Connect with us

Tech

Occhiali intelligenti e zero notifiche: il futuro della tecnologia è slow

Altro che iperconnessione: la nuova frontiera della tecnologia da indossare promette di migliorare la qualità della vita riducendo ansia e stress. Ecco i gadget che piacciono agli introversi digitali.

Avatar photo

Pubblicato

il

    C’è stato un tempo – nemmeno troppo lontano – in cui ogni nuovo gadget prometteva connessione, velocità, efficienza. Più notifiche, più dati, più performance. Il futuro era un incessante flusso di bit tra le mani, tra gli occhi, tra i pensieri. Ma ora qualcosa sta cambiando. Lentamente, certo. Ma in modo inesorabile. I dispositivi tech più evoluti non sono più quelli che ti sommergono di alert, ma quelli che – udite udite – ti lasciano in pace.

    È la filosofia del “calm tech”, la tecnologia calma, silenziosa, quasi invisibile. Nasce da una controcultura digitale che ha fatto breccia soprattutto tra i giovani adulti stanchi di sentirsi costantemente sotto pressione. Il burnout da notifica è reale, e la risposta non è buttare lo smartphone dalla finestra, ma affiancarlo con oggetti che aiutino a rallentare. A respirare.

    Primi tra tutti, gli occhiali intelligenti. Ma non quelli per guardare video in realtà aumentata o postare stories con l’iride. Parliamo di una nuova generazione di eyewear minimalisti, come i Frame di Solos o i Mudra di Wearable Devices: sembrano occhiali da sole, ma sono dotati di microcomandi e sensori aptici che consentono di gestire alcune funzioni dello smartphone (come rispondere o rifiutare una chiamata) senza mai tirarlo fuori dalla tasca. Il punto forte? Non vibra, non suona, non distrae. Semplicemente, riduce il rumore.

    Stesso concetto per gli anelli smart, sempre più diffusi e apprezzati. Sottovalutati finché non li si indossa, diventano un alleato discreto e potentissimo. L’Oura Ring, per esempio, monitora il sonno, lo stress e i livelli di attività fisica, ma non emette notifiche, non ha display e non ti interrompe mai. Ti mostra i dati solo quando sei tu a chiederli. È una tecnologia che si adatta al tuo ritmo, non il contrario.

    E non finisce qui: esistono anche bracciali anti-stress, cuffie che cancellano il rumore ambientale per creare silenzi personalizzati, t-shirt che tracciano il respiro e suggeriscono quando serve fermarsi. Tutto all’insegna di un minimalismo funzionale, che non è solo estetico, ma filosofico. Semplificare per vivere meglio.

    Nel mondo delle app, intanto, proliferano i software che riducono il tempo online. Esistono launcher per smartphone che nascondono tutte le icone tranne quelle essenziali. Esistono interfacce progettate in bianco e nero per scoraggiare lo scrolling compulsivo. E ci sono addirittura sistemi operativi che permettono di spegnere tutto tranne ciò che è davvero utile.

    Una delle tendenze più interessanti, però, resta quella dei dispositivi “zero display”. Prodotti come il Light Phone 2, un telefono che fa solo telefonate, messaggi e navigazione basilare, senza social, senza app, senza caos. O come l’MP02 di Punkt, che ha un’estetica da futuro retrò e viene scelto sempre più spesso da professionisti e creativi che vogliono ritagliarsi momenti di autentica disconnessione.

    Perché in fondo il vero lusso, oggi, è proprio questo: il silenzio. La possibilità di restare da soli con i propri pensieri, senza sentirsi colpevoli, né esclusi. E se la tecnologia può aiutarci a proteggerci dal sovraccarico digitale, ben venga. Basta che lo faccia senza fare troppo rumore.

      SEGUICI SU INSTAGRAM
      INSTAGRAM.COM/LACITYMAG

      Tech

      Che fine ha fatto l’inventore di Msn, Nathan Myhrvold?

      L’inventore di un servizio ai tempi avveniristico, del quale Bill Gates capì subito il grande potenziale, arruolandolo nel suo team. Oggi il suo business sono i brevetti.

      Avatar photo

      Pubblicato

      il

        Un servizio di video chat passato alla storia, dietro al quale c’è Nathan Myhrvold, genio dell’hitech che a poco più di 20 anni, fonda la sua prima startup, Dynamical System Research. Nel 1986 sviluppa un ambiente operativo che consente di usare più applicazioni contemporaneamente. Microsoft ne comprende il potenziale e acquista per 1,5 milioni di dollari e arruola pure Nathan, che per 13 anni scala posizioni fino a diventare CTO, mentre scrive un documento che cambia per sempre la vita della multinazionale di Bill Gates.

        Fonda una squadra speciale con l’ok di Gates

        Nathan, master in matematica ed economia a Princeton e un post dottorato a Cambridge, non possiede certo il profilo di chi entra in una grossa azienda in silenzio. Pronti-via… il primo incarico che gli viene affidato è di occuparsi dello sviluppo di tecnologia avanzata. Rileva una falla in azienda e scrive un corposo documento nel quale chiede a Bill Gates (al tempo Ceo di Microsoft) di creare una squadra speciale formata da ricercatori. Con l’ok di Gates nasce il Microsoft Research, per sviluppare progetti innovativi. Sono i primi mattoni di quello che oggi è un centro di ricerca nato nel 1991 con un gruppo di cinque persone e cresciuto fino a impiegare oggi oltre 1000 risorse, tra America, Europa e Asia.

        La nascita di Msn

        È il 24 agosto 1995 quando debutta uno dei primi prodotti che Microsoft decide di commercializzare: Microsoft Network, un insieme di servizi online. Due su tutti diventano subito popolari, Hotmail (per la posta elettronica). E Messenger, servizio di istant messaging. Oggi, nell’epoca di Whatsapp, l’idea fa un po’ sorridere. Ma ai tempi era rivoluzionario, in anni in cui i ragazzi possedevano cellulari con traffico prepagato, quando gli anni in cui sarebbe stato possibile inviare messaggi gratis erano molto lontani. Con Messenger potevi chattare, fare video, telefonate, con la tua lista di amici in Italia o all’estero. Tutto gratis. I trentenni che ci sono passati, i Millennials, lo ricordano molto bene.

        Con l’avvento di Facebook si inaugura una nuova era e il Web ne esce radicalmente trasformato. Messenger perde utenti, 48% l’anno. Mentre un altro software di messaggistica istantanea e voip, nato in Estonia, cresce a ritmi vertiginosi. Si chiama Skype e nel 2011 ha 663 milioni di utenti registrati a livello mondiale. Nel 2012 la decisione: Messenger confluisce in Skype che lo rimpiazza ufficialmente. E vengono chiusi anche i cosiddetti “space”, i blog, associati a ogni account. La fine di un servizio e di un’epoca.


        Il business attuale di Myhrvold è quello di fare soldi coi brevetti

        Il nome di Nathan Myhrvold negli ultimi anni è legato alla Intellectual Ventures, società che sviluppa, compra e vende brevetti per risolvere grosse sfide dell’umanità come epidemie e riscaldamento globale. Fondata nel 2000, l’azienda ha raccolto finanziamenti complessivi di 5,5 miliardi. Più investimenti da università come Stanford, con ricavi di 3 miliardi di dollari sulle licenze accumulate negli anni. Un vero e proprio dominio sul mercato dei brevetti: ne possiede circa 70 mila. In molti lo criticano ma lui risponde sereno: «Lo scopo dell’azienda è di investire in nuove invenzioni. Le grosse aziende che mi accusano di essere un troll sono solo ipocrite. Facciamo esattamente quello che fanno Microsoft, Apple, Facebook. Tutte comprano brevetti per rivenderli e guadagnarci».

          Continua a leggere

          Tech

          Se la sabbia entra nello smartphone: guida semiseria ai drammi tech sotto l’ombrellone

          Tra sabbia, crema solare, mare e selfie compulsivi, l’ecosistema tech rischia l’estinzione già a metà luglio. Ecco una guida per evitare che il tuo smartphone finisca in terapia intensiva, che il drone vada disperso nel bagnasciuga e che lo smartwatch si abbronzi al posto tuo.

          Avatar photo

          Pubblicato

          il

          Autore

            Tra sabbia, crema solare, mare e selfie compulsivi, l’ecosistema tech rischia l’estinzione già a metà luglio. Ecco una guida per evitare che il tuo smartphone finisca in terapia intensiva, che il drone vada disperso nel bagnasciuga e che lo smartwatch si abbronzi al posto tuo.

            L’estate è il regno della leggerezza, delle infradito, dei cocktail col nome sbagliato. Ma è anche il periodo dell’anno in cui la tecnologia piange. Sotto l’ombrellone, infatti, ogni device è a rischio: sabbia, sole, salsedine e mani unte di crema diventano i peggiori nemici del nostro ecosistema digitale.

            Primo protagonista del disastro estivo: lo smartphone. Immortalare ogni momento della giornata — dal caffè shakerato all’ombrellone al tramonto con filtro vintage — è ormai obbligatorio. Ma basta una distrazione e la sabbia finisce ovunque: negli speaker, nei connettori, nel foro del microfono. Risultato: le foto diventano sfocate e Siri comincia a tossire.

            Poi c’è il tablet da spiaggia, usato per leggere, guardare serie o “lavorare” mentre gli altri fanno il bagno. Un sogno infranto alla prima ondata che lo colpisce in pieno o al primo bambino che inciampa rovesciando l’Estathé. Alcuni lo infilano dentro una busta trasparente con la zip, come il panino del pranzo. E lo trattano come tale.

            Lo smartwatch, invece, si comporta come un fitness coach troppo zelante: inizia a vibrare ogni tre minuti. “Alzati!”, “Respira!”, “Hai bruciato una caloria!” — mentre tu stai solo cercando di girarti sul lettino senza scioglierti. A fine giornata, avrà contato più passi il tuo polso che le tue gambe. E lui sarà l’unico ad avere il segno del costume.

            Passiamo al capitolo più tragico: il drone in spiaggia. Ogni anno, qualcuno decide di lanciare il proprio drone a caccia di riprese epiche. E ogni anno, almeno uno finisce o tra le onde o dentro il panino di un bagnante. Volano per dieci minuti, creano panico tra i gabbiani e poi si abbattono in slow motion sulla sabbia rovente, tra l’orrore generale e le risate dei vicini d’ombrellone.

            Menzione speciale ai caricabatterie solari, quei pannellini salvavita che promettono di ricaricare tutto col sole e invece riescono appena ad accendere una spia. Li metti al sole per ore, sperando nel miracolo. Ma dopo quattro ore hanno ricaricato il 3% del telefono e fuso la cover.

            Morale della favola? In spiaggia, la tecnologia va trattata con più attenzione di un bambino in età pre-svezzamento. O si rischia il blackout digitale. Oppure, soluzione radicale: lascia tutto a casa. Tanto, dopo dieci minuti, ti ritroverai a spiare i vicini. E quello è un reality che non si scarica mai.

              Continua a leggere

              Tech

              Cina, in arrivo il robot che “partorisce”: tra speranze e timori etici

              L’idea promette di aiutare le coppie sterili e superare la maternità surrogata, ma gli esperti mettono in guardia: replicare la complessità di una gestazione umana potrebbe rivelarsi impossibile.

              Avatar photo

              Pubblicato

              il

              Autore

              robot incinto

                Potrebbe sembrare il copione di un film di fantascienza, e invece è realtà. In Cina, la startup Kaiwa Technology, fondata dal ricercatore Zhang Qifeng – dottore di ricerca alla Nanyang Technological University di Singapore. Ha annunciato di lavorare a un robot umanoide dotato di utero artificiale. L’obiettivo è ambizioso: permettere a un feto di crescere per nove mesi in un ambiente completamente artificiale e nascere in salute, senza bisogno del corpo materno.

                Il funzionamento, secondo i primi dettagli diffusi, prevede un “grembo” riempito di liquido amniotico sintetico. Nel quale il feto riceverebbe nutrienti attraverso un tubo collegato al cordone ombelicale. Il robot monitorerebbe costantemente i parametri vitali, fino al “parto”. Il primo prototipo, assicurano i promotori, potrebbe essere pronto già nel 2026, con un costo stimato di circa 100.000 yuan (12.000 euro).

                Il precedente scientifico non manca. Nel 2017, un team del Children’s Hospital di Philadelphia aveva fatto scalpore con la cosiddetta biobag, una sacca artificiale che permise a un agnello prematuro di sopravvivere e svilupparsi per alcune settimane. Quella tecnologia, però, si comportava come un’incubatrice avanzata: non era in grado di sostenere una gravidanza dall’inizio alla fine. Il progetto cinese punta invece a colmare proprio questa lacuna.

                La notizia ha scatenato un acceso dibattito sui social cinesi. Su Weibo l’hashtag dedicato al “primo robot che partorisce” è balzato in cima ai trend, tra entusiasmi e critiche. Alcuni commentatori hanno parlato di “svolta storica” per le coppie infertili e di una possibile emancipazione femminile, liberata dai rischi della gravidanza. Altri, invece, hanno definito l’idea “disumana” e contraria alla natura, sottolineando l’assenza del legame madre-figlio.

                Il contesto in cui nasce l’innovazione è significativo: in Cina l’infertilità è in aumento. Uno studio pubblicato su The Lancet nel 2022 ha rilevato che la percentuale di coppie senza figli è salita dall’11,9% nel 2007 al 18% nel 2020. Per molte famiglie, i costi elevati e i fallimenti frequenti della fecondazione assistita restano un ostacolo. In questo scenario, l’utero artificiale viene presentato come una possibile alternativa alla discussa maternità surrogata, vietata o limitata in molti Paesi, Italia compresa.

                Eppure, gli esperti invitano alla cautela. Replicare la gestazione umana non significa soltanto fornire nutrienti: ormoni, interazioni biologiche e legame psicologico tra madre e feto sono elementi impossibili da riprodurre in laboratorio. Il quotidiano britannico Telegraph ha raccolto l’opinione di medici che vedono nel progetto il rischio di “medicalizzare” un processo naturale, trasformandolo in un evento tecnologico e commerciale.

                Nonostante i dubbi, Zhang Qifeng e il suo team restano convinti: “Non vogliamo sostituire la maternità, ma offrire un’opzione a chi non può avere figli”. Se davvero l’utero artificiale integrato in un robot vedrà la luce, il confine tra progresso e inquietudine si farà sempre più sottile, aprendo scenari che finora appartenevano solo alla fantascienza.

                  Continua a leggere
                  Advertisement

                  Ultime notizie

                  Lacitymag.it - Tutti i colori della cronaca | DIEMMECOM® Società Editoriale Srl P. IVA 01737800795 R.O.C. 4049 – Reg. Trib MI n.61 del 17.04.2024 | Direttore responsabile: Luca Arnaù