoludica. E, sebbene impossibile da acquistare, rimane una delle custom più sorprendenti mai apparse negli ultimi anni. Una scarpa che non serve per correre, ma per ricordare un’epoca in cui bastavano un televisore e una cartuccia per sognare mondi lontani.

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