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Tempo libero ed interessi

La crisi del nudismo sulle spiagge: la cultura del senza costume è fuori moda

Dal dopoguerra soprattutto in Germania è una tradizione antichissima, quasi una religione di Stato. Ma quest’anno l’associazione organizza la festa “senza costumi” è stata costretta ad annullare le celebrazioni per il 75esimo anniversario

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    Il nudismo, o naturismo, una pratica che ha radici storiche fin dal 1903 con la nascita del primo resort ad Amburgo, sta vivendo un periodo di crisi. Diffusosi ampiamente negli anni Sessanta, il nudismo oggi è in declino, preoccupando sia gli appassionati del movimento che gli investitori del settore.

    Un declino inarrestabile

    Il Wall Street Journal analizza il fenomeno, evidenziando due aspetti principali: l’invecchiamento della clientela e la conseguente difficoltà di attrarre i giovani. Molti giovani, infatti, non desiderano passare le vacanze in luoghi frequentati da persone dell’età dei loro genitori. John Whitehead, 22 anni, racconta la sua esperienza: “Mi sentivo a mio agio nudo fino a quando non ho visto un uomo dell’età di mio padre con cui avevo avuto rapporti di lavoro”.

    La sfida del ricambio generazionale

    Nicky Hoffman, a capo della Naturist Society, sottolinea: “L’intero modello di vita sparirà se non riusciamo a stimolare la partecipazione dei più giovani. Il problema è che la maggior parte di queste strutture non sono attrezzate per i giovani. Si sono trasformate in case di riposo”.

    Per coinvolgere i giovani, le associazioni hanno provato varie strategie: strip poker al contrario, tornei di pallavolo, maratone nudiste e festival musicali come Nude-a-palooza e Nudestock. Tuttavia, molti giovani continuano a preferire luoghi pubblici dove praticare il nudismo, piuttosto che club privati con regole ferree come piscine che chiudono al tramonto e piercing proibiti.

    Esperienze e tentativi di rinascita

    Robbie White, 27 anni, ha partecipato al festival invernale 2009 del resort Sunsport Gardens, notando la scarsa presenza di giovani. Indignato, ha fondato il gruppo Florida Young Naturists, organizzando il primo Spring Break Bash, che ha attirato 55 partecipanti nel primo anno e 140 nel successivo. La festa è stata organizzata in una zona separata del Sunsport Gardens per far sentire i giovani più a loro agio.

    La situazione in Europa

    In Italia, il nudismo non ha mai avuto grande diffusione, con il numero più basso di spiagge naturiste in Europa. Anche in Germania, patria del naturismo, la crisi è evidente. Dopo la guerra, il nudismo era quasi una religione di Stato nella Germania comunista, ma oggi il declino è palpabile.

    Il declino in Germania

    I tedeschi hanno codificato il loro amore per il nudismo con l’associazione Deutscher Verband für Freikörperkultur (DFK) 75 anni fa. Tuttavia, le scarse iscrizioni hanno portato alla cancellazione delle celebrazioni per l’anniversario. I membri del DFK sono diminuiti da 65.000 a 34.000 negli ultimi 25 anni, con la maggior parte degli iscritti over-60. René Hartwig, un sessantatreenne dedito alle spiagge FKK del Mare del Nord, riassume il dramma: “Essere nudi non va più di moda. C’è paura del sole, dei droni, degli smartphone. E le associazioni sono devastate”

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      Il retrogaming non è nostalgia: l’analisi di un veterano dell’informazione videoludica

      Raffaele “Raffo” Sogni, pioniere del giornalismo videoludico italiano, analizza l’esplosione del retrogaming: non solo nostalgia, ma preservazione storica e scontro tra passione autentica e speculazione di mercato. Come i classici continuano a influenzare l’industria di oggi — e perché il futuro del videogioco passa dall’hardware del passato.

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      retrogaming

        Raffaele Sogni, conosciuto da tutti come Raffo, è una delle voci più autorevoli del
        giornalismo videoludico italiano. Storico redattore di The Games Machine, caporedattore
        nei primi anni 2000 di Official Nintendo Magazine e volto noto dei programmi TV
        GameTime prima e di Crossover poi, dedicati alla cultura dei videogiochi, Raffo ha
        attraversato oltre tre decenni di evoluzione del settore raccontandone successi,
        innovazioni e derive. Alla Milan Games Week 2025, dove è stato ospite di diversi panel, ha
        portato la sua esperienza per approfondire un tema tornato centrale negli ultimi anni: il
        retrogaming, non solo come nostalgia, ma come fenomeno culturale, economico e sociale.
        Con lui analizziamo il presente del videogioco guardando al suo passato, e proviamo a
        capire come stanno cambiando pubblico, mercato e industria.

        Molti associano il retrogaming alla nostalgia. Secondo te è solo un tuffo nel passato o rappresenta qualcosa di più profondo?

        Ritengo che ridurre il retrogaming a semplice nostalgia sia estremamente limitativo. Sebbene la nostalgia sia innegabilmente la scintilla iniziale per molti, le ragioni per cui questo interesse persiste e si approfondisce sono molto più strutturate.
        È un po’ come apprezzare il cinema muto o la musica classica dell’800: non lo si fa solo per avere un rapporto con il passato, ma per il valore intrinseco dell’opera.
        Giocare a un titolo degli anni ’80 o ’90 è come leggere un libro o guardare un film di quell’epoca.
        Ogni gioco è una capsula del tempo che riflette la tecnologia, l’estetica e persino i valori culturali del suo periodo. Permette di comprendere l’evoluzione del linguaggio videoludico, vedendo come sono nate certe convenzioni di genere (i platform, gli sparatutto, i picchiaduro) e come si sono sviluppate nel tempo. È un modo per studiare la storia del medium in prima persona.

        I giovani scoprono i giochi del passato tramite porting, remake o collezioni digitali. Quanto conta la preservazione digitale nella cultura videoludica moderna?

        In un’era dominata dal digitale, dove i giochi possono essere rimossi dagli store online da un giorno all’altro, il possesso fisico di una cartuccia, di un manuale o di una confezione originale assume un valore tangibile e fondamentale. Il collezionismo di retrogame non è solo un hobby, ma anche un atto di preservazione storica. I collezionisti, con la loro passione, contribuiscono a salvare dall’oblio opere che altrimenti andrebbero perdute.

        Il mercato del retro è cresciuto a dismisura, con prezzi folli per console e titoli rari. È una passione o un business che rischia di snaturare tutto?

        Il mercato ha raggiunto in alcuni casi valutazioni che vanno oltre la logica del puro collezionismo per passione. Stiamo assistendo a una vera e propria “finanziarizzazione” del retrogame. Va però fatta una distinzione: molti degli acquirenti che spendono cifre molto elevate non sono videogiocatori. Sono investitori che, vedendo un trend di crescita costante, puntano su questi oggetti come farebbero con un quadro o un orologio di lusso, scommettendo su una futura rivalutazione.
        Fortunatamente, la stragrande maggioranza dei giochi retro è ancora acquistabile a prezzi
        ragionevoli e l’esperienza del gioco originale vintage, che è il fulcro della passione, rimane alla
        portata di quasi tutti. In definitiva, vedo due mercati distinti che usano lo stesso nome. Da un lato, un mercato speculativo di lusso per pochi, che tratta i videogiochi come prodotti d’investimento. Dall’altro, una community globale e appassionata di giocatori e collezionisti che si concentra sull’esperienza ludica e sulla preservazione storica, utilizzando hardware originale.

        Secondo te i remake e remaster stanno rispettando l’identità dei titoli originali o l’industria sta rivalutando il proprio passato solo per motivi commerciali?

        Se devo essere onesto, la risposta propende decisamente verso la seconda ipotesi: l’industria sta vampirizzando il proprio passato principalmente per avversione al rischio. E nel farlo, spesso fallisce nel preservare l’anima dell’opera originale.
        Molti classici traevano la loro forza proprio dai limiti tecnici. La nebbia di Silent Hill, i fondali pre-renderizzati di Resident Evil, la palette cromatica limitata dei giochi a 8 o 16 bit: non erano difetti, erano scelte estetiche imposte dall’hardware che gli sviluppatori trasformavano in linguaggio artistico.
        I remake sono prodotti commerciali validi per chi non ha vissuto quell’epoca o non vuole scontrarsi con barriere tecnologiche. Ma se parliamo di identità, di visione artistica e di esperienza pura, il supporto originale vince su tutta la linea.
        L’industria sta cercando di riscrivere la storia con una calligrafia più moderna e leggibile, ma nel processo sta perdendo la poesia del testo originale. Se si vuole capire davvero perché un gioco è diventato leggenda, bisogna procurarsi l’hardware per cui è stato concepito.

        Parliamo di hardware: quali sono le console simbolo del retrogaming che continueranno a segnare anche le future generazioni?

        Verrebbe da dire tutte, perché ognuna possiede delle caratteristiche uniche che testimoniano il loro tempo, diciamo che mettendosi nei panni di un aspirante collezionista, inizierei da 3 console fondamentali: NES, Mega Drive e PlayStation.
        Il NES verrà (e viene) studiato come il padre del modello di business moderno. Ha introdotto il
        concetto di licenza rigorosa per le terze parti e ha standardizzato l’interfaccia umana con il D-pad (la croce direzionale), seppur sia nato coi Game & Watch. Le future generazioni di designer guarderanno al NES per capire il level design nella sua forma più pura: limitazioni hardware che costringevano a una creatività meccanica perfetta, tuttora base di ogni corso di game design.
        Il Sega Mega Drive non è stato solo una console: è stato l’agente del caos che ha trasformato
        l’industria da un “monopolio giocattoloso” a un business d’intrattenimento aggressivo e maturo.
        Prima del Mega Drive, Nintendo controllava circa il 90% del mercato americano e giapponese,
        dettando prezzi e contenuti. Il Mega Drive ha dimostrato che il monopolio poteva essere interrotto. Con una quota di mercato che in occidente arrivò a superare il 50% nei primi anni ’90, SEGA ha costretto l’industria a evolversi, abbassando i costi di licenza per le terze parti e creando una concorrenza reale di cui hanno beneficiato i consumatori.
        Se il NES ha salvato l’industria dopo il crash del mercato videoludico del 1983, il Mega Drive l’ha resa competitiva.
        La prima PlayStation non ha solo introdotto il 3D di massa; ha cambiato il supporto fisico (seppur non sia stata la prima console a farlo). Passando dalla cartuccia al CD-ROM. È stata il “punto zero” del videogioco moderno inteso come esperienza multimediale. L’inclusione di filmati in full-motion video e colonne sonore orchestrali ha attratto un pubblico generalista, sdoganando il videogioco da “giocattolo” a prodotto di intrattenimento di massa al pari del cinema. Ancora oggi (anche se in effetti è un po’ fastidioso da sentire) per molti PlayStation è sinonimo di videogiochi. Le generazioni future vedranno nella PS1 il momento esatto in cui la narrazione complessa è diventata di massa.
        Bonus track. Se avete una discreta disponibilità economica (600 euro a salire), il Vectrex merita sicuramente di essere preso in considerazione: è una “cattedrale nel deserto” tecnologica, un fallimento commerciale che, paradossalmente, è invecchiato meglio di qualsiasi altra console della sua epoca (primi anni 80). Il Vectrex, unica console da casa mai prodotta con monitor integrato, è l’anti-emulazione. Mentre si può giocare a Super Mario su un PC con un’esperienza al 99% fedele, non è possibile emulare un Vectrex su uno schermo LCD od OLED. La “fosforescenza” delle linee che decadono, il ronzio del monitor CRT verticale integrato e il design ancora oggi accattivante, rendono questa console un pezzo fondamentale in una collezione.

        Guardando al futuro, pensi che i giochi di oggi diventeranno oggetti di culto come quelli del passato? Oppure l’era digitale renderà tutto più effimero?

        La risposta breve è: no, i giochi di oggi non diventeranno oggetti di culto nello stesso modo fisico del passato, ma il “culto” sopravviverà trasformandosi in una lotta per la preservazione.
        Con l’imminente esclusione dei prodotti fisici dai negozi, il “Santo Graal” non sarà una copia fisica rara, ma un file giocabile di un titolo rimosso dagli store. Pensiamo a P.T. (il teaser di Silent Hills): è già oggi un oggetto di culto digitale. La console che lo ha installato vale oro non per l’hardware, ma perché è l’unico “contenitore” rimasto di un’esperienza cancellata. La rarità futura sarà definita dal delisting (la rimozione dagli store), non dalla tiratura di stampa.
        Proprio perché tutto è effimero, sta nascendo un movimento di “resistenza” che definirà il culto del futuro. Iniziative come Stop Killing Games, che nel 2025 ha superato il milione di firme in
        Europa per chiedere leggi che impediscano di rendere ingiocabili i prodotti acquistati, dimostrano che i giocatori stanno prendendo coscienza. Insomma l’uomo vuole mantenere la memoria del suo passato e in qualche modo riuscirà a farlo anche con i videogiochi.

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          Milan Games Week 2025, tra anteprime e creatività: il festival italiano del gaming cresce ancora

          L’edizione 2025 conferma la centralità dell’evento nel panorama europeo dell’intrattenimento digitale, con più spazio agli e-sports, agli sviluppatori indipendenti e ai contenuti cross-media.

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            Padiglioni affollati, cosplay ovunque e un’agenda fitta di appuntamenti: la Milan Games Week 2025, affiancata anche quest’anno da Cartoomics, ha confermato la sua posizione di riferimento per gli appassionati di videogiochi, fumetti e cultura pop. L’evento fieristico, che nelle ultime edizioni ha superato le 150 mila presenze secondo i dati ufficiali, continua a crescere grazie a un’offerta più ricca e sempre più orientata alla scena internazionale.

            Un’edizione all’insegna delle anteprime

            Anche nel 2025 i principali publisher hanno scelto Milano per presentare demo giocabili, trailer inediti e aggiornamenti sui titoli più attesi dell’anno. La presenza delle grandi case — come accade tradizionalmente con Xbox, PlayStation, Nintendo e i principali sviluppatori europei — ha attirato lunghe code davanti agli stand, confermando il trend di un mercato italiano che continua a espandersi (i dati IIDEA registrano da anni un aumento costante del giro d’affari).

            Accanto ai big dell’industria, a conquistare spazio sono stati gli studios indipendenti italiani, ormai una presenza stabile nella fiera. Team come quelli già noti per successi su PC e console hanno presentato prototipi e progetti in fase di sviluppo, sfruttando la MGW come vetrina per raggiungere publisher e pubblico.

            E-sports: tornei sempre più affollati

            Il settore competitivo, già protagonista nelle ultime edizioni, ha avuto un’area dedicata ancora più ampia. A riempire le tribune sono stati soprattutto i tornei su titoli di riferimento dell’e-sport globale, dal competitivo su sparatutto ai MOBA fino al calcio videoludico.

            La crescita del movimento italiano — supportata da federazioni, team professionistici e sponsor — si riflette anche nella qualità della produzione live: postazioni scenografiche, telecronache in stile broadcast e premi più ricchi. La MGW resta il punto di incontro principale per chi sogna una carriera da pro-player.

            Gli ospiti: creator, sviluppatori e icone pop

            Come avviene da anni, la Milan Games Week 2025 ha visto la partecipazione di content creator e streamer provenienti da tutta Italia, con incontri dedicati al rapporto tra community, gaming e piattaforme digitali. Non sono mancati gli ospiti internazionali: tradizionalmente la fiera ospita illustratori, fumettisti, doppiatori e game designer di fama, protagonisti di talk e panel tecnici molto seguiti.

            Grande attenzione anche ai cosplayer, con concorsi, workshop e sfilate che hanno trasformato i corridoi dei padiglioni in una celebrazione visiva della cultura geek.

            Il connubio con Cartoomics

            Da quando MGW e Cartoomics sono stati unificati, il festival è diventato a tutti gli effetti il più grande evento pop italiano. L’edizione 2025 ha riproposto l’area dedicata ai fumetti, al fantasy, alla fantascienza e al cinema, con editori, autori e collezionisti. Un mix che ha permesso di attrarre un pubblico più trasversale rispetto ai soli gamer, ampliando l’esperienza a famiglie e curiosi.

            Uno sguardo al futuro

            La Milan Games Week si conferma un osservatorio privilegiato sull’industria videoludica, che in Italia vale oltre 2,3 miliardi di euro (dato IIDEA 2024). L’attenzione crescente verso gli sviluppatori locali, la sinergia con Cartoomics e l’apertura internazionale indicano una direzione chiara: Milano vuole giocare un ruolo sempre più importante nella geografia europea dei grandi festival dedicati all’intrattenimento digitale.

            L’edizione 2025 non si limita a celebrare il gaming, ma racconta un settore che evolve, si professionalizza e punta a creare nuove opportunità per creator, professionisti e aziende. Un festival che cresce con il suo pubblico — e che, a giudicare dai numeri, è destinato a crescere ancora.

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              Anni ’90, la rivoluzione a 16 bit: il retrogaming che continua a far battere il cuore

              Doom, Duke Nukem, Tomb Raider, Mario, Sonic: non solo titoli, ma simboli di un’epoca che ha trasformato il videogioco da passatempo per pochi a fenomeno globale. E che oggi torna al centro dell’attenzione grazie alla nostalgia e alle nuove piattaforme di riscoperta.

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                Gli anni ’90 rappresentano un’irripetibile età dell’oro per il videogioco. In quel periodo, l’industria passa dalle forme ancora sperimentali degli anni ’80 a un linguaggio più maturo, che unisce grafica, design e storytelling. È il decennio in cui nasce la cultura pop dei videogame come la conosciamo oggi, e in cui si affermano console che hanno segnato generazioni: dal Super Nintendo al Sega Mega Drive, dalla prima PlayStation al Game Boy Color.

                Il cuore di questa rivoluzione batte nei titoli che hanno definito nuove regole. Doom (1993), sviluppato da id Software, non è semplicemente un videogioco: è l’opera che consolida il genere degli sparatutto in prima persona, aprendo la strada a una lunga discendenza. A pochi anni di distanza, Duke Nukem 3D (1996) porta l’irriverenza e l’umorismo nel mondo degli FPS, contribuendo a trasformare il giocatore in protagonista di un’avventura più dinamica e spettacolare.

                Parallelamente, anche il mondo dell’esplorazione tridimensionale vive una svolta. Nel 1996 Tomb Raider introduce Lara Croft, un’eroina capace di unire azione, puzzle e archeologia digitale come mai era successo prima. È uno dei primi titoli a far dialogare animazione 3D e narrazione cinematografica, anticipando un modello che negli anni successivi sarebbe diventato standard.

                Ma i ’90 non vivono solo di realismo e sparatorie. Mario e Sonic, mascotte di Nintendo e Sega, incarnano l’altra grande anima del decennio: quella colorata, rapidissima, fatta di mondi immaginari e salti leggendari. Super Mario World (1990) e Sonic the Hedgehog (1991) sono i capisaldi della “console war” che segnerà un’intera generazione di giocatori, definendo identità estetiche e meccaniche oggi tornate in auge grazie al retrogaming.

                Proprio questo ritorno è uno dei fenomeni più interessanti del presente. Mini-console ufficiali, emulazioni legali, collezionismo, mercatini digitali e re-release sulle piattaforme moderne stanno riportando in primo piano un patrimonio culturale che rischiava di scomparire. A rendere attuale quella stagione non è soltanto la nostalgia: molti titoli degli anni ’90 rimangono ancora oggi esempi perfetti di design essenziale, ritmo calibrato e creatività senza eccessi.

                Riscoprire i videogame di quel decennio significa ritrovare un’epoca in cui il medium sperimentava con coraggio, spesso con pochi mezzi ma con idee rivoluzionarie. Un tempo in cui ogni nuovo titolo sembrava aprire un universo inedito. E se oggi la tecnologia ha compiuto passi da gigante, non sorprende che molti giocatori — vecchi e nuovi — continuino a tornare proprio lì, dove tutto è cominciato.

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