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Twerk in aereo: quel ballo che fa perdere l’aletta
Un’altra hostess vittima di un twerk in aereo che le costa il posto di lavoro: licenziata, su due piedi. Scoppia la polemica.

La lei in questione si chiama Nelle Diala, assistente di volo di San Francisco. La giovane figliola si è ritrovata al centro di una bufera mediatica dopo aver pubblicato un video su TikTok. Nel video si esibiva in un energico twerk all’interno di un aereo di linea, in uniforme. Un gesto che le è costato caro poiché la compagnia, Alaska Airlines, ha deciso di licenziarla in tronco, scatenando un acceso dibattito sui limiti della libertà individuale sul posto di lavoro. Il video, diventato virale in poche ore, mostrava Diala che ballava scatenata nel corridoio dell’aereo, mentre in sottofondo risuonava una canzone. La giovane donna, che intendeva solo celebrare la fine del suo periodo di prova, non poteva immaginare che quel momento di leggerezza le sarebbe costato proprio il posto di lavoro.
La compagnia aerea: tutela dell’immagine o censura eccessiva?
Alaska Airlines ha giustificato il licenziamento sostenendo che il comportamento di Diala fosse in violazione delle politiche aziendali e danneggiasse l’immagine della compagnia. “Il comportamento della dipendente non è stato all’altezza degli standard che ci aspettiamo dai nostri assistenti di volo. La sicurezza e il comfort dei nostri passeggeri sono la nostra priorità assoluta, e questo tipo di comportamento non contribuisce a creare un ambiente professionale e sicuro a bordo“. Ha dichiarato un portavoce della compagnia.
Un twerk che le è costato il posto: “Sono stata punita per essere me stessa”
Diala si è detta profondamente amareggiata dalla decisione della compagnia, sostenendo di essere stata “punita per essere me stessa“. La giovane donna ha sottolineato di aver registrato il video in un momento di pausa, prima dell’imbarco dei passeggeri e di non aver mai inteso offendere nessuno. Ha inoltre avviato una raccolta fondi online per sostenere le spese legali e trovare un nuovo lavoro.
Un dibattito che divide l’opinione pubblica
Il caso di Diala ha scatenato un acceso dibattito sui social e tra i media. Da un lato, molti utenti hanno condannato il twerk della hostess, ritenendolo inappropriato e poco professionale. Dall’altro, c’è chi ha difeso il suo diritto alla libertà di espressione, sostenendo che la compagnia aerea abbia reagito in modo eccessivo.
Ma quali sono i limiti della libertà individuale sul posto di lavoro?
La vicenda solleva importanti interrogativi sui limiti della libertà individuale sul posto di lavoro. Fino a che punto un dipendente può esprimere la propria personalità senza rischiare il posto? E quali sono i criteri che un’azienda deve seguire nel valutare un comportamento come inappropriato? L’avvento dei social media complica per davvero il rapporto tra vita privata e professionale. Oggi, un singolo video può diventare virale in pochissimo tempo, con conseguenze imprevedibili per la reputazione di una persona e di un’azienda. È fondamentale che le aziende definiscano chiaramente le regole di comportamento sui social media per i propri dipendenti, ma è altrettanto importante garantire che queste regole non limitino eccessivamente la libertà di espressione.
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Rita De Crescenzo nei guai per il video contro il ristorante di Castel di Sangro: «Ho speso 1000 euro e ho mangiato male»
La multa di 258 euro non ferma Rita De Crescenzo: il prossimo 2 ottobre si terrà l’udienza a Sulmona. L’imprenditore Alessandro Coscia, titolare del locale, si è sentito diffamato dal video diventato virale.

Un conto da mille euro e una recensione al veleno. È questo il punto di partenza della nuova bufera social che ha travolto Rita De Crescenzo, la tiktoker napoletana seguita da centinaia di migliaia di follower. Il giudice Alessandra De Marco del Tribunale di Sulmona le ha inflitto una multa di 258 euro per diffamazione, dopo che la donna aveva pubblicato un video in cui criticava duramente un ristorante di Castel di Sangro, lamentando di aver mangiato male a fronte di una spesa salatissima.
La destinataria del provvedimento, però, non ci sta e ha deciso di opporsi al decreto di condanna. «In tribunale dimostrerò che la mia era solo una critica legittima», ha dichiarato. Il procedimento entrerà nel vivo il prossimo 2 ottobre, con l’udienza predibattimentale fissata a Sulmona.
Il bersaglio del video era Alessandro Coscia, imprenditore 45enne e titolare del ristorante finito nel mirino. Secondo l’accusa, le parole di Rita avrebbero travalicato i limiti della critica, danneggiando l’immagine e la reputazione del locale. In pochi giorni, infatti, il filmato aveva fatto il giro del web, generando una pioggia di commenti e dividendo l’opinione pubblica tra chi difendeva la tiktoker e chi invece le rimproverava toni eccessivi.
La multa non ha però fermato la battagliera influencer, che da tempo cavalca l’onda dei social alternando dirette quotidiane, sketch e sfoghi personali. In questo caso, ha promesso battaglia legale: «Non mi faccio zittire, non ho insultato nessuno, ho solo raccontato la mia esperienza».
Il caso, intanto, ha acceso i riflettori su un terreno sempre più delicato: quello delle recensioni online e del confine tra diritto di critica e diffamazione. Se da un lato la libertà di espressione è un principio fondamentale, dall’altro resta il rischio che un giudizio negativo espresso a milioni di follower possa trasformarsi in una condanna anticipata, ben più pesante di una sanzione pecuniaria.
Ora toccherà al tribunale stabilire se quella frase – «Ho speso 1000 euro e ho mangiato male» – sia stata un’opinione lecita o un attacco gratuito.
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Niente cellulari a scuola? Non per i prof: esplode il caso dei “TeachTokers”, i docenti-influencer che filmano le lezioni per i social
C’è chi li accusa di trasformare gli alunni in “oggetti di scena” e chi invece li considera pionieri di un nuovo modo di insegnare. “Non è show, è ludodidattica”, spiega la professoressa Rosita Barbella. Ma l’avvocata Castagnola avverte: “In Italia filmare e diffondere immagini di studenti non è legittimo”.

Benvenuti nelle aule 2.0, dove si impara e si “posta”. Smartphone in mano, musica in sottofondo e bambini che sorridono davanti all’obiettivo: è il nuovo mondo dei TeachTokers, i docenti-influencer che filmano lezioni, verifiche e momenti di classe per condividerli su TikTok o Instagram.
Un fenomeno che divide. Da una parte chi applaude questi insegnanti per la loro capacità di rendere virale la scuola e avvicinare i ragazzi al sapere; dall’altra chi denuncia una deriva pericolosa che trasforma l’aula in un set e gli alunni in comparse inconsapevoli.
Tra i volti più seguiti c’è la professoressa Rosita Barbella, docente di spagnolo in una scuola media della Campania. Nei suoi video, balla con gli studenti o spiega i verbi con giochi e canzoni. «Siamo autorizzati dai dirigenti e dai genitori – chiarisce –. Alcuni video vengono girati nel pomeriggio durante progetti sull’educazione digitale. Il mio non è spettacolo, è ludodidattica. Divulgo un metodo che può aiutare altri docenti».
Sulla stessa linea Gabriele Camelo, maestro in una scuola primaria di Palermo, ex autore televisivo e oggi star dei social. I suoi video mostrano quaderni pieni di cuori, sorrisi e frasi motivazionali come “Fiero di te” o “Stai crescendo splendida”. «Uso i social per far fiorire il seme che c’è in ogni bambino», spiega. «Raccontare le emozioni è terapeutico. I miei alunni imparano a essere protagonisti, non oggetti».
Ma il web si infiamma. “Serve un intervento del ministro Valditara”, scrivono molti colleghi, chiedendo regole chiare e una social media policy per le scuole. “I social svuotano l’autenticità educativa”, sostengono i critici. “Questi insegnanti costruiscono un personal brand, non un percorso formativo”.
A prendere posizione è anche Cristina Gallo, professoressa seguitissima online come “La prof Spettinata”. Pur difendendo l’uso educativo dei social, invita alla cautela: «È un attimo e l’algoritmo condiziona anche i buoni propositi. Serve deontologia, decoro e rispetto dell’istituzione che rappresentiamo».
Decisa, invece, la posizione di Iside Castagnola, avvocata esperta in tutela dei minori: «Trasformare bambini e ragazzi in strumenti di produzione di contenuti per aumentare i follower è inaccettabile. Anche con l’autorizzazione dei genitori, filmare gli alunni e diffondere i video sui social non è legittimo. È lecito solo in casi eccezionali».
E così, mentre agli studenti viene chiesto di tenere i cellulari spenti, i loro insegnanti diventano protagonisti online. Tra chi parla di “scuola del futuro” e chi di “spettacolo dell’educazione”, resta aperta una domanda: dove finisce la lezione, e dove comincia lo show?
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Il Rapture che non rapisce: su TikTok in migliaia attendevano Gesù il 23 settembre, ma non è arrivato!
Addii in diretta, gatti con caschi d’alluminio e fedeli pronti a regalare i propri beni: il “rapimento dei credenti” promesso dai TikToker è passato senza ascensioni, ma con molti furbetti che hanno approfittato delle generose svendite apocalittiche.

«È il mio ultimo video. Ci vediamo tra le nuvole, fratelli e sorelle». Con queste parole una donna in lacrime ha salutato TikTok convinta che il 23 e il 24 settembre 2025 sarebbero stati i giorni del “Rapture”: l’ascensione in cielo dei veri credenti, lasciando sulla Terra gli infedeli. A diffondere la data era stato il pastore sudafricano Joshua Mhlakela, ma a trasformarla in un fenomeno globale ci ha pensato il web.
Con l’hashtag #rapture sono fioccati centinaia di migliaia di video. Alcuni registravano veri addii premortem, altri piangevano pensando agli ultimi momenti con i figli. Una ragazza spiegava con serietà: «Se ti svegli nel tuo letto vuol dire che sei stato lasciato indietro. Non sei stato un bravo cristiano».
Accanto a chi ci credeva davvero, il solito circo digitale. Un milione di like per la clip di una giovane che infila un casco di alluminio al suo gatto “per prepararlo al viaggio”. Altri hanno trasformato la profezia in occasione di shopping low cost: convinti di ascendere, diversi fedeli hanno lasciato mobili, abiti e oggetti davanti alla porta. E c’è chi si è filmato mentre raccoglieva lampade e specchi abbandonati, ringraziando sottovoce per il “dono celeste”.
La dottrina del Rapture non è nuova. Affonda le sue radici nell’Ottocento, nelle visioni mistiche di Margaret MacDonald e negli scritti del predicatore John Nelson Darby, poi diffusi nei pulpiti evangelici e nella saga Left Behind. Ma mai prima d’ora era stata trasformata in trend social globale, con countdown apocalittici e scenette da reality.
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