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Lifestyle

I quattro borghi, da riscoprire, celebrati dal quotidiano Times

Avete voglia di una vacanza in un luogo che il mondo ci invidia? Allora non potete perdervi i borghi della Puglia elogiati dal Times.

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    Non è la prima volta e non sarà di certo l’ultima che il quotidiano britannico Times, elogia fino quasi a pensarla come sponsorizzazione, i borghi dell’Italia. E non solo. Questa volta il corrispondente si concentra su quattro mete pugliesi. Del resto la Regione insieme a Calabria, Sicilia, Sardegna, Basilicata e costiera amalfitana, sono da sempre obiettivi per quegli inglesi che amano il buon cibo, relax, mare cristallino, storia e cultura a prezzi abbordabili. Gli altri che vadano pure in Grecia…

    Il fiuto anglosassone per l’Italia più vera

    Scherzi a parte il quotidiano londinese ha dedicato un lungo articolo ad Altamura, Gravina di Puglia, Conversano e Trani. Borghi magici che ancora riescono a trasmettere valori storici e culturali di un territorio vocato al turismo, dove le nuove strutture ricettive ben ai collegano al loro retroterra di una civiltà millenaria. Queste perle nascoste della Puglia meritano di essere scoperte anche da chi inglese non è. Offrono emozioni e immagini da sogno. Location meno conosciute ma capaci di incantare chiunque, con storia e tradizioni che testimoniano l’importanza di questi luoghi nelle epoche passate.

    Altamura perla dell’Alta Murgia

    Altamura, nell’Alta Murgia, è uno dei borghi pugliesi più belli, conosciuto per le sue eccellenze gastronomiche come il famoso pane di Altamura. Un presidio alimentare che ormai si trova in molte città del nord sempre col sospetto che non sia quello originale così come per il pane di Matera, e le lenticchie.. Quelle sì originali perché ‘vistate’ dal consorzio locale. Visitare Altamura significa immergersi nel Parco dell’Alta Murgia, un territorio ancora poco noto alle masse dei turisti italiani ma che sa rivelare sapori unici, architetture intatte e meravigliosi paesaggi.

    Gravina in Puglia, la rocca tra le rocce

    Gravina in Puglia è un borgo arroccato sulle rocce, famoso per le sue chiese scavate nella pietra del ‘burrone’ (la gravina) come la chiesa Rupestre di San Michele delle Grotte. Gravina è una meta pittoresca che richiama atmosfere passate e offre un’esperienza unica con le sue architetture. Come il Parco Archeologico Botromagno che raccoglie i resti di una civiltà neolitica. Dell’antica città sono visibili tombe dipinte ed intonacate del V secolo a.C. e i resti di una villa del II- I secolo a.C..

    Trani non solo vino…

    Trani, è un vero e proprio gioiello che vanta una particolarità unica, la presenza di una bellissima Basilica Cattedrale sul mare. Una struttura che si staglia suggestiva in contrasto con i colori blu e azzurro. Chiamato anche “la perla dell’Adriatico”, questo borgo è un tripudio di bellezza autentica con un patrimonio storico e architettonico ineguagliabile.

    Conversano e il Castello Aragonese

    Conversano, vicino al mare, è ricco di cultura e arte. Da non perdere il Castello Aragonese, oggi sede di mostre temporanee. Il Castello fu eretto dai Normanni intorno al 1054 a puro scopo di fortezza difensiva e divenne dimora dei Conti Acquaviva. A Conversano bisogna visitare anche il Monastero di San Benedetto, che custodisce cimeli del Museo Civico Archeologico del X secolo. Raccoglie ricche testimonianze di arte e un chiostro medievale (XI-XIII sec.) di forma trapezoidale con capitelli scolpiti, decorazioni a mosaico e strutture conventuali di varia natura. 

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      Moda

      Moda, il ritorno del paltò: classico, oversize o vintage, il cappotto dell’inverno si porta con personalità

      Simbolo di stile e sobrietà, il cappotto lungo riconquista passerelle e armadi. Tra lana spessa, tweed o cashmere, è il capo chiave dell’autunno-inverno 2025.

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      il ritorno del paltò

        Il ritorno del cappotto lungo

        È ufficiale: il paltò è tornato. Dopo stagioni dominate da piumini tecnici e bomber oversize, il cappotto lungo torna a dettare legge, riscoprendo l’eleganza classica. Le passerelle di Parigi e Milano l’hanno consacrato protagonista assoluto dell’inverno: tagli dritti, spalle importanti e silhouette pulite. Ma non è un ritorno nostalgico — il nuovo paltò gioca con proporzioni, tessuti e dettagli contemporanei. Il fascino è quello di un capo che non urla, ma comunica con autorevolezza.

        Dalla sartoria al guardaroba urbano

        Una volta simbolo di rigore, oggi il paltò si reinventa. Si porta aperto, con sneakers o stivali, su jeans o completi fluidi. La moda lo mescola al quotidiano, lo alleggerisce, lo rende democratico. I colori? Dominano i neutri — cammello, grigio, blu notte, ma anche nero e verde bosco. Per chi osa, tornano i quadri e i motivi check di ispirazione british, in perfetto equilibrio tra nostalgia e modernità.
        Gli stilisti lo reinterpretano in lana cotta, tweed o cashmere double, e le versioni oversize diventano quasi una coperta urbana: rassicurante, elegante, mai banale.

        Paltò per lei, paltò per lui

        Nel guardaroba femminile il paltò abbraccia forme morbide, cintura in vita e collo ampio, spesso portato sopra minidress o maglioni chunky. Per l’uomo resta il grande classico — doppiopetto o monopetto, spalle strutturate e linea asciutta — ma il nuovo modo di indossarlo è più rilassato: con cappuccio sotto, dolcevita o camicia sbottonata.
        È il ritorno di una certa idea di eleganza: quella che non ha bisogno di stupire, ma solo di durare.
        In un’epoca di abbigliamento usa e getta, il paltò resta un manifesto di stile. Si compra una volta, si indossa per anni. Ed è proprio questo — la sua discreta, resistente bellezza — il vero lusso del presente.

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          Cucina

          Pollo alla romana, la coccola d’autunno che profuma di stufa accesa e domeniche lente

          Un piatto nato nelle campagne laziali e ormai simbolo delle tavole romane. Niente fronzoli, solo ingredienti semplici e genuini che cuociono piano, riempiendo la casa di profumi avvolgenti e di quella sensazione di famiglia che solo l’autunno sa riportare.

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          Pollo alla romana

            La tradizione che scalda anche il cielo grigio
            Novembre chiede stoviglie pesanti, pentole capienti e piatti che sembrano abbracci. Il pollo alla romana è questo: memoria, intimità e l’odore di qualcosa che cuoce piano mentre fuori la città rallenta sotto la pioggia. Non è un piatto da trattoria turistica, ma da casa vera, di quelle dove il tempo si prende e non si rincorre. Ogni famiglia romana ha la sua versione, e ognuna giura che sia la migliore.

            Ingredienti semplici, sapore enorme
            La forza di questa ricetta è la sua essenzialità. Un pollo tagliato a pezzi, peperoni carnosi — sì, anche in autunno: basta sceglierli ben maturi o usare quelli conservati “alla romana” — pomodori pelati, vino bianco, aglio, olio, sale e pepe. Una foglia di alloro, erbe fresche e pazienza.
            Ingredienti per 4 persone:
            1 pollo in pezzi

            3 peperoni rossi e gialli

            400 g di pomodori pelati

            1 spicchio d’aglio

            1/2 bicchiere di vino bianco

            olio extravergine d’oliva

            alloro

            sale

            pepe

            basilico o prezzemolo.

            La cottura lenta è la vera ricetta
            Si comincia rosolando il pollo in padella larga, lasciandolo dorare bene: è questo che regala quel sapore pieno e rotondo. Si sfuma con il vino bianco, si lascia evaporare e nel frattempo i peperoni vengono fatti appassire a parte con l’aglio. Poi tutto insieme, fuoco basso, pomodoro e alloro. E via, a sobbollire piano, mentre la cucina si riempie di un aroma che sa di sera che scende presto, pioggia che batte ai vetri e famiglia che si raccoglie.
            Quando il sugo si stringe e la carne diventa tenera, basta un ultimo gesto: un ciuffo di basilico — o prezzemolo, più autunnale — e un pane rustico pronto a farsi complice.

            Il pollo alla romana non si presenta, si serve. E ogni forchettata ricorda che un piatto, quando nasce dalla terra e dall’attesa, non ha stagione: ha solo cuore.

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              Cucina

              Il budino viola che profuma d’autunno: il budino di uva nera, due ingredienti e tanta poesia per un dessert leggero e irresistibile

              Dalla tradizione contadina arriva un dessert scenografico e leggero. Il budino di uva nera Solarelli conquista per il suo colore intenso, la texture vellutata e il gusto pulito. Una ricetta essenziale che trasforma la frutta di stagione in una dolcezza viola brillante, perfetta dopo cena e impossibile da dimenticare.

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              Il budino viola

                Il dolce che nasce dalla terra
                In un panorama di dessert elaborati, creme ricche e glassature lucide, il budino di uva nera è una carezza. È la prova che a volte bastano due ingredienti e un po’ di pazienza per ottenere qualcosa di unico. Il segreto è tutto nella frutta: uva nera senza semi Solarelli, raccolta al giusto grado di maturazione, succosa, profumata e naturalmente dolce. È un dolce della tradizione rurale, nato quando in cucina si lavorava con ciò che la natura offriva, senza sprechi e con lentezza. Il risultato è un budino che non chiede zucchero, panna o gelatine: solo il succo dell’uva e una piccola quantità di farina per addensare. Novembre lo accoglie alla perfezione: è viola profondo, ricorda il vino novello e profuma di vendemmia.

                L’arte della semplicità: la cottura lenta dell’uva
                La prima fase è quasi meditativa. I grappoli si lavano, si sgrana l’uva e si raccolgono gli acini in un tegame capiente. La fiamma è bassa, il tempo è lento: due ore circa perché gli acini rilascino lentamente tutto il loro succo. Durante la cottura si schiacciano con cura, così ogni goccia diventa parte del dolce. Il passaggio successivo è il più importante: filtrare il succo con un colino per eliminare bucce e residui, lasciando soltanto un liquido liscio e intenso, che ritorna in casseruola per la trasformazione finale. Il profumo che invade la cucina è già dessert: dolce, vinoso, leggermente floreale.

                Dal fuoco allo stampo: nasce il budino
                Quando il succo è pronto, si aggiunge gradualmente la farina, mescolando fino a ottenere una consistenza densa ma ancora scorrevole. La miscela torna sul fuoco, dove ribolle appena per due o tre minuti, mescolata senza sosta con una frusta. È una danza breve ma essenziale: il liquido prende corpo, si addensa, brilla. Poi arriva la parte più bella, quella domestica e affettiva: versarlo in uno stampo e lasciarlo raffreddare, prima a temperatura ambiente e poi in frigorifero per circa tre ore. Quando si sforma, il budino appare lucido, morbido, con una tonalità viola che sembra rubata a un cielo d’autunno al tramonto. Fresco, leggero, naturalmente dolce. Perfetto da solo, magnifico con una cucchiaiata di yogurt bianco o un filo di miele di castagno per chi vuole una nota più golosa.

                È un dolce che parla piano. E proprio per questo conquista.

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