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Il ritorno di BadBox: il malware che non muore mai. Purtroppo

Credevamo fosse sparito, ma BadBox è tornato a colpire: oltre 200.000 dispositivi Android infettati, compresi smartphone e smart TV. Ecco come difendersi.

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    Quando pensavamo di esserci lasciati alle spalle il pericolo, BadBox, uno dei malware più temuti, fa di nuovo la sua comparsa. Tornato in azione dopo mesi di silenzio, ha già infettato oltre 200.000 dispositivi Android in tutto il mondo, incluse molte smart TV, causando preoccupazione tra gli esperti di sicurezza informatica e gli utenti.

    Ma che cos’è BadBox?

    BadBox è un malware particolarmente insidioso, conosciuto per la sua capacità di adattarsi ai dispositivi che infetta. Presentandosi come un’applicazione legittima, una volta scaricato si insinua nei sistemi operativi Android per rubare dati sensibili, come password e credenziali di accesso; monitorare le attività degli utenti in background senza destare sospetti. Ciò che rende BadBox davvero pericoloso è la sua capacità di eludere i sistemi di rilevamento antivirus, grazie a tecniche sofisticate che sfruttano le vulnerabilità di Android, in particolare su dispositivi con versioni obsolete del sistema operativo.

    Come si diffonde?

    BadBox si propaga principalmente tramite store di terze parti. Gli utenti, attratti da app gratuite o non disponibili sui canali ufficiali, scaricano inconsapevolmente software infetto. Una volta installato, il malware si attiva senza lasciare tracce evidenti. Ma non colpisce solo smartphone e tablet. Il malware si insinua anche smart TV e altri dispositivi Android, come cornici digitali e lettori multimediali, sono tra i bersagli principali. Questo amplia enormemente il suo raggio d’azione.

    Chi è stato colpito?

    Nel mese di dicembre il ritorno di BadBox ha visto il coinvolgimento di: smart TV Android, ormai sempre più comuni nelle case, seguite dai dispositivi economici Android, spesso venduti con versioni obsolete del sistema operativo. Tra i Paesi più colpiti in Europa la Germania, dove il malware ha infettato decine di migliaia di dispositivi connessi a Internet. Secondo BitSight, il malware è anche parte di un’operazione più ampia che sfrutta i dispositivi infetti per frode pubblicitaria, generando traffico falso per app e siti web. Inoltre sfrutta la creazione di account fraudolenti su servizi popolari come Gmail e WhatsApp.

    Come facciamo a difenderci

    La minaccia di BadBox è reale, ma ci sono modi per proteggersi. Come fare? Per prima cosa scarica solo da store ufficiali evitando store di terze parti e controllando sempre la provenienza delle app. Poi aggiorna il sistema operativo. Le patch di sicurezza sono fondamentali per chiudere le vulnerabilità. Naturalmente è consigliabile utilizzare antivirus affidabili. Anche se il malware cerca di eluderli, gli strumenti più aggiornati possono rilevarlo.
    Ricordarsi inoltre che molti device low-cost possono contenere malware preinstallati quindi è meglio acquistare solo da brand conosciuti. E infine è sempre meglio disconnetti i dispositivi sospetti. Se temete di essere stato infettati, scollegate il dispositivo dalla rete e ripristinatelo alle impostazioni di fabbrica.

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      Tech

      Airbag giganti come popcorn: l’idea indiana per sopravvivere agli incidenti aerei

      Il progetto, candidato al James Dyson Award 2025, sfrutta l’intelligenza artificiale per attivare giganteschi cuscini protettivi a 900 metri dal suolo. Popcorn giganti che potrebbero rivoluzionare la sicurezza del volo.

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        Un’idea surreale, quasi da film di fantascienza, ma che nasce dalla tragedia. Il 12 giugno 2025 il volo Air India 171 si è trasformato in un incubo: il Boeing 787 precipitato ad Ahmedabad dopo l’errore fatale di un pilota che ha chiuso i motori. Lo schianto contro la mensa universitaria è costato la vita a 270 persone. Solo un passeggero si è salvato. Da quel dolore, due studenti del Birla Institute of Technology and Science hanno deciso di immaginare un modo radicale per aumentare le possibilità di sopravvivenza.

        Così è nato Rebirth, un progetto che potrebbe cambiare la storia della sicurezza aerea. L’idea: giganteschi airbag esterni, simili a enormi popcorn bianchi, che si gonfiano intorno alla fusoliera quando l’incidente è ormai inevitabile. Un bozzolo protettivo che assorbe parte dell’impatto e lascia ai soccorritori la possibilità di trovare superstiti.

        Il cuore del sistema è un software di intelligenza artificiale che analizza in tempo reale parametri come altitudine, velocità, motori, incendi e persino la reazione dei piloti. Quando l’aereo scende sotto i 900 metri senza più possibilità di recupero, parte la sequenza: enormi airbag si aprono, l’impatto viene attutito e contestualmente si attivano lampeggianti a infrarossi e Gps per segnalare i rottami.

        Un’idea semplice e visionaria, che secondo gli ideatori Eshel Wasim e Dharsan Srinivasan può essere installata anche su aerei già in servizio, non solo sui modelli futuri. «Vogliamo dare una possibilità di sopravvivenza, anche quando tutto sembra perduto», raccontano.

        Non mancano i dubbi: peso, costi, compatibilità con le strutture esistenti e reale efficacia restano tutti nodi aperti. Ma intanto Rebirth è entrato tra i candidati al James Dyson Award 2025, premio internazionale che ogni anno seleziona progetti capaci di avere un impatto globale. Il vincitore sarà annunciato il 5 novembre.

        Che sia davvero il futuro o solo un’utopia ingegneristica, l’immagine resta potente: aerei che nell’ultimo istante si trasformano in giganteschi popcorn, simbolo paradossale di leggerezza in mezzo alla tragedia.

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          Tech

          Tra gossip e algoritmi, l’amore ai tempi dell’AI

          Sotto i riflettori del gossip e dell’opinione pubblica, le coppie vip fanno discutere. Ma cosa potrebbe accadere se l’Intelligenza Artificiale entrasse in gioco, offrendo un parere inaspettato sul futuro di un amore?

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            Nel panorama mediatico odierno, le vicende private di personaggi pubblici spesso si intrecciano con l’interesse collettivo, alimentando dibattiti e i pettegolezzi. La separazione di una coppia vip, in particolare, accende i riflettori e spinge molti a interrogarsi sulle dinamiche profonde che hanno portato alla rottura.

            In un’epoca in cui l’Intelligenza Artificiale riempie sempre più ambiti della nostra vita, ecco che anche questo tema così intimo e personale non sfugge al suo sguardo analitico. Algoritmi sofisticati, alimentati da una vastità di dati e informazioni, provano a fornire un responso sul futuro di una coppia vip.

            Le motivazioni alla base di queste previsioni sono complesse e sfumate, frutto di un’analisi approfondita dei dati relativi alla coppia, alle loro interazioni e al contesto in cui vivono. L’IA, pur non potendo prevedere il futuro con assoluta certezza, individua elementi che potrebbero favorire una separazione e le problematiche che hanno portato alla crisi.

            L’intervento dell’IA in questa vicenda così delicata solleva numerose questioni etiche e filosofiche. In che misura è lecito affidarsi a un algoritmo per giudicare le dinamiche umane così complesse e sfuggenti? Può un responso impersonale e asettico sostituire l’empatia e la comprensione umana?

            Il dibattito è aperto e non ha risposte facili. Tuttavia, l’inaspettato verdetto dell’IA ci spinge a riflettere sul ruolo sempre più importante che la tecnologia sta assumendo nelle nostre vite, anche in quelle sfere intime e personali che un tempo erano considerate dominio esclusivo dell’esperienza umana.

            Ma una cosa è certa: l’Intelligenza Artificiale ha già lasciato il segno, aprendo un nuovo capitolo nel modo in cui percepiamo e affrontiamo le sfide del cuore.

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              Google inquina sempre di più: +11% di emissioni nel 2024, colpa dell’intelligenza artificiale

              Dal 2019 a oggi le emissioni di carbonio di Google sono cresciute del 51%. A farle impennare è soprattutto la catena di fornitura dell’intelligenza artificiale: produzione, trasporti e logistica per alimentare i data center divorano energia e aumentano l’impatto ambientale.

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                C’era una volta il sogno green di Google. Ma nel 2024, la realtà è ben diversa. Secondo l’ultimo rapporto sulla sostenibilità pubblicato dal colosso di Mountain View, le emissioni complessive di carbonio sono aumentate dell’11% rispetto all’anno precedente. Un incremento che porta il dato totale a +51% rispetto al 2019, allontanando sensibilmente l’azienda dall’obiettivo dichiarato: dimezzare le emissioni entro il 2030.

                La causa? Una sola parola: intelligenza artificiale.

                Nel documento, Google ammette che a pesare sono soprattutto le emissioni legate alla catena di fornitura, ovvero la cosiddetta “scope 3”, che comprende tutte quelle attività esterne al diretto controllo dell’azienda: acquisto di beni e servizi, trasporti, logistica, produzione e assemblaggio delle componenti necessarie per alimentare l’ecosistema AI. Proprio questa categoria ha visto un aumento del 22% nel 2024, mentre le emissioni interne alle sole operazioni aziendali sono diminuite dell’11%.

                Per realizzare le sue promesse, l’intelligenza artificiale ha bisogno di energia”, ammette senza giri di parole il report. La crescente domanda di calcolo generata dalle nuove tecnologie richiede infatti infrastrutture sempre più complesse e assetate di corrente. Tuttavia, c’è una nota positiva: l’innovazione tecnologica sta rendendo i data center più efficienti, riuscendo a contenere l’aumento dei consumi.

                Google prova a rassicurare: “Entro il 2030, i nostri data center consumeranno meno energia rispetto a quella richiesta da motori industriali, climatizzatori o auto elettriche”. Ma il trend resta preoccupante, soprattutto considerando la velocità con cui l’industria dell’IA sta crescendo.

                E se Big G arranca, anche gli altri big tech non brillano. Meta, ad esempio, ha annunciato un data center alimentato a gas in Louisiana. E negli Stati Uniti, l’ultima mossa politica ha fatto discutere: l’ex presidente Trump ha firmato un ordine esecutivo per promuovere l’uso del carbone nei data center IA, una scelta che appare in netta controtendenza rispetto alle strategie ambientali globali.

                L’era dell’intelligenza artificiale è solo all’inizio. Ma, a quanto pare, la transizione ecologica dovrà aspettare.

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