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Cinema

La coach del sesso che lavora sui set del cinema per prevenire gli abusi

Si chiama Arianna Quagliotto, ha 31 anni e, di professione fa la coordinatrice dell’Intimità sui set: una novità fra le professioni legate al grande schermo, figlia della rivoluzione culturale #metoo.

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    Quello che accende le fantasie più viscerali del pubblico come le scene hot, i baci e in genere in momenti passionali sul grande schermo sono, in realtà, frutto di un lavoro certosint. Per far sì che il senso del pudore degli attori venga tutelato, occorreva una figura professionale ad hoc, oggi in via di consolidamento. Si chiama intimacy coordinator (“coordinatrice dell’intimità”). Il suo compito è quello di contribuire alla desessualizzare dell’atto che viene messo in scena per rendere i performer sereni e a proprio davanti alle telecamere e alla troupe. Nelle produzioni americane è realtà ormai da tempo, tutte le piattaforme ne prevedono l’obbligo. E, non senza fatica, la professione si sta facendo largo anche qui da noi in Italia.

    Come ha cominciato

    Arianna Quagliotto è nata a Montebelluna, in provincia di Treviso. Laureatasi al Dams di Bologna, con alle spalle già quasi un decennio di lavoro in produzione e poi sul set. All’ultima Mostra del Cinema di Venezia è stata invitata al panel Professioni cinema. Slightly of focus, curato dalle Pari Opportunità della Regione Veneto. La Quagliotto racconta: «Ho scoperto che esisteva un ruolo del genere solo all’inizio del 2023. Ero a Bologna, sul set di una serie televisiva, Love Club, col ruolo di Covid manager. Tra le persone a cui ho fatto il tampone c’era Luisa Lazzaro, la prima Intimacy coordinator italiana. Da anni coltivo l’interesse di raccontare la sessualità in modo più libero. A Bologna faccio parte del collettivo Inside porn in cui si promuove la visione di prodotti pornografici queer e indipendenti di taglio artistico, per un dibattito senza pregiudizi. Mi interessa perché rappresentano tematiche che vengono prevalentemente relegate al privato e spesso non hanno spazio».

    Consenso obbligatorio per le scene intime

    Ma in che modo è arrivata la prima opportunità da coordinatrice delle scene di sesso? «A settembre 2023 ho fatto uno dei primi corsi con Anica Academy (sponsorizzato da Netflix e Sky), docente proprio Luisa Lazzaro. Il corso era composto da otto moduli online in call che esploravano vari aspetti teorici. Per prima cosa, un focus sul consenso e le dinamiche e problematiche e le infinite sfumature che ha. Il consenso è cruciale per le scene di sesso, ma non sempre nella dinamica attore-regista questo consenso avviene con modalità veramente libere. Noi siamo lì per verificare anche quello».

    Nel pratico, in cosa consiste il suo lavoro

    «Durante il corso in presenza seguito successivamente a Roma, abbiamo appreso le tecniche di mascheramento. In pratica, trattandosi di sesso simulato, noi dobbiamo saper spiegare come girare determinate scene sul set. Quindi, prima imparare e poi saper mostrare posizioni che non prevedano il contatto tra genitali. Anche inquadrature di sesso orale simulato, baci oppure atti sessuali che vediamo nel cinema senza che in realtà avvengano».

    A diretto contatto con gli interpreti

    Un lavoro che prevede un particolarissimo rapporto diretto con gli attori: «Dobbiamo capire se ci sono imbarazzi, studiare i piccoli movimenti per comprendere se c’è del disagio. Qualcuno, a volte, dice sì ad una determinata scelta ma si trattava di un sì “libero”. Siamo, in pratica, una figura di mediazione. Ci preoccupiamo che un membro del cast, che magari non trova il coraggio per parlare apertamente con il regista, possa esprimersi liberamente con noi. Ma attenzione: non siamo psicologhe. Siamo formate per assistere e dare supporto al cast però non ci possiamo sostituire ad una terapeuta, facciamo molta attenzione a questa cosa».

    Tutto quello che occorre ad una intimacy coordinator

    Un altro aspetto che in pochi conoscono è la cosidetta “valigia del mestiere”, che la Quagliotto spiega nei dettagli. Un corredo che contiene i modesty garment, gli indumenti che vengono indossati dagli attori per coprire i genitali o il seno. Ma anche barriere di diverso tipo cuscinetti e palle da yoga tra i corpi per evitare che si tocchino. Pure copricapezzoli e tappetini se le scene si svolgono sul pavimento o in luoghi scomodi o anche mentine in fogli per rinfrescare l’alito tra un take e l’altro. E anche amuchina e coperte isotermiche se si gira all’aperto.

    Set chiusi e controllo del livello di nudità

    Attualmente, in Italia, questa particolare figura viene richiesta a riprese avanzate. Con funzioni di controllo della scena, per verificare che la persona sia a proprio agio. Ma anche per il controllo concordato del nudity rider (per conoscere il livello di nudità e tocco). Controllando che venga rispettato il protocollo del set chiuso (obbligatorio nel caso di sesso simulato).

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      Cinema

      Kathy Bates e i fantasmi di Misery: “Mi sentivo impreparata, come una contadinotta”

      L’attrice premio Oscar ripercorre l’esperienza che le cambiò la vita: dal disorientamento sul set al successo travolgente. Una carriera costruita tra fragilità iniziali e ruoli indimenticabili.

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      Kathy Bates

        Kathy Bates non dimenticherà mai l’esperienza di Misery non deve morire, film che nel 1990 la consacrò come una delle attrici più potenti del cinema americano. Intervistata da Variety, l’interprete di Annie Wilkes ha raccontato senza filtri il disorientamento provato all’epoca: un successo improvviso che la travolse e la mise a confronto con le proprie insicurezze.

        “C’è una foto di me mentre scendo da un’auto con un bavaglino di pizzo nero e un reggiseno bianco sotto. Sembravo ridicola. Vivevo tutto come un incubo. Mi sentivo una contadinotta capitata per caso in un mondo troppo grande per me”, ha ricordato Bates, oggi 76enne.

        Una vittoria che pesa

        Con Misery, tratto dal romanzo di Stephen King e diretto da Rob Reiner, Bates vinse l’Oscar come miglior attrice protagonista per il ruolo della fan psicopatica che sequestra lo scrittore interpretato da James Caan. Un traguardo enorme, arrivato però in un momento in cui lei stessa non si sentiva pronta.

        “Guardando indietro, mi sono sentita non protetta. Non avevo idea di cosa stessi facendo. Ero una ragazza di Memphis, figlia di genitori anziani, e vent’anni indietro rispetto ai tempi. Non conoscevo niente di quel mondo, e quella sensazione mi ha perseguitata per anni”, ha raccontato.

        Le difficoltà sul set e il rimprovero a Reiner

        Il regista Rob Reiner, in passato, aveva confermato le incertezze dell’attrice, sottolineando come quell’ingenuità fosse paradossalmente vicina alla goffaggine e alla follia del personaggio di Annie Wilkes. Bates, invece, ritiene che il problema fosse più profondo. “Non ero solo inesperta. Mi mancavano gli strumenti per affrontare l’impatto emotivo e mediatico del cinema. Venivo dal teatro, ma il cinema era un’altra cosa”.

        Con ironia, l’attrice ha persino scherzato sul finale del film, rimproverando bonariamente Reiner: “Perché non mi hai fatto tagliare il piede a James Caan, come nel libro?”. Una battuta che racconta il suo rapporto complesso ma affettuoso con quel set.

        Dopo Misery, una carriera di conferme

        Nonostante le incertezze, Misery aprì a Bates le porte di Hollywood. Solo un anno dopo fu protagonista di Pomodori verdi fritti alla fermata del treno, anche quello un ruolo che la mise a dura prova. “Non mi sentivo all’altezza, ma andai avanti”, ha confessato.

        Il resto è storia del cinema: da Titanic di James Cameron a Primary Colors, da A proposito di Schmidt fino al cult Waterboy con Adam Sandler. Bates ha attraversato generi diversi, dimostrando una versatilità unica, fino a diventare una presenza fissa anche in televisione con American Horror Story.

        Il peso della fragilità

        Quella fragilità iniziale, ammette oggi, è stata però anche una risorsa: “Il senso di inadeguatezza mi ha permesso di avvicinarmi ai personaggi con umiltà. Ho imparato a trasformare le mie insicurezze in emozioni autentiche da portare sullo schermo”.

        Kathy Bates è ormai un’icona di Hollywood, ma non dimentica le difficoltà che hanno segnato i suoi primi passi. Il ruolo di Annie Wilkes le ha cambiato la vita, tra paure e riconoscimenti, lasciando un segno indelebile nella storia del cinema.

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          Cinema

          Leonardo DiCaprio corre verso l’Oscar, Margot Robbie mezza nuda a Londra: in Italia vince “Demon Slayer”

          Il nuovo film di Paul Thomas Anderson con DiCaprio è già in corsa per l’Academy, Margot Robbie fa scintille all’anteprima di A Big Bold Beautiful Journey. Da noi, invece, il box office è dominato da Demon Slayer: Il castello dell’infinito (808 mila euro), seguito dall’horror The Conjuring – Il rito finale.

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            A Hollywood si gioca già la partita dell’Oscar. Leonardo DiCaprio, con One Battle After Another diretto da Paul Thomas Anderson, si candida al premio più ambito senza passare per i festival, scavalcando la trafila che un tempo dettava legge. Margot Robbie, dal canto suo, ha monopolizzato i flash all’anteprima londinese di A Big Bold Beautiful Journey, più nuda che vestita, confermandosi regina di stile e provocazione.

            E in Italia? I numeri raccontano una realtà diversa: a portare pubblico in sala sono i giovanissimi. In testa al box office troviamo Demon Slayer: Kimetsu No Yaiba – Il castello dell’infinito, capace di incassare 808 mila euro con 97 mila spettatori in un solo giorno su 334 schermi. Mica male per un anime.

            Scende al secondo posto l’horror The Conjuring – Il rito finale, che con 325 mila euro dimezza gli incassi del giorno precedente ma porta comunque il totale a 6 milioni. Terza piazza per Material Love (o The Materialists) di Celine Song: commedia sofisticata con Dakota Johnson divisa tra Chris Evans e Pedro Pascal, 87 mila euro e 1,17 milioni complessivi.

            Quarto posto per Downton Abbey – Il gran finale di Simon Curtis, 66 mila euro e un totale di 71 mila. Più giù resiste, al quinto, Elisa di Leonardo Di Costanzo, dramma psicologico con Barbara Ronche, che aggiunge 20 mila euro e arriva a 251 mila.

            Tra le curiosità: I Puffi restano sesti con oltre 2,49 milioni complessivi, mentre Come ti muovi sbagli di Gianni Di Gregorio raccoglie 121 mila euro totali. L’animazione tedesca Grand Prix e il sequel Troppo cattivi 2 si contendono l’ottava e nona posizione. In decima chiude il film-concerto Francesco De Gregori Nevergreen di Stefano Pistolini, con 9 mila euro.

            Il pubblico adulto, insomma, continua a latitare: le sale si riempiono solo quando a trainare sono horror o anime. Tutti gli altri aspettano il nuovo film di DiCaprio, ma davanti a uno schermo televisivo.

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              Cinema

              Pretty Woman: Valeria Golino al posto di Julia Roberts? Il provino che poteva cambiare la storia del cinema

              Valeria Golino e il provino finale per Pretty Woman: “Quando vidi Julia Roberts, capii che avrebbero preso lei”.

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                Insomma la trasmissione Belve di Rai2, condotta da Francesca Fagnani, ci regala sempre più spesso delle vere e proprie chicche. Come nel caso dell’intervista all’attrice e regista Valeria Golino che, nella puntata del 26 novembre, ha raccontato un dettaglio sorprendente sul film Pretty Woman. Ovvero? L’indimenticabile e spezza cuori Vivian Ward, personaggio femminile del film interpretata da Julia Roberts, poteva essere affidata proprio a Valeria Golino. L’attrice e regista italiana, allora reduce dal successo del film Rain Man, arrivò infatti all’ultima fase di selezione per il ruolo, contendendolo proprio alla futura star americana.

                Il provino finale? Un incubo condiviso

                Valeria Golino ha raccontato di essere stata tra le ultime due candidate per il ruolo di Vivian. La competizione si giocò in un clima surreale e imbarazzante. “Eravamo nello stesso posto, vestite uguali, un incubo”, ha rivelato l’attrice. Eppure, al di là della tensione, Golino comprese subito il verdetto: “Quando ho visto Julia, con quella vitalità tutta americana, ho capito che avrebbero preso lei. Io ero più malinconica”. Nonostante quella delusione, Valeria non ha mai espresso rammarico, anzi: “Non ho mai detto che avrei potuto farlo io. Ha vinto la migliore per quel ruolo”. Un riconoscimento elegante e sincero che sottolinea la consapevolezza dell’attrice italiana del peso che Julia Roberts ha dato al personaggio di Vivian Ward, trasformandolo in un’icona del cinema.

                Una scelta che ha fatto storia

                Il regista Gary Marshall si trovò di fronte a un bivio artistico. Scegliere Julia Roberts, con la sua spiccata energia positiva e il fascino tipicamente americano, o Valeria Golino, dalla bellezza enigmatica e dall’aria malinconica. La scelta – per fortuna – cadde sulla Roberts, la cui interpretazione segnò non solo il successo del film ma anche il suo ingresso nell’Olimpo delle star di Hollywood.

                Golino: un successo che non conosce confini

                Tuttavia, è intrigante immaginare oggi come sarebbe stata Pretty Woman con Valeria Golino nel ruolo principale. Il suo approccio al personaggio avrebbe probabilmente dato una sfumatura diversa, meno solare e più introspettiva, forse arricchendo Vivian Ward di un’aura più sofisticata. Non ottenere quel ruolo non ha fermato la carriera di Valeria Golino, che continua a essere una delle attrici italiane più apprezzate a livello internazionale. “Da giovane, il successo lo prendevo per scontato. Poi ho imparato la disciplina”, ha confessato l’attrice, che a vent’anni aveva già vinto la Coppa Volpi a Venezia. Oggi, guardando indietro, durante l’intervosta con la Fagnani, Golino riflette su quel momento con la maturità di chi sa riconoscere il proprio valore e quello degli altri. La sua grazia nel raccontare questa esperienza dimostra come la vera grandezza risieda anche nell’umiltà: “Quello era il ruolo di Julia. E lo ha fatto splendidamente”.

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