Cinema
Addio a Donald Sutherland premio Oscar alla carriera
Si è spento a Miami, in Florida, l’attore canadese e premio Oscar Donald Sutherland. La leggenda di Hollywood aveva 88 anni.

Si è spento a 88 anni a Miami, in Florida, l’attore canadese e premio Oscar alla carriera (2017) Donald Sutherland. La sua lunghissima carriera (180 film) iniziata negli anni ’60 si è estesa fino ai giorni nostri con la serie Lawmen: la storia di Bass Reeves del 2023. Sutherland è stato uno dei più grandi attori contemporanei, indimenticabile per i suoi ruoli in classici come “Quella sporca dozzina“, “MASH” e la trilogia “Hunger Games“.
Una leggenda di Hollywood
Sutherland soffriva da tempo di una grave malattia che ha tenuto nascosta al pubblico. L’annuncio della sua scomparsa è stato dato su X in un toccante post del figlio Kiefer nel quale “con il cuore pesante“, ha comunicato la morte di suo padre, Donald, uno degli attori più importanti nella storia del cinema. Sutherland non si è mai fatto intimidire da un ruolo, buono, cattivo o brutto che fosse. “Amava ciò che faceva e faceva ciò che amava, e non si può chiedere di più…“, ha concluso Kiefer.
Ha recitato anche per Fellini e Bertolucci
Nato a Saint John, in Canada, e cresciuto a Halifax, Sutherland ha iniziato la sua carriera cinematografica nel 1964, debuttando nel film italiano “Il castello dei morti vivi“. Negli anni ’70, si è costruito una solida reputazione con le interpretazioni in film cult come “Quella sporca dozzina” (1967), “MASH” (1970) e “Klute” (1971). Ha interpretato una vasta gamma di ruoli, spesso nei panni di personaggi complessi e di grande potenza interpretativa. Ha lavorato con rinomati registi internazionali, tra cui gli italiani Federico Fellini in “Il Casanova di Federico Fellini” (1976) e Bernardo Bertolucci in “Novecento” (1976).
Una lunga carriera televisiva
Ha recitato in film come “Animal House” (1978), “Terrore dallo spazio profondo” (1978) e “Space Cowboys” (2000) di Clint Eastwood. Nel 2017, ha ricevuto un tardivo ma meritato Oscar alla carriera per i suoi contributi al cinema. Altrettanto invidiabile è stata la sua carriera televisiva con la vittoria di un Golden Globe per “Path to War” e un Emmy Award per “Citizen X“.
Tre matrimoni e cinque figli
Sposato tre volte, il suo primo matrimonio, con l’attrice Lois Hardwick, durò dal 1959 al 1966. Nel 1966 ha sposato Shirley Douglas, dalla quale ha avuto due gemelli, Rachel e Kiefer, che hanno seguito le sue orme nel mondo del cinema. Il secondo matrimonio è durato fino al 1970. Nel 1972 ha sposato l’attrice Francine Racette con la quale è rimasto fino alla fine, da cui ha avuto altri tre figli: Roeg (1974), Rossif (1978) e Angus (1979).
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Cinema
Gal Gadot si giustifica: “Biancaneve è andato male perché mi hanno fatto parlare contro Israele”. Sì, certo, come no: basta crederci
Ospite in una trasmissione israeliana, la star di Wonder Woman ha detto che Hollywood penalizza chi non prende posizione contro Israele. Ma intanto Biancaneve resta un disastro al botteghino.

Quando un film va male, c’è chi si assume le responsabilità e chi cerca giustificazioni creative. Gal Gadot appartiene decisamente alla seconda categoria. Il live-action di Biancaneve prodotto dalla Disney, in cui interpretava la Regina Cattiva, si è rivelato un tonfo al botteghino. Le recensioni tiepide, la partenza lenta e l’assenza di entusiasmo da parte del pubblico parlano chiaro. Ma per l’attrice israeliana il motivo non sarebbe artistico, bensì politico.
Ospite del programma The A Talks su un’emittente israeliana, Gadot ha offerto una spiegazione sorprendente: «C’è pressione sulle celebrità affinché parlino contro Israele. E, sai, è successo». Tradotto: se Biancaneve è stato un fiasco, la colpa è del clima ostile verso il suo Paese.
Il ragionamento, a dir poco ardito, non si ferma lì. «Posso sempre spiegare e cercare di dare un contesto su ciò che accade qui. E lo faccio sempre. Ma alla fine, le persone prendono le proprie decisioni. E sono rimasta delusa che il film ne sia stato incredibilmente colpito e che non sia andato bene al botteghino. Ma funziona così. A volte vinci, a volte perdi».
Parole che hanno immediatamente sollevato reazioni contrastanti. Perché se è vero che Hollywood non è mai stata neutrale sulle questioni geopolitiche, accusare le dinamiche internazionali di aver affossato una pellicola già zavorrata da mesi di critiche appare come un tentativo goffo di autoassoluzione. Non a caso, il pubblico si chiede se non sia più onesto riconoscere che la Disney abbia sbagliato strategia, che la sceneggiatura non abbia convinto e che l’ennesimo live-action del colosso non abbia portato nulla di nuovo.
Il fatto che Gal Gadot continui a presentarsi come vittima di un complotto politico globale rende il tutto ancora più surreale. Perché, alla fine, i numeri parlano: Biancaneve ha deluso, indipendentemente da Israele, dalla geopolitica o dalle pressioni sulle star. A volte non è il mondo contro di te, è solo che il film non funziona.
Cinema
Lino Banfi beffato dall’intelligenza artificiale: “Non posso permettere che la mia voce sia usata per pubblicità meschine”
Il popolare “nonno d’Italia” passa alle vie legali contro ignoti che hanno usato l’intelligenza artificiale per imitarlo. «È un inganno che strumentalizza la credulità popolare. Ho incaricato l’avvocato Giorgio Assumma: i responsabili e i loro intermediari dovranno essere puniti severamente».

La tecnologia ha colpito uno degli attori più amati dal pubblico italiano. Lino Banfi ha denunciato la diffusione sui social di un video truffa in cui la sua voce, clonata grazie all’intelligenza artificiale, viene usata per promuovere una presunta crema miracolosa. Una pubblicità ingannevole che lo ha indignato profondamente.
«Non posso permettere che la mia identità personale, umana e professionale, apprezzata da tanti amici come quella di un serio nonno di famiglia, sia volgarizzata per una pubblicità meschina che tende a strumentalizzare la credulità popolare al fine di perpetrare un futile inganno», ha dichiarato Banfi, con parole dure e senza margini di fraintendimento.
L’attore, simbolo di decenni di commedie entrate nella memoria collettiva, ha deciso di reagire senza esitazioni. «Ho già incaricato il mio avvocato Giorgio Assumma – ha spiegato – di intraprendere le opportune iniziative legali in tutte le sedi competenti, anche a livello internazionale, affinché i colpevoli e i loro intermediari vengano severamente puniti».
Il caso si inserisce in un fenomeno sempre più diffuso: l’uso dell’intelligenza artificiale per creare “deepfake” di personaggi famosi, capaci di confondere anche gli spettatori più attenti. Una tecnologia che, se usata male, rischia di minare la fiducia e di generare truffe in serie, colpendo la reputazione di artisti e volti noti.
Banfi, intanto, guarda avanti con i suoi progetti reali, quelli veri, che lo riportano al grande schermo. In un’intervista al Messaggero ha raccontato di aver appena terminato due lavori: un film con Pio e Amedeo, dove interpreta un ex professore di filosofia alle prese con l’Alzheimer in una casa di riposo, e un docufilm sulla sua stessa vita. «Mi sono sempre detto: facciamolo quando sono vivo, che se lo facciamo da morto…».
Tra finzione e realtà, tra ironia e indignazione, Banfi resta saldo nella sua identità di “nonno d’Italia”. Questa volta, però, non per far ridere, ma per difendere il diritto sacrosanto a non essere trasformato in un fantoccio digitale al servizio di truffe online.
Cinema
Trump e il piano per Hollywood: “La riporterò all’età dell’oro”. Voight, Gibson e Stallone i suoi ambasciatori
Donald Trump vuole rimettere mano a Hollywood. E, in perfetto stile trumpiano, lo fa con un proclama roboante: l’industria cinematografica americana è “grande ma travagliata”, ha perso terreno a favore di altri paesi, e serve un rilancio epico. Il piano? Tre ambasciatori speciali direttamente dal gotha del cinema action e conservatore: Jon Voight, Mel Gibson e Sylvester Stallone.

L’annuncio è arrivato su Truth Social, con il consueto tono magniloquente: “Questi tre talenti saranno i miei occhi e le mie orecchie, farò quello che suggeriscono. Hollywood tornerà più grande e forte di prima!” Un endorsement che trasforma tre stelle in emissari personali del presidente eletto, con il compito di riportare l’industria americana ai fasti del passato.
Hollywood made in Trump
Che il presidente abbia un conto aperto con il mondo dello spettacolo non è un segreto. La mecca del cinema, roccaforte liberal, non ha mai nascosto la sua ostilità nei suoi confronti. Lui, da parte sua, ha sempre ricambiato con accuse di “decadenza”, “woke culture” e “declino economico”. Ora, con Voight, Gibson e Stallone, prova a mettere un piede dentro il sistema.
L’idea di Trump è chiara: Hollywood deve tornare “americana” e smetterla di perdere colpi rispetto ai concorrenti esteri. Secondo il tycoon, negli ultimi anni l’industria ha ceduto troppo spazio a produzioni straniere, compromettendo il primato a stelle e strisce. E chi meglio di tre veterani dell’action per invertire la rotta?
Oscar a rischio dopo il disastro
Intanto, mentre Trump pianifica il futuro di Hollywood, il presente resta incerto. Il devastante incendio che ha colpito la città ha lasciato un bilancio tragico, con morti e migliaia di sfollati. E ora la notte degli Oscar, prevista per il 2 marzo, è appesa a un filo.
L’Academy resiste, ma il Sun ricorda che un eventuale annullamento sarebbe un evento senza precedenti in 100 anni di storia. Nel frattempo, secondo il Drudge Report, c’è già un “piano B”: un’edizione ridotta e all’aperto, come accadde nel primo anno di pandemia.
Uno scenario che si scontra con la grandiosa visione trumpiana: mentre il tycoon sogna di riportare Hollywood all’età dell’oro, la realtà impone scelte ben più drammatiche.
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