Tendenze
Magnus Carlsen vuole rivoluzionare gli scacchi: il “Freestyle” come reality per salvare un gioco millenario
Carlsen lancia il “Freestyle”, una variante che abbandona le rigidità storiche per puntare su creatività e spettacolo. Con l’appoggio di investitori globali, il progetto promette di rivoluzionare un’antica disciplina, rendendola più attraente per il grande pubblico.
Gli scacchi, l’antico gioco di strategia nato in India e celebrato per secoli come simbolo di intelligenza e calcolo, potrebbero essere al centro di una rivoluzione. Magnus Carlsen, cinque volte campione del mondo e considerato uno dei più grandi giocatori di tutti i tempi, ha deciso che è ora di cambiare le regole. E non si tratta solo di una provocazione: il norvegese punta a trasformare gli scacchi in un vero e proprio show, con partite ispirate al format dei reality e tornei che promettono di attirare un pubblico molto più vasto di quello attuale.
Per Carlsen, il problema è chiaro: “Gli scacchi tradizionali sono diventati noiosi.” Il motivo? Il gioco si è trasformato in una competizione di memoria e analisi informatica, dove i giocatori si affidano a banche dati di aperture, strategie ottimizzate dai computer e motori scacchistici. Questo, secondo il campione norvegese, lascia poco spazio alla creatività e rende le partite prevedibili.
La soluzione di Carlsen è il “Freestyle”, una variante in cui la disposizione iniziale dei pezzi principali – re, regina, alfieri, cavalli e torri – viene decisa in modo casuale, rompendo così le convenzioni e costringendo i giocatori a ragionare in tempo reale. “Avere una mappa completamente nuova per ogni partita è tremendamente eccitante,” ha dichiarato Carlsen in un’intervista al Financial Times.
Ma il progetto del norvegese va oltre il semplice cambiamento delle regole. Carlsen, insieme all’investitore tedesco Jan Buettner e all’azienda americana Left Lane Capital, vuole portare gli scacchi nel mondo dell’intrattenimento di massa. L’idea è quella di organizzare tornei spettacolari, con un format che ricorda le gare di Formula Uno: misurazione della pressione e delle emozioni dei giocatori, backstage raccontati come storie personali, codici di colore e interviste che spezzano la tensione delle partite.
“Vogliamo rendere gli scacchi emozionanti per il grande pubblico,” ha spiegato Buettner. Il modello di riferimento sono le gare automobilistiche, dove i racconti dietro le quinte, i personaggi carismatici e la narrazione degli eventi rendono le competizioni avvincenti anche per chi non è un esperto.
L’ambizioso progetto ha già suscitato polemiche nel mondo degli scacchi, ma Carlsen sembra deciso a portarlo avanti. Durante i recenti mondiali a Singapore, vinti dall’indiano Gukesh Dommaraju, il norvegese era altrove, impegnato a promuovere il “Freestyle”. E lo stesso Gukesh ha dichiarato di voler partecipare all’esperimento, segno che anche i giovani talenti sono interessati a questa rivoluzione.
Negli ultimi anni, gli scacchi hanno goduto di una rinnovata popolarità grazie a fenomeni come La regina degli scacchi, la serie Netflix che ha catturato milioni di spettatori, e piattaforme online come chess.com, che hanno reso il gioco accessibile a un pubblico globale. Ma per Carlsen, questi successi non bastano. “Il futuro degli scacchi passa dalla creatività e dallo spettacolo,” sostiene il campione, convinto che la rigidità delle regole tradizionali sia un limite da superare.
Il progetto del “Freestyle” rappresenta quindi una scommessa: riuscirà Carlsen a trasformare gli scacchi in un evento capace di appassionare anche chi non conosce le regole? O questa rivoluzione rischia di allontanare i puristi, snaturando una disciplina che per secoli ha affascinato filosofi, strateghi e artisti?
Per ora, il super campione norvegese ha dimostrato di essere disposto a rischiare tutto. E se c’è una cosa che gli scacchi insegnano, è che a volte, per vincere, bisogna saper sacrificare una regina.
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Tendenze
L’arte del vuoto: il living giapponese minimal warm che trasforma la casa in un rifugio di calma e armonia
Non solo design, ma una filosofia di vita che invita alla sottrazione e alla quiete. Il living giapponese minimal warm nasce per restituire alla casa un ritmo più lento, dove ogni oggetto ha un significato e il silenzio diventa arredo.
Niente eccessi, niente rumore visivo, solo armonia. Il living giapponese minimal warm nasce da un concetto tanto antico quanto attuale: la bellezza sta nel poco, nella forma pura e nella materia che respira. È uno spazio che non vuole impressionare, ma accogliere. I colori sono caldi ma neutri — beige, sabbia, avorio, legno chiaro — e la luce, filtrata da pannelli di carta di riso o tende opache, diventa protagonista discreta. Il risultato è un ambiente che invita a rallentare, a vivere con calma ogni gesto quotidiano.
Tatami e legno: i materiali della quiete
Nel living minimal warm, il pavimento si veste di tatami o di tappeti naturali intrecciati a mano, che restituiscono un senso di contatto con la terra. Le sedute sono basse, i tavolini essenziali, spesso in frassino o acero. Ogni mobile è funzionale e proporzionato, senza orpelli. La sensazione generale è quella di una continuità fluida tra casa e natura, come se gli spazi interni fossero solo una prosecuzione del paesaggio esterno. Perfino i profumi contano: l’incenso leggero o una candela al tè verde completano l’atmosfera meditativa.
Il vuoto come forma di pienezza
Nella filosofia giapponese, il vuoto non è assenza, ma presenza di equilibrio. Per questo nel living minimal warm gli oggetti sono pochi, scelti con cura, ciascuno con un significato. Un bonsai, una ciotola in ceramica raku, un quadro di calligrafia bastano a definire l’identità dello spazio. È un ambiente che non vuole stupire ma far respirare, dove l’ordine è una forma di libertà e la semplicità diventa eleganza.
Un soggiorno così non è solo una scelta estetica: è una dichiarazione d’intenti, un invito silenzioso a vivere meglio, con meno cose e più consapevolezza.
Tendenze
La nuova ossessione dell’autunno? I profumi da camino: fragranze che scaldano la casa con note di legno, vaniglia e whisky
Candele, diffusori e room spray si fanno più intensi e avvolgenti. Le note ambrate e liquorose conquistano il pubblico, trasformando il salotto in un camino acceso.
C’è un odore che sta conquistando l’autunno: quello del legno bruciato. Dimenticate le fragranze floreali e gli agrumi estivi, la nuova tendenza parla di profumi da camino, caldi, avvolgenti e leggermente affumicati. È il ritorno dell’olfatto materico, quello che ricorda la brace che si spegne, il bourbon nel bicchiere e una coperta sulle spalle. I marchi di nicchia e i brand del lusso stanno puntando su miscele che scaldano la casa e l’umore, con essenze che uniscono legno di cedro, vaniglia, patchouli, cuoio e whisky.
Dalla candela al diffusore: il profumo diventa arredo
Non si tratta solo di profumare: il gesto diventa parte dell’arredo. Le candele sono tornate oggetti di culto, con contenitori in vetro fumé e cera color ambra. Accenderne una non è più solo un vezzo estetico, ma un piccolo rito quotidiano. A fianco delle grandi maison — come Diptyque, Byredo o Jo Malone — spuntano marchi italiani come Laboratorio Olfattivo e Cire Trudon, che propongono fragranze da camino con nomi evocativi: “Legno scuro”, “Notturno d’inverno”, “Fumo di whisky”.
Anche i diffusori a bastoncino si fanno più sofisticati, con vetri satinati e packaging che sembrano opere di design. L’obiettivo è un profumo che arredi, non che invada.
Legni, spezie e una punta di malinconia
La palette olfattiva di questa stagione ruota intorno ai toni caldi e alle sfumature liquorose. Il legno di sandalo si mescola al miele, la vaniglia si fonde con il tabacco e un accenno di ambra regala profondità. Sono profumi che raccontano una casa vissuta, non perfetta, dove il tempo rallenta e la memoria diventa emozione.
I “profumi da camino” non hanno stagione, ma un’atmosfera: quella del rientro, del tepore, del silenzio che profuma di casa. In fondo, bastano poche gocce per trasformare un pomeriggio qualunque in una scena da romanzo.
Lifestyle
Mattinieri o nottambuli: ecco chi fa più carriera
Adattarsi ai propri ritmi naturali potrebbe essere la chiave per una carriera di successo e una vita equilibrata.
La questione se sia meglio essere mattinieri e svegliarsi presto al mattino o dei nottambuli e lavorare fino a tardi per avere successo nella carriera è sempre attuale. Secondo un articolo dell’Economist, molti amministratori delegati delle grandi aziende americane, come Tim Cook di Apple e Bob Iger della Disney, si svegliano tra le 4 e le 5 del mattino. Anche Indra Nooyi, ex CEO di PepsiCo, è nota per le sue sveglie mattutine. Un sondaggio ha rivelato che due terzi degli amministratori delegati delle grandi aziende americane sono in piedi alle 6, mentre meno di un terzo degli americani in generale si alza così presto.
Gli esempi italiani
Anche in Italia ci sono esempi di “allodole” tra i manager di successo, come Vittorio Colao, Brunello Cucinelli e Laura Burdese. Per loro, il messaggio è chiaro: svegliarsi presto è un ingrediente del successo. Oltre a ciò, molti di loro praticano attività fisica mattutina, bevono acqua con limone e dedicano tempo alla lettura delle email e alla riflessione sui problemi più complessi prima che la giornata lavorativa inizi ufficialmente.
Il giudizio sociale sui nottambuli
I nottambuli, invece, spesso affrontano giudizi negativi. Uno studio del 2012 dell’Università di Toronto ha mostrato che i mattinieri si sentono più felici e sani rispetto ai nottambuli, che tendono a dormire meno e soffrono di più in termini di umore, salute e produttività. Un’altra ricerca dell’Università di Oulu in Finlandia ha rivelato che gli uomini che si alzano tardi guadagnano in media il 4% in meno rispetto ai mattinieri.
I rischi di alterare i propri ritmi
Tuttavia, forzare il proprio ritmo circadiano può essere controproducente. Uno studio del 2022 dell’Oregon State ha mostrato che i nottambuli sono spesso percepiti come “pigri”, “indisciplinati” e “immaturi”, ma cercare di svegliarsi presto contro la propria natura può portare a una maggiore stanchezza e frustrazione. Il cronotipo di una persona è in gran parte determinato dai geni, quindi imporsi una sveglia innaturale non è la soluzione ideale.
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