Tech
Tesla inizia il 2025 in retromarcia: vendite in calo e concorrenza cinese al sorpasso. Musk scommette sulla Tesla low cost
Consegne sotto le aspettative e la cinese BYD ormai a un soffio dal trono di leader mondiale dei veicoli elettrici. Tesla deve reagire: Musk promette un modello a basso costo e punta sulla guida autonoma. Ma basterà per arginare un 2025 che si apre in pieno mercato ribassista?
L’anno nuovo per Tesla non si è aperto nel migliore dei modi. Il 2025 è iniziato con un brusco risveglio per il colosso delle auto elettriche, che vede il suo titolo scivolare in bear market, registrando un calo superiore al 20% rispetto ai massimi di metà dicembre. Dopo il rally post-elezioni che aveva portato le azioni a sfiorare i 500 dollari, il mercato ha reagito male ai dati sulle vendite 2024, sancendo una battuta d’arresto inaspettata per un’azienda abituata a crescere senza sosta.
Le vendite 2024: un record amaro
Nonostante il quarto trimestre abbia segnato un nuovo record di consegne, Tesla ha chiuso il 2024 con una contrazione annua delle vendite: 1,78 milioni di veicoli consegnati, in lieve calo rispetto agli 1,8 milioni del 2023. È la prima volta in oltre un decennio che l’azienda registra un declino annuale, un dato che ha fatto storcere il naso a Wall Street.
Nel quarto trimestre, Tesla ha consegnato 471.930 veicoli, ben al di sotto delle stime degli analisti che puntavano a 510mila unità. Rispetto allo stesso periodo del 2023, il risultato è inferiore anche alle 484.500 vetture consegnate l’anno precedente, aumentando la pressione su Elon Musk e il suo team per risollevare le sorti dell’azienda.
Il sorpasso cinese: BYD e Xiaomi minacciano Tesla
La competizione si è fatta feroce, soprattutto nel mercato cinese, dove BYD, sostenuta dall’investitore miliardario Warren Buffett, ha consolidato la sua posizione di leader. Nel 2024, BYD ha consegnato 4,3 milioni di auto a livello globale, di cui 1,76 milioni puramente elettriche, a un soffio dal superare Tesla. Nei mesi finali dell’anno, la casa cinese ha già sorpassato Tesla nelle vendite mensili di EV puri, ponendo una seria minaccia al suo primato.
Ma BYD non è l’unica preoccupazione. Anche Xiaomi si è affacciata con prepotenza nel mercato delle auto elettriche, lanciando il suo primo modello EV con risultati sopra le aspettative. Il secondo modello, il SUV YU7, è atteso per il 2025 e promette di sfidare direttamente la Tesla Model Y. Con dimensioni imponenti e un design accattivante, Xiaomi punta a ritagliarsi una fetta significativa del mercato.
Le contromisure di Musk: Tesla low cost e guida autonoma
Per far fronte alle crescenti difficoltà, Elon Musk ha annunciato l’arrivo di un nuovo modello low cost, che potrebbe debuttare già nel primo trimestre del 2025. L’obiettivo è stimolare la crescita delle consegne, attirando una fascia di mercato più ampia.
Accanto a questo, Tesla punta a spingere l’adozione del suo software di guida autonoma (FSD) e ad accelerare lo sviluppo dei robotaxi. Secondo gli analisti, tra cui il sempre ottimista Dan Ives di Wedbush, queste innovazioni potrebbero rappresentare la chiave per riportare Tesla su un percorso di crescita sostenibile.
Ives vede Tesla non solo come un’azienda automobilistica, ma come un leader tecnologico globale. “L’era dell’autonomia e dell’intelligenza artificiale è il prossimo capitolo di Tesla, che sarà accelerato sotto l’amministrazione Trump,” ha dichiarato l’analista, ribadendo la sua fiducia nel titolo nonostante l’inizio d’anno difficile.
Un futuro incerto, ma non tutto è perduto
Sebbene il calo delle vendite e la pressione dei concorrenti rappresentino sfide significative, Tesla rimane una delle aziende più innovative e resilienti del panorama globale. La domanda è se Musk e il suo team saranno in grado di sfruttare le loro risorse tecnologiche e la loro influenza politica per rilanciare il marchio in un contesto sempre più competitivo.
Il 2025 si prospetta come un anno decisivo per Tesla, tra promesse di innovazioni e crescenti difficoltà. La battaglia per il trono dei veicoli elettrici è più aperta che mai, e il prossimo capitolo della storia di Tesla sarà scritto a colpi di innovazione e strategie di mercato.
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Air SNES: quando la sneaker diventa una console retrò
Gustavo Bonzanini firma una sneaker-mod unica nel suo genere: dentro una Air Max battito e memoria degli anni ’90, un mini-computer, ingressi HDMI nascosti e un controller Bluetooth. Un progetto artigianale, virale ma non in vendita.
Se negli ultimi anni le sneaker sono diventate accessori da collezione, tele bianche per artisti e provocazioni per influencer, qualcuno ha deciso di spingersi oltre, mescolando streetwear e nostalgia videoludica. Il designer brasiliano Gustavo Bonzanini ha infatti trasformato una Nike Air Max 90 in una vera – seppur miniaturizzata – console retrò perfettamente funzionante, ribattezzata Air SNES, in omaggio ai 35 anni del Super Nintendo Entertainment System, la console che negli anni ’90 ha segnato un’epoca nel gaming domestico.
L’idea nasce come progetto personale e non come prodotto commerciale. Bonzanini, appassionato di modding e cultura pop, ha immaginato come sarebbe stato “indossare” un pezzo di storia videoludica. Installare un Super Nintendo originale sarebbe stato impossibile a causa di peso e dimensioni, ma non per questo il designer ha rinunciato alla sfida. La soluzione è arrivata grazie a un Raspberry Pi Zero W, un micro-computer economico e compatto, configurato con RetroPie, una piattaforma open source in grado di emulare diverse console storiche, SNES incluso.
L’interno della sneaker è stato così modificato per ospitare tutto il necessario: oltre al Raspberry, una batteria ricaricabile che garantisce circa mezz’ora di autonomia – sufficiente per una dimostrazione o una partita nostalgica – e un controller Bluetooth, una versione personalizzata di un pad retro prodotto da 8BitDo, azienda conosciuta per i suoi dispositivi dedicati al retrogaming.
La connessione allo schermo è possibile sia tramite HDMI, sia attraverso un cavo RGB, soluzione particolarmente apprezzata dagli appassionati che preferiscono la resa visiva dei televisori analogici. Le porte sono abilmente integrate all’interno delle linguette della scarpa, invisibili a un primo sguardo. Il risultato è una sneaker che sembra una normale Air Max 90 con livrea ispirata ai colori del Super Nintendo – grigi chiari, tocchi di viola e forme geometriche – ma che, una volta collegata alla TV, diventa una console giocabile a tutti gli effetti.
Pubblicata da Bonzanini sui social, la Air SNES ha immediatamente scatenato entusiasmo e richieste da parte di collezionisti, gamer nostalgici e semplici curiosi. L’oggetto è rapidamente diventato virale, complice l’incrocio tra due mondi – moda e gaming – che negli ultimi anni dialogano sempre più. In molti hanno chiesto al designer di produrre altre versioni dedicate ad altre console, da Sega Mega Drive a PlayStation, ma lui è stato chiaro: si tratta di un pezzo unico, non realizzato per essere venduto né facilmente replicabile, sia per complessità tecnica sia per una questione di diritti e licenze.
Al di là della giocabilità – certamente più simbolica che pratica – la Air SNES rappresenta un esercizio creativo che parla di cultura pop, di nostalgia e di innovazione fai-da-te. Una fusione riuscita tra oggetto iconico, sneaker culture e memoria videoludica. E, sebbene impossibile da acquistare, rimane una delle custom più sorprendenti mai apparse negli ultimi anni. Una scarpa che non serve per correre, ma per ricordare un’epoca in cui bastavano un televisore e una cartuccia per sognare mondi lontani.
Tech
Smartphone caduto in acqua? Le mosse giuste (e gli errori fatali) da conoscere subito
Dalle prime azioni da compiere ai falsi miti come il riso: una guida pratica per aumentare le possibilità di salvare il telefono dopo un contatto con l’acqua.
Un tuffo in piscina, un bicchiere rovesciato, un secondo di distrazione al lavandino: lo smartphone in acqua è uno degli incidenti più comuni dell’era moderna. Nonostante molti modelli recenti siano dotati di certificazione IP67 o IP68 — che indica una certa resistenza a immersione accidentale e schizzi — nessuno di questi dispositivi è realmente “impermeabile”. L’acqua può comunque penetrare all’interno, danneggiando componenti delicatissime come batteria, circuiti e microfoni. Per questo, la rapidità e la correttezza delle prime manovre sono essenziali.
La prima cosa da fare è spegnere immediatamente il telefono, se non lo ha già fatto da solo. Il contatto tra liquidi e corrente elettrica è ciò che provoca i danni maggiori: interrompere l’alimentazione riduce drasticamente il rischio di cortocircuiti. Subito dopo, occorre rimuovere cover, pellicola, eventuale scheda SIM e microSD: sono tutte parti che trattengono l’umidità e rallentano l’asciugatura.
Una volta spente le componenti attive, bisogna asciugare delicatamente l’esterno con un panno morbido, senza scuotere lo smartphone. Molti lo fanno d’istinto, ma è un errore: scuoterlo può spingere l’acqua ancora più in profondità, raggiungendo zone non ancora contaminate. Allo stesso modo, smartphone bagnato e phon acceso non vanno d’accordo. L’aria calda può deformare le parti interne, soprattutto degli schermi, e spingere la condensa verso l’interno.
Altro mito da sfatare: il riso. Nonostante sia un rimedio molto diffuso online, non esistono prove scientifiche che il riso acceleri davvero l’evaporazione dell’umidità interna. I tecnici confermano che il riso assorbe appena una minima parte dell’acqua superficiale e può addirittura lasciare polvere o residui nei connettori. Meglio optare per i sacchetti di gel di silice (come quelli che si trovano nelle scatole delle scarpe), realmente utili per assorbire l’umidità. Se disponibili, possono aiutare a velocizzare l’asciugatura passiva.
La regola più importante, però, è lasciar riposare il dispositivo per almeno 24-48 ore prima di tentare una riaccensione. Accendere lo smartphone troppo presto, anche se sembra asciutto, equivale spesso a “condannarlo” definitivamente. In caso di immersione in acqua salata, la situazione è più complessa: il sale causa corrosione rapida, quindi è consigliabile sciacquare il telefono solo esternamente con acqua dolce prima di asciugarlo, per rimuovere i cristalli salini. Poi va portato il prima possibile in un centro assistenza.
Una verifica tecnica resta comunque l’opzione più sicura. I centri specializzati dispongono di strumenti per rimuovere l’umidità residua e valutare eventuali danni invisibili — come ossidazioni sui circuiti — che nel tempo possono causare malfunzionamenti o spegnimenti improvvisi.
In sintesi, un incidente in acqua non significa automaticamente addio allo smartphone. Con le giuste precauzioni, molte persone riescono a salvarlo senza conseguenze. L’importante è agire in fretta, evitare i rimedi fai-da-te più rischiosi e, se necessario, affidarsi a un professionista. Perché, in questi casi, la calma è davvero la miglior alleata.
Tech
Pensieri sussurrati ad alta voce: l’impianto neurale di Stanford che “ascolta” il linguaggio interiore
Grazie a microelettrodi nel cervello e un algoritmo di intelligenza artificiale, i ricercatori sono riusciti a decodificare il monologo mentale e a trasformarlo in parole udibili — con un sistema di “password mentale” per proteggere la privacy.
Cosa succederebbe se potessimo far uscire dal cervello, perfettamente comprensibili, i pensieri che pronunciamo solo nella nostra mente? È questa la frontiera che un team dell’Università di Stanford ha esplorato con un impianto neurale sperimentale, capace di convertire il “discorso interiore” in parole reali.
Come funziona
La tecnologia si basa su microelettrodi impiantati nella corteccia motoria del cervello — la zona che controlla i muscoli coinvolti nel linguaggio. In uno studio su quattro partecipanti con gravi problemi di parola dovuti a paralisi (per esempio causata da SLA o ictus), gli scienziati hanno registrato i segnali neurali sia quando le persone tentavano di parlare fisicamente, sia quando immaginavano di parlare nella loro mente.
Utilizzando modelli di apprendimento automatico (machine learning), l’algoritmo ha imparato a distinguere i diversi fonemi — i suoni più piccoli della lingua — sulla base dei pattern di attività cerebrale. Poi, ha ricomposto quei fonemi in parole e frasi.
Nell’esperimento, il vocabolario usato per il “discorso interiore” era davvero ampio: il sistema poteva operare con circa 125.000 parole. Il livello di precisione raggiunto è sorprendente: fino al 74% di accuratezza nella decodifica in tempo reale.
Differenza tra parlare e pensare
I ricercatori hanno scoperto che il linguaggio immaginato e quello tentato attivano aree molto simili nel cervello, ma con intensità diversa. In particolare, i segnali neurali associati al linguaggio mentale sono più deboli, ma sufficientemente distinti per essere riconosciuti.
Proteggere la privacy mentale
Decodificare i pensieri può sembrare affascinante, ma apre a serie implicazioni etiche: che cosa succede se il dispositivo inizia a “leggere” parole pensate ma non volute? Il team di Stanford ha pensato anche a questo. Hanno introdotto un meccanismo di protezione: per attivare la decodifica, l’utente deve “pensare” una parola d’ordine. Nello studio, la frase scelta è stata “Chitty Chitty Bang Bang” — pensare mentalmente questa frase ha attivato il sistema con un’accuratezza superiore al 98%.
Senza la parola d’ordine, il sistema rimane spento. Questo significa che non decodifica il flusso di pensieri non autorizzato, riducendo il rischio di “fuoriuscite” involontarie.
Per chi potrebbe cambiare tutto
Per persone che hanno perso la capacità di parlare — ad esempio a causa della paralisi — questa tecnologia potrebbe restituire una modalità di comunicazione rapida, naturale e meno faticosa rispetto ai sistemi attuali. Secondo gli autori, un tale impianto potrebbe un giorno restituire un linguaggio quasi fluido, solo usando il pensiero.
Limiti e prospettive
Al momento, il dispositivo non è ancora una soluzione commerciale: è in fase sperimentale e richiede un impianto chirurgico. Inoltre, la decodifica non è perfetta e può commettere errori, soprattutto per pensieri complessi o non coscienti.
Tuttavia, i ricercatori sono ottimisti: migliorando l’hardware (più elettrodi, più sensori) e affinando gli algoritmi, potrebbero arrivare a sistemi più precisi, con funzioni wireless e una maggiore “risoluzione” nel riconoscere cosa sta pensando l’utente.
Questa scoperta rappresenta un balzo in avanti importante nelle interfacce cervello-computer (BCI). Non è solo tecnologia: è anche etica, identità e libertà di pensiero. Se, un giorno, potremo “parlare con la mente”, dovremo anche chiederci chi ascolterà — e con quali garanzie.
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